Romanzo dalla trama abbastanza semplice. Una storia d’amore, tra un nobile e una donna del popolo che si conclude in maniera tragica, con la morte della giovane popolana Maria Egiziaca soprannominata Fior d’Arancio.
Pochi i riferimenti storici, la trama si svolge pochi anni dopo l’Unità d’Italia. Viene citato più volte Giuseppe Garibaldi, che dalla nobiltà napoletana era considerato un filibustiere: «Da Roma, da Firenze, da Milano egli avea seguito con animo perplesso e angoscioso questi movimenti rivoluzionari; ed era rimasto profondamente addolorato nello apprendere le vittorie del generale Garibaldi, i fatti gloriosi di Marsala e di Palermo, la entrata del Filibustiere in Napoli, la vittoria del Volturno e via dicendo» [1].
Descrive abba stanza accuratamente la nobiltà napolitana di quel tempo: «il marchese Ottavio di Castelrosso era un vecchio signore che apparteneva all’antica aristocrazia napoletana, il quale aveva appreso con infinito cordoglio i movimenti rivoluzionari che avvenivano in Sicilia ed in Napoli per iscacciare dal trono il giovine re Francesco II e smantellare la dinastia di Carlo III» [2] . «Il principe di San Mattia apparteneva alla vecchia nobiltà napoletana, la quale, pur conservando certi pregiudizi di casta, era splendida, generosa e benefica senza ostentazione. Non era inaccessibile, come gli odierni commendatori et similia; e si ascriveva a gloria non solo di proteggere il merito, ma di sollevare le vedove e gli orfanelli». [3]
Alcuni personaggi del romanzo sono veramente esistiti, per cui ciò ci induce a pensare che anche questo romanzo Mastriani lo ha ricavato da un fatto di cronaca veramente accaduto. Il medico Francesco Prudente, citato nel capitolo Cesira, [4] è veramente esistito. Gli ha dedicato una necrologia sul suo giornale La Domenica il 12 maggio 1867. Ma anche i protagonisti Fior d’Arancio e Tobia, non dovrebbero essere frutto della fantasia dello scrittore: «La vidi anch’io un giorno questa piccola celebrità, de’cui casi commoventi ci occupiamo in queste pagine. Ciò fu verso il 1859, Fior d’Arancio era allora una giovanetta di poco più di sedici anni. Dall’amministrazione delle ferrovie meridionali aveva ottenuto il permesso di salire col suo piccolo Tobia, il sonatore di mandolino, ne’vagoni di seconda e terza classe per buscarsi con le sue canzoni i soldi dei viaggiatori che percorrevano la linea da Napoli ad Aversa. Fu appunto in una mia gita ad Aversa che io vidi per la prima volta la giovane cantatrice». [5]
Buona parte di un capitolo è dedicato al duello alla sciabola di cui Mastriani né da una dettagliata e cavalleresca spiegazione «…tra le varie maniere di queste singolari tenzoni, quella della sciabola è la meno pericolosa per la vita, massime quando il duello è definito al primo sangue». [6] Contrariamente come ha scritto in altri romanzi, in questo attuale non c’è alcuna critica al duello da parte di Mastriani.
« Il codice penale colpiva e colpisce anche oggidì i duellanti che appartengono al civile, mentre le leggi militari destituiscono o degradano un ufficiale che non accetti una sfida. Nel civile adunque il duello è una immoralità, un reato; nel militare la cosa è diversa. Dunque, un’azione che porta in sé stessa il marchio della riprovazione universale, un’azione colpita dall’anatema di tutti i popoli civili, cessa di essere riprovevole quando l’individuo che la commette, porta una divisa militare invece di un palettò o d’un soprabito. Noi crediamo che la legge sul duello dovrebbe essere o serissima da colpire con pene severissime indistintamente li spadaccini civili e militari, e lasciare che questo esoso avanzo della barbarie del medioevo, qual è il duello, sia colpito dall’unica punizione capace di annientarlo, quel si è il RIDICOLO».[7]
ROSARIO MASTRIANI
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[1] Francesco Mastriani, Fior d’Arancio la cantatrice di Mergellina, Napoli, Guida Editore, pag. 19.
[2] Ibidem, pag. 19
[3] Ibidem, pag. 257
[4] Ibidem, pag.174
[5] Ibidem, pag. 8
[6] Ibidem, pag. 99
[7] Francesco Mastriani, Bernardina, cap. VIII. «Ritorno a Napoli».
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Fior d’Arancio si potrebbe forse definire l’ultimo dei grandi romanzi di Mastriani. Senza nulla togliere al valore dei romanzi che a questo faranno sèguito, si dà qui alla definizione una valenza puramente tecnica, ovvero retorica. Sempre nell’ambito delle Forms of fiction (forme narrative), così come sono state esposte e chiarite da Frye, Fior d’Arancio è un novel (romanzo vero e proprio), ovvero un’opera narrativa in cui prevale in maniera assoluta questa forma. La complessità dell’intreccio, dei rapporti psicologici fra i personaggi, la puntuale descrizione dell’ambiente sociale e antropologico che fa da cornice alla storia, l’estensione stessa del racconto, notevole, di 110 appendici di cinque colonne, inducono a parlare di “grande romanzo”. Un’altra spia o, se vogliamo, elemento aggiuntivo ai fini di una valutazione di “grandezza” del romanzo, si riscontra nell’esuberanza della trama che porta alla nascita di un romanzo di sèguito, Tobia il gobbetto. Succede cioè, sembra di poter dire, che l’intreccio narrativo e lo studio dei personaggi e delle loro relazioni rimangono vivi e operativi anche dopo la conclusione del romanzo. Niente di più logico, quindi, che Mastriani si serva del ready-made set-up (l’impianto già pronto) e metta a frutto la piattaforma tematico-retorica per un nuovo romanzo.
In Mastriani il romanzo con sèguito (fatta eccezione per I vermi che seguitano ne I figli del lusso) è sempre un autentico trionfo del novel del romanzo vero e proprio. Ricordo qui per confermarlo, senza ulteriori commenti, i numerosi romanzi del Nostro che hanno avuto il sèguito, non sempre immediato, in un altro romanzo:
La cieca di Sorrento (1851)
La contessa di Montès (1869)
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Il mio cadavere (1851-1852)
Federico Lennois (1852
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I vermi (1862-64)
I figli del lusso (1866)
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La polizia del cuore (1878)
La maschera di cera (1879)
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Le caverne delle Fontanelle (1879)
Emma o le ricchezze (1879)
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Il barcaiuolo d’Amalfi (1882)
Maddalena (1882)
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Pasquale il calzolaio del Borgo Sant’Antonio Abate (1885-1886)
Bernardina (1886)
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Fior d’arancio. La cantatrice di Mergellina (1887-1888)
Tobia il gobbetto (1888)
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Due feste al Mercato (1876)
Il campanello dei Luizzi (1885)[1]
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Sarebbe utile uno studio sistematico di questi romanzi (e si farà presto), ma intanto val la pena di notare come ci sia una continuità nello studio dei personaggi che in molti casi diventa, nel sèguito, l’approfondimento dello studio introspettivo di un solo personaggio, come in Federico Lennois, Emma, Maddalena, Bernardina e Tobia, e cioè in cinque casi su otto.
FRANCESCO GUARDIANI
[1] Aggiunta di Rosario Mastriani.