Questa edizione è in possesso degli eredi Mastriani
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Il volume in oggetto, ha lo stesso contenuto del successivo, dal titolo «Da Mastriani a Viviani. Per una storia della letteratura a Napoli fra Otto e Novecento», Napoli, Liguori Editore, 1972.
Le uniche differenza tra i due testi sono:
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- La prefazione,
che nel primo testo viene nominata «Premessa»
mentre nel secondo «Nota 1987»
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- L’appendice,
che nel primo testo l’autore, Antonio Palermo, così spiega: Ci sembra utile far seguire alcune pagine tratte dai Vermi (1863-64), dai Lazzari (1865) e dalle Ombre (1868) di Francesco Mastriani – qui riportate per la difficile reperibilità di questi testi. – Dalla I delle Lettere meridionali di Pasquale Villari (pubblicata dapprima sull’«Opinione» di Firenze e poi in volume nel 1879).
(Le pagine riportate sono: «I fondachi», da F. Mastriani, I Vermi, Napoli, Gennaro Salvati s.d, p.297; «La zumpata», da F. Mastriani, I Lazzari, Napoli, Gennaro De Angelis, 1873, pp. 261-267; «Le grotte degli spagari», da F. Mastriani, Le Ombre, Napoli, Gennaro Salvati, s.d. pp.148-150; «I regi lagni» da F. Mastriani, Le Ombre. cit., pp.261-263; «Un’operaia», da F. Mastriani, Le Ombre, cit., pp.479-483; «La camorra», da P. Villari, Le lettere meridionali, Torino, Bocca, 1885, pp. 1-16);
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nel secondo testo invece è composta da due parti:
- Il socialismo gotico di Francesco Mastriani
- Lo spessore dell’opaco: Imbriani, Russo e il ʻpopolareʼ.
PREMESSA
Se è vero che a nessuno dei vari autori di cui ci si occupa in queste pagine è mancata una sua più o meno articolata vicenda critica – neppure a Mastriani, in fondo ‒, è anche vero però che essa si è svolta prevalentemente lungo un tracciato ʻmonograficoʼ, scandito dalle verifiche, con mutamenti o conferme, delle cifre letterarie individuali. Ne è risultato sacrificato un discorso culturale di gruppo, atto a mettere in evidenza tutti gli elementi che uniscono la numerosa famiglia degli scrittore napoletani del secondo Ottocento e che vanno dalla più elementare affinità, o persino identicità di contenuti, alla più elaborata contiguità o derivazione tematica; e, all’esterno, da una generale compresenza spazio-temporale a una specifica situazione professionale ossia il giornalismo, esercitato spesso davvero a contatto di gomito, sulle stesse pagine delle stesse testate. Un caso insomma, questo della cultura letteraria napoletana posteriore al ’60, da trattare con un discorso interdisciplinare, che narri, ad es., la storia dei quotidiani e dei periodici del tempo con l’identica informazione e attenzione con cui si è soliti raccontare quella degli scrittori che vi collaborano o li redigono o addirittura li dirigono.
Ma proprio quest’esigenza, allo stato attuale delle ricerche, può essere soltanto assai parzialmente esaudita, giacchè manca, dall’ormai remoto saggio del Croce sulla Vita letteraria a Napoli, del 1909, un’indagine organica sul tipo di cultura diffuso dai tanti giornali della Napoli postunitaria, vale a dire più macroscopica realtà locale del nuovo Stato.
Si aggiunga che la maggior parte della produzione dialettale, che sul finire del secolo vi conosce un momento particolarmente vivace, per essere correttamente intesa deve rifluire in una storia dello spettacolo popolare.
Ed ecco allora la rilevanza data nelle pagine che seguono alle opere narrative degli scrittori in questione, dal momento che maggiormente consente quei rinvii cui si accennava e, inoltre, una più immediata possibilità di confronto o di rimando con la restante realtà della cultura nazionale.
Talvolta gli autori di cui ci occupiamo sono la cultura nazionale, talaltra i loro ritardi o anticipazioni acquistano un senso proprio rispetto a dei parametri che restano loro estranei. Come che sia, quella particolare preoccupazione dialettica che ogni rinnovata storia a sfondo regionale giustamente deve far sentire al lettore, qui, a proposito della Napoli del secondo Ottocento, risulta un vero e proprio dato interno, nel bene e nel male, cui si è cercato di dare una intellegibile sottolineatura.
Infine, l’ʻaltroʼ. È evidente che un tipo di letteratura come questa napoletana che trae tanta ragione d’esistenza dalla testimonianza della realtà, può apparirne qualche volta insidiata, qualche altra esautorata. E si può essere tentati di considerare necessaria condizione per la poesia digiacomiana il disimpegno del suo autore, comparandolo magari al convulso ʻsocialismoʼ, dell’appendicista Mastriani. Ma anche qui è soltanto alla carenza di una moderna sistemazione storiografica ʻintegraleʼ, e ʻsimultaneaʼ, che sono dovuti i tanti equivoci e le tante zone d’ombra, che ancora aduggiano una stagione letterario-culturale che pur è tra le più ufficialmente acquisite.
ANTONIO PALERMO