PROSIT

   Prosit a tutti indistintamente, signori seicentomila abitanti di Partenope; sit vobis capiton levis!

   A voi, zitelle partenopee, ingenue del Sebeto, vergini di Montecalvario, di Chiaia e delle altre più o meno fangose dodici sezioni di questa città, a voi pure prosit per cento anni per avervelo mangiato con tanta grazia, addentandolo con un sorriso tutto particolare.

   Eh, furbette, interpreto io quel sorrisetto malizioso. Ogni boccone di quel capitone era una squisitezza d’amore che ingoiaste, una speranza di matrimonio che accoglieste… nello stomaco, era tutta una dichiarazione che si mollificò nelle vostre bocche. Peccato che tante belle speranze e sì grascio linguaggio d’amore passarono in brevi ore in quelle regioni, dove è silenzio e tenebre.

   Prosit a voi, venerabili coniugati del sesso maschile, voi che abbracciate le vostre metà e consegnaste loro il capitone.

   E prosit a voi, signore maritate che ve lo mangiaste con tanta coniugal tenerezza, ricordandovi di que’giorni felici in cui il capitone era per voi il più caro messaggio d’amore.

   E prosit a voi, vedovelle sconsolate, che avete trovato chi tien le veci de’vostri defunti nel portarvi il capitone.

   Ogni stato in questo mondo ha le sue consolazioni; e le vedovette, massime le giovani e belle, trovano facilmente a consolarsi. Ben vero che nel mangiarsi il capitone esse mettono un sospiro ad ogni boccone, ricordando la felice memoria; ma le felici memorie non affliggono a lungo il cuore delle vedovette… giovani e belle.

   E prosit a voi, leoni di prima, seconda e terza forza, voi che divorate le dilicate pagnottine della panettiera francese, i pasticcetti di Spiller e i crostellini al butiro del Gran Caffè. Voi non regalaste il capitone alle vostre belle, perché non avete la consuetudine di regalar niente, ed in vece non isdegnate di gradire i regali. Comoda consuetudine è questa!

   E prosit a voi, poeti famosi e famelici, che divorereste il torrione del Carmine. Voi piangendo, lacrimando, maledicendo al fato e le stelle, e lagnandovi sempre di non essere capiti, voi mangiate che è un piacere, ed in ogni ricorrenza di feste mangiatorie vi fate onore. Per buona ventura, la vostra soverchia bile non offende la vostra buona digestione. Ma siate almeno una volta coerenti e grati. Tra tante noiose ciance che scrivete levando l’umido al prossimo, scrivete un inno al capitone, il cui subbietto avete si ben digerito.

   E prosit a voi, signori medici allopatici, che osservate una stratta dieta… quando siete satolli fino al gorgozzule; e a voi, idropatici, che a tavola abborrite gli astemi, e che amate l’acque soltanto… per lavarvi la faccia; a voi omeopatici, che adottando il sistema similibus similia curate le vostre indigestioni mangiando a crepapancia; a voi tutti, figli d’Ippocrate, prosit e salute, a dispetto del noto epigramma

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Di Tizio illustre medico

      Il monumento è questo;

             Oh quanti ancor vivrebbero,

      S’egli morìa più presto!

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   Prosit anche a voi, padroni di casa, cambiavalute e usurai di ogni genere; prosit a voi, capite! Vogliamo pertanto sperare nell’alta misericordia di Dio che sia stato questo l’ultimo capitone che avete mangiato.

   Prosit a voi, avvocati, pei quali la forza della eloquenza è in ragion diretta della grossezza del capitone che ricevete da’clienti; prosit a voi, giornalisti teatrali, pei quali il do del tenore è più o meno forte a seconda del dedit; prosit a te, impresa di S. Carlo, per il capitone che ti mangi alla barba degl’imbecilli che pagano per andare al tuo teatro.

                                                                                                              FRANCESCO MASTRIANI