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Questa edizione è in possesso degli eredi Mastriani
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…… PREMESSA
Il saggio Francesco Mastriani: un escluso nasce da una rivisitazione finalizzata a dimostrare e a ribadire, nell’economia della trattazione, la collocazione dell’appendicista napoletano fuori dalle istanze naturalistiche e realistiche. Quali le motivazioni? L’assenza dei requisiti peculiari della narrativa verista che proclama: l’opera d’arte deve sembrare essersi fatta da sé [1] , sulla scorta di indagini scientifiche, di alterazioni fisiologiche, patologiche, ereditarie, storiche, ambientali. A queste tesi, di taglio lombrosiano e zoliano, per carenza di informazione e formazione pertinente, non attiene il Mastriani, il quale, anche se con connaturata indignatio, arringa: Il verismo l’ho inventato io [2], rimane sostanzialmente un osservatore triste e malinconico di Napoli e dei suoi fuorviati. Figure truculente e sanguigne non sono sbozzate con l’approfondimento fisico-chimico del narratore naturalista, ma con l’ottica del socialismo francescano, con gli stimoli del flantropismo, aduso, senza tralasciare il concetto di imparzialità della giustizia, a commiserare devianze e malversazioni di ogni genere. Delitti, omicidi, violenze, prostituzione sono la fisionomia e la voce dei vicoli, nei quali non attecchisce la nozione di letteratura interrellata con politica, economia, diritto, filosofia, arte, religione. Indubbiamente l’incapacità di distacccarsi da certi ambienti è il limite di Mastriani e dei suoi feuilletons, ritratti di mera napoletanità, estranei alle vicende del mondo. Tale confine gli ha osteggiato l’ingresso nel panorama della cultura nazionale, se è vero, come è vero, che le storie letterarie di maggiore spessore e levatura, tra Pitigrilli, Guido da Verona, Peverelli, Invernizio ne annotano, a malapena, il nome, senza considerare che la riscoperta del mercato della rosa, con telenovela e fiction, trova la sua progenitura proprio nel feuilleton.
Di qui l’intento di riesumare dalle tenebre dell’oblio un romanziere che, a nostro avviso, merita di essere riconosciuto e rivalutato, almeno in ambito di letteratura regionale e popolare, con un posto che non sfiguri tra quanti hanno scritto di Napoli e del suo endemico degrado morale e sociale.
. ANNA GELTRUDE PESSINA
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[1] G. Verga, Premessa a L’amante di Gramigna, in Vita dei campi, Mondadori, Milano 2010, vol. I, p. 192
[2] F. Mastriani, I Misteri di Napoli, a cura di G. Innamorati, Vallecchi, Firenze 1972, Introduzione, p. 5.
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ANNA GELTRUDE PESSINA vive a Napoli, dove ha insegnato letteratura italiana e storia al triennio superiore dei licei socio psicopedagogici.
In poesia ha pubblicato: Non pavento passaggi (Presenza, 1984); Nel mio deserto fiorì (Valori umani, 1984); Finito nell’infinito (Velardi, 1987); Flash-back (Genesi, 1993); Alle fonti del Lete (Genesi, 2005). In narrativa: In sordina sotto il… pentagramma (Firenze libri, 1988); Pensieri nel cappello (Guida, 2002). Per il teatro: Sacrifice (A. Gallina, 1997); La resistenza privata (Ferraro, 2005); Codici aperti (Ibiskos, 2009); Maddalene Duemila (Ibiskos, 2009). Di recente pubblicazione il saggio La follia delle parole nel Seicento Novecento (Manni Editori 2013).
Pubblicista, ha collaborato e collabora con diverse riviste letterarie, firmando saggi e articoli sulla fenomenologia del vissuto.
È stata insignita della Medaglia del Presidente della Repubblica e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È membro di giuria di importanti concorsi letterari.