Abbiam toccato parecchie volte in questo periodico della necessità degli studi classici per quella che dicesi vera e compiuta istruzione ed educazione letteraria; ed abbiamo fatto notare come dal poco o nessuno studio de’classici derivi quella mezzanità superba e vanitosa che s’ingalluzza nelle proprie opinioni, che si trincera nelle proprie sentenze, e non sa uscire dalle stitichezze del pedantismo che essa scambia ben sovente per classicismo. Ma il male più grave, a nostro credere, che vien cagionato dalla futilità degli studii non è tanto quello di empirsi la testa di cose inutili, vacue e leggiere, per non dire torte e dannose, quanto di trasandare l’apprendimento di quelle che sono strettamente necessarie per formarsi l’intelletto ed il cuore. Non tam obest audire supervacua, quam ignorare necessaria, osservava Quintiliano; e noi non faremo che ripetere con lui: Non tanto nuoce l’udire le cose superflue, quanto ignorare le necessarie. E, per mala ventura, è questo il precipuo carattere di quella bastarda istruzione che si nutre di tutto il vacuo d’una letteratura che sdegna gli esempi, i modelli, i capilavori antichi, i monumenti secolari lasciatici da’greci e da’latini, e si slancia nel campo del fantastico senz’altra norma che quella di un cervel balzano, sbalestrato dalla più poderosa ubbriachezza, quella dell’orgoglio, e senz’altro scopo che la novità delle forme.
I giovani, strascinati dall’ardenza dell’età, si abbandonano con impetuosità ad ogni sorta di lettura che lor prometta forti impressioni, sentimenti profondi, e vi si abbandonano con quella inconsideratezza figlia dell’inesperienza e della bramosia di soddisfare alle passioni del cuore più che ai bisogni della mente. Interi anni vengono consumati a divorare libri inutili, quando non dannosi, così che, pervertito il gusto, palato morale, più non potrà la mente acconciarsi a libare le dolcezze infinite di quegli autori, eterne fonti del vero e del bello. Giunge l’età del disinganno, e si vorrebbe rifare l’edificio; ma è troppo tardi; e allora, vergognosi della propria ignoranza e della falsa piega fatta prendere allo spirito, si simulano e si affettano studii gravi e letture degli antichi. Tutti dicono di aver letto e meditato la Bibbia, Dante e i classici latini; ma osiamo asserire che ben pochi tra quei giovani che han nome di letterati sono profondamente versati su tali studi. Alcuni opinano che lo studio dei classici in altro non consista che nello svolgere le opere dei trecentisti per infarcirsi il capo di arcaicismi e riboboli leggendo le opere dell’italiana favella senza discernimento, senza metodo, e senza fermarsi a cogliere quel fiore di morale e di sennato viver civile che si nasconde sotto il velame delli versi strani. Altri pur v’ha che crede doversi lo studio de’classici limitare al gretto apprendimento di sterili precetti grammaticali e rettorici. E noi non ristaremo dal biasimare e condannare il pedantismo come il più possente nemico del classicismo e quello appunto che allontana i giovani dalle regioni del bello e del giusto, disgustandoli con infinite asprezze e pastoie dallo studio degli antichi.
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FRANCESCO MASTRIANI