Nell’ispirazione letteraria e iconografica di fine Ottocento, la donna diviene personaggio irrazionale e minaccioso per l’altro sesso, ella non vuole più subire il suo stato di inferiorità plurisecolare nella società e desidera emanciparsi dall’uomo. Al tempo stesso lo vuole dominare: si pensi a La lupa di Giovanni Verga (1880) e a Giulietta di Gustav Klimt (1901).
Il mondo dionisiaco si rivela anche quello di Rosella. La spigaiola del Pendino (1888), in cui la scena, ambientata a Napoli nella prima metà del XVIII secolo, è dominata appunto dalle donne e dalle loro passioni più sanguigne. La danza è il potente motore dell’intreccio iniziale. Il 24 giugno del 1738 Rosella balla in pubblico con Minicuccio, innamorandosene ostinatamente; la regina Amalia, giovane moglie di Carlo III di Borbone, per la quale l’esibizione è organizzata nell’affollata piazza del Pendino, si complimenta con la ballerina e le fa dono di una cospicua somma di denaro che possa rappresentare la dote della bella spigaiola; a seguire, ben otto pretendenti ballano la ntrecciata, sorta di giostra bellicosa, per ottenere simbolicamente la mano della venditrice di spighe omaggiata dalla generosità regale. Questi animati quadretti di danze popolari sembrano fare preludio allo sviluppo burrascoso della vicenda: Rosella sceglie Minicuccio come suo partner nella tarantella che l’amica Ciretta accompagna col canto e col cembalo e proprio loro tre si collocheranno gradualmente ai vertici di un pericoloso triangolo amoroso nel corso della storia; gli otto giostratori rivaleggiano successivamente per l’amore della danzatrice e prendono bastonate gli uni dagli altri, preannunciando le numerose zuffe
E liti di gelosie che colorano le pagine del romanzo.
I personaggi di Francesco Mastriani sono tendenzialmente stilizzati nelle loro qualità positive o negative di eroi popolari. Stavolta però, pur nel consueto susseguirsi di azioni incalzanti e coinvolgenti tipiche del feuilleton, questi si distinguono per la loro complessità introspettiva. Indolente protagonista maschile, Minicuccio, amante dei piaceri, è caratterizzato da un fascino narrativo già decadente, alla mercè del desiderio della spigaiola prima, della capèra poi. La sua volontà è debole e fluttuante, come sarà quella di Zeno Cosini, che, parimenti, si sposerà senza troppa convinzione e quasi per ripiego (Italo Svevo. La coscienza di Zeno, 1923). Quando alla protagonista, tra l’appassionato ballo iniziale ed il crimine finale, l’innamorata vive spasimi, tormenti ed esitazioni, affidandosi ai malsani consigli di comare Catella e della sensale Isabella Melloni, prima di coronare il sogno delle nozze; consumandosi di insensata gelosia per la ricamatrice Graziella, prima di convincersi del tradimento del marito con la bella pettinatrice Ciretta. Eppure Rosella solo in apparenza risulta vittima delle trame di madre Isabella e della rivalità con le altre donne, in quanto persiste a monte il tenace proposito di fa suo qualcuno che mai ha mostrato un interesse significativo per lei. Incurante delle conseguenze della propria determinazione amorosa sarà altresì, di lì a pochi anni, l’ambita principessa della corte di Erode: l’eroina dell’omonimo dramma di Oscar Wilde (Salomè, 1891), inizialmente innocente come la ballerina del Pendino, arriverà in seguito alla danza volta a soddisfare anche in questo caso una volontà regale, a pretendere la testa dell’ uomo che, non ricambiata, desidera (Iokanaan), pur di poter baciare la sua bocca. La testarda spigaiola si corrompe d’altronde più lentamente; tra l’essere onesta e l’essere spietata si interpone chiaramente un anello invisibile, che il narratore chiama “ trasformazione”, assimilabile alla generazione del personaggio di Robert Louis Stevenson, di poco antecedente (The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hide, 1886):
«Una trasformazione erasi incontanente operata nella spigaiola del Pendino per la scoperta dolorosa che essa avea fatta.
Ci era stato nel fondo dell’anima di questa donnina un punto nascosto, qualche cosa che non si era mai fin allora sviluppato e manifestato.
Questo punto latente era una specie d’istinto feroce, che non avea mai avuta la occasione di pronunziarsi, di accennarsi. La indole dolce, modesta, affettuosa della giovane avea tenuta fino a quel giorno soffocato questo brutto seme.
E questo seme sanguinario, che si era tenuto latente nell’imo dell’animo della spigaiola del Pendino, surse gigante in un momento, assorbendo, per così dire, ogni altra buona facoltà di questa donna ».
Questo fondo oscuro del personaggio, antesignano della crisi dell’io decadente e dell’interpretazione letteraria dell’inconscio freudiano (la psicanalisi muoveva i primi passi all’epoca), dirompe in tutta la sua forza nel momento in cui Rosella, già sospettosa, sente pronunciare il nome di Ciretta dalle inconsapevoli labbra di suo marito addormentato (nel capitolo che prende il nome di “Sonniloquio”: ancora l’inconscio che emerge). Se già in precedenza aveva dichiarato che avrebbe sfregiato con un rasoio il volto di colei che avesse concupito il suo uomo, la protagonista medita ormai un’azione ancor più raccapricciante ai danni dello sposo fedifrago, servendosi di quello stesso strumento (il rasoio) menzionato undici volte nella narrazione, e sempre con significazione aggressiva (arma di difesa, di attacco, di autolesione; mezzo di castrazione di gatti e di esseri umani). In una società marcatamente feroce, la spigaiola si rivela, al pari di Salomè, una pericolosa danzatrice fin de siecle, una femme fatale et tranchante, terribile ed implacabile se trafitta nell’orgoglio femminile.
Rosella non è del resto l’unica donna pericolosa della storia. Se questa si dimostra in conclusione vendicativa e spietata, la capèra si conferma spregiudicata e maliziosa dall’inizio alla fine. Di fama disonesta per certe fondate voci di popolo, Ciretta provoca Minicuccio, invaghito di lei da molto tempo, perfino mentre pettina l’amica come ogni mattina, lanciando a lui occhiate di fuoco e coprendo a lei gli occhi con i capelli per non renderla partecipe del suo scambio di sguardi amorosi con lo scarpariello. Non si contenta inoltre di far cedere il giovane, poiché lo induce a fuggire via da Napoli e ad abbandonare per sempre la sposa dopo pochi giorni di matrimonio:
«Ciretta non era donna da sacrificare la propria vita per non aver sposato il ninno ch’essa desiderava. Essa erasi consolata ben presto. Ma noi crediamo che la sleale ed infedele capèra si fosse promesso in cuor suo di rubare in contrabbando alla tenera amica lo sposo od almeno il costui affetto per lei».
Rimasta più o meno nell’ombra tanto durante l’esecuzione della tarantella al Pendino quando nel periodo precedente il tormentato sposalizio dell’amica, costei non sa esimersi dal manifestare apertamente la sua passione a nozze compiute. La sfrontatezza della pettinatrice, venuta a galla, colpisce irrimediabilmente il cuore della spigaiola. Il doppio tradimento induce quest’ultima a pianificare un terribile disegno di vendetta mirante a sfregiare i corpi dei due amanti con la complicità del suo ex spasimante Aniello lu bello guaglione. Femmes fatales disposte a tutto sono dunque le due popolane: una a rubare il marito all’amica; l’altra a servirsi di una mezzana d’amori per avere il suo uomo e a punirlo poi brutalmente per la biasimevole condotta coniugale. È con Rosella però che andiamo oltre la donna-vampiro, oltre la seduttrice misteriosa, pure tratteggiate dall’inesauribile penna di Francesco Mastriani in altre opere, con lei che spinge il giovane scarpariello ad una rovina senza precedenti, culminante nel danno dell’evirazione con successiva morte in ospedale del personaggio. In un’epoca storica inquieta e mutevole (gli ultimi decenni del XIX), anche il confine di ruoli tra uomo e donna si definisce in modo incerto e non a caso il narratore mette in scena una coppia dalla fisionomia androgina, in cui lei (Rosella) volge al maschile (“il suo corpo era aggraziato ma rozzo”), lui femminile (“Minicuccio ballava con molta grazia e sveltezza, benché le sue movenze avessero alquanto del femmineo”). I rapporti di forza sembrano invertiti. Nel testo l’aggressività è infatti soprattutto delle giovani donne, non arginate da genitori o figure autorevoli che ne contengano gli slanci di violenza: la spigaiola usa e la capèra minaccia di usare il rasoio come arma rispettivamente contro gli altri e contro di sé, pur trattandosi di uno strumento tipicamente maschile. Si pensi viceversa a Peppiniello, lo spasimante di Ciretta, che si lascia intimorire dalle percosse di Mariannina, sorella della pettinatrice, e continua a corteggiare la sua amata solo di nascosto.
La liceità del reato e della vendetta privata sembrano affermarsi nel finale. Rosella sconta solo sei mesi di carcere, sia perché aspetta un bambino (che potrebbe essere tanto di Minicuccio quanto di Aniello, a cui cede nell’ebbrezza che precede il crimine di Brusciano), sia perché gode dell’influenza della regina Amalia e di Padre Rocco, che quindi non l’hanno condannata, ma moralmente assolta. In una sorta di complesso di Elettra ante litteram, la protagonista sembra ledere a ragione il marito infedele che tanto amava per poi sposare in seconde nozze il suo complice e antico pretendente, recante lo stesso nome del padre estinto (Aniello).