Domenica scorsa il teatro S. Carlo apriva le sue porte alle due dopo il mezzodì. In questo il teatro massimo ha fatto un passo innanzi a quello di donna Peppa, che non apre le sue porte in questa stagione prima delle tre e mezzo. Conto fatto, i cantanti e i ballerini che debbono lavorare in questi spettacoli diurni che si danno in S. Carlo hanno da pranzare alle nove del mattino per trovarsi sul proscenio colla digestione pressoché fatta. Imperciocchè non credo che si arrischierebbero a cantare o a ballare col boccone alla gola, e massime in questi tempi carnevaleschi in cui, la festa, si mangia sempre un centinaretto di bocconi di più del consueto, e la carne di maiale ha il dominio su tutti gli altri cibi. Ma lasciamo di banda i poveri artisti che han da cantare o da ballare in questi spettacoli a luce di sole, ed occupiamoci un poco del pubblico che vi accorre.
Domenica mattina, don Ciccio, il salassatore che ha la sua bottega all’angolo del vico Femminelle a Borgo S. Antonio, annunziò alla sua famiglia il gran regalo che lor facea di menarli quel giorno a S. Carlo.
Era la prima volta che Donna Meneca, la moglie, Donna Peppa, la suocera, Donna Graziella, la figliuola da marito, e Torillo, Aniello, Sciascià (Gaetano), piccoli flebotomisti in erba, e Rosa la vaiassa avrebbero veduto il gran teatro di S. Carlo!
Quando D. Ciccio disse la lieta ventura di aver ricevuto dal cuoco d’uno de’socii dell’Impresa un biglietto di palco a sesta fila, fu come se avesse annunziata la vincita d’un terno al lotto o la riapparizione del grippe in Napoli; il che per un salassatore equivale presso a poco ad un terno. Fu una specie di zolfanello acceso in ciascheduno di quelle teste.
Donna Meneca invitò la comarella Donna Rosaria con le sue tre figliuole, Donna Vincenza, Donna Tommasina e Donna Carolina. Don Ciccio dal canto suo avrebbe creduto mancare al più sacro de’suoi doveri se non avesse invitato Don Camillo, il ricevitore di lotto del Borgo, col quale è in grandissima amicizia.
Don Camillo accettò l’invito sub conditione che avesse menato seco i due suoi giovani, Don Nicolino e Don Paolino.
Non ci volle poco per completare il vestimento di ciascun membro della famiglia. A Torillo mancava l’intero tomaio della scarpa sinistra; al che si rimediò facendogli calzare i vecchi prussiani di papà; ad Aniello erasi crepata nella parte posteriore l’unico paio di calzoni decente che avesse: Graziella fu messa a riparare alle crepature. A Sciascià (ragazzo di tre anni) mancava il tettino del berretto. Don Ciccio gli ficcò in testa un suo parapalle. Occorreva nientemeno che un scialletto a Graziella; e Donna Meneca girò tutta la mattina per le case delle sue vicine per farsi prestare questo articolo essenziale dell’acconciatura della sua figliuola.
La carovana si pose in cammino dopo il mezzodì. Erano quindici individui d’ambo i sessi e di tutte le età.
D. Ciccio portava sotto al braccio sinistro l’ombrello, per precauzione, benché il tempo fosse serenissimo; sotto al braccio destro la canna da zucchero; sul braccio sinistro il cappottino di Sciascià; aveva nella mano sinistra un fazzoletto di colore ripiegato, in cui era una misura di castagne infornate per merenda de’ragazzi durante il viaggio; e colla dritta tenea ferma la mano di Aniello, ragazzo infermiccio che non potea dar due passi senza riposarsi un poco, o senza dare sfogo a qualche secrezione delle più essenziali nell’economia animale.
Donna Meneca andava appoggiata al braccio di Don Camillo, che facea sforzi incredibili per sostenere quella macchina, tanto più che coll’altro braccio appoggiava la comarella Donna Rosaria.
Torillo, il primogenito, che si era posto addosso una chasse di D. Ciccio il padre, facea l’uomo e dava il braccio a Graziella sua sorella. Egli balestrava sguardi furiosi su tutti quelli cui si abbattea per istrada e per casualità gittavano gli occhi su la ragazza, bastantemente brutta.
Seguivano i giovani del postiere D. Camillo, ciascuno con una figliuola di Donna Rosaria sotto il braccio.
Questa carovana s’incamminò per la strada grande; prese la via di Foria, Costantinopoli, Toledo ec.
Si arrivò alle due in punto. Era ormai tempo! Un altro minuto secondo e Don Ciccio e Don Camillo sarebbero caduti morti sul terreno.
Il primo problema era risolto: rimaneva a risolversi l’altro: come fare entrare 15 persone in un palco laterale a 6.ͣ fila?
D. Ciccio avea Aniello sopra un ginocchio e Sciascià sovra l’altro, ed avea sulle spalle i due giovani di postiere. Donna Meneca, Donna Peppa, Donna Rosaria, le tre figliuole, e Donna Graziella erano situate avanti in doppia fila, per modo che quelle capitate addietro si godeano lo spettacolo delle spalle di quelle che erano avanti. Il resto del genere mascolino avea preso posizioni acrobatiche; e i giovani si erano andati a sospendere su le meno brutte delle ragazze.
Quale inferno! sclamava Don Ciccio, giurando in cuor suo che non ci sarebbe più capitato.
FRANCESCO MASTRIANI