INTRODUZIONE ALLA PARTE PRIMA
L’EREDITÀ
Il Lusso è una piaga sociale che produce i suoi Vermi al pari della Miseria.
Tutti quelli che vivono nelle regioni, dove domina da despota assoluto questo figlio della ricchezza e padre della miseria che dicesi Lusso, appartengono alla grande categoria delle CLASSI PERICOLOSE, le cui pratiche insidiose furono in parte da noi svelate nella nostra opera I Vermi.
Nel capitolo IV.° della prima parte di quell’opera, intitolato Le farfallette, noi dicemmo:
«Andate nelle ore pomeridiane a passeggiare, nella està, alla Riviera di Chiaia, nell’ottobre, a Portici; e il vostro sguardo sarà colpito da que’ cocchi brillanti per fulgidi vernici, per vispi cavalli, per dorati guarnimenti. Que’ cavalli sono guidati da giovinotti eleganti, i quali gareggiano nella pompa de’loro equipaggi. Come alteramente sprezzanti e boriosi e insultanti si rizzano que’capi su cui dondola un cappello inglese!
« Quanta sufficienza e sterminata vanità è in quei vortici di fumo che si sprigionano dalle loro labbra accarezzanti un sigaro d’Avana! Come sembrano imbizzarrire que’corsieri tocchi dalla frusta gentil esca di quegli alteri signorotti!… Che cosa è quella turba ignobile di pedoni che fa siepe agli sfolgoranti loro cocchi? Povera gente! Essi toccano la terra coi piedi, quella terra battuta da’ferri dei loro cavalli e da’cerchi delle loro ruote! Povera gente! Rubrica infelice del ceto medio che non può spendere una lira al di là del suo stato-discusso mensuale! Scostatevi, o formiche del lavoro, lasciate passare le oziose farfallette indorate! Scostatevi, o cenciosi, lasciate che passino i milionarî. I milionarî! Risum teneatis! Que’cocchi, que’cavalli, QUEL LUSSO, quell’alterezza, quell’altezza, sapete che cosa gli ha fatti nascere? Una carta di stracollo…»
Quanto più alte sono le sfere in cui si aggirano i figli del lusso, tanto più pericolose riescono le loro insidie alla società, che sembra non diffidare di quelli che vestono con ricercatezza e portano alle mani guanti color Tortorella. Ciò non pertanto, se la società non avesse visceri di tenerezza per certe classi dovrebbe vergognarsi di stringere certe mani che non sono meno spregevoli di quelle del ladruncolo che ruba il moccichino, del grassatore che sforza la serratura, del falsario che contraffà l’altrui firma.
Il Lusso, al pari della Miseria, è causa di mali infiniti e gravissimi che affliggono l’umana società; colla differenza che, dove su questa è teso costantemente l’occhio della vigile autorità preposta al mantenimento dell’ordine sociale, quello è lasciato immolestato nelle sue transazioni, e né le questure, né i codici penali, né le Corti di Assise sembrano per lui create. La Miseria ha questo di deplorabile che travolge nello stesso fango lo sventurato e il malfattore; mentre la profumata atmosfera del Lusso si adagia su soffici morbidezze il nervoso aristocrata, che si batte in duello se altri pensa soltanto di non credere alla purezza del sangue cilestre che scorre nelle sue vene, e il baro, il cui lustro gli viene da una carta da giuoco abilmente sottratta.
Mostro divoratore, il Lusso divora l’onore quando non ha più sostanze da divorare: esso ingoia ogni anno ne’suoi baratri di velluto e di seta migliaia di vittime: sul suo altare, dove fumano incensi inebrianti, vengono sacrificati i più virtuosi e nobili istinti, le aspirazioni più pure, i più sacri affetti del cuore. Dove regna il Lusso, ivi la società è corrotta, inerte e schiava. Roma e Sparta caddero sotto il giogo del più avvilente dispotismo, allorché si abbandonarono alle mollezze asiatiche ed al lusso.
Noi non pur toccheremo questa piaga sociale ne’ suoi effetti morali e materiali, ma non ci arresteremo di colpire que’vizi della organizzazione sociale che più tendono ad allargarne la diffusione, il contagio e l’infezione.
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INTRODUZIONE ALLA PARTE SECONDA
NAPOLI DI NOTTE
Le più terribili delle umane passioni hanno il loro sfogo nel seno delle tenebre. La notte ricopre colle amiche sue ombre i fatti più vergognosi, le azioni più nefande, i più osceni delitti. Quando il modesto professore, l’umile impiegato, l’onesto operaio riposano dalle fatiche di una lunga giornata, i VERMI SOCIALI, a qualunque classe appartengano, si agitano nelle tenebre e tendono perpetui agguati alla società.
Non sempre questi agguati si esercitano nel silenzio, nella solitudine e nelle tenebre di angusti viottoli, da gente perduta, da’figli della miseria che hanno facce pallide, lunghe barbe ed occhi lupeschi. Non sempre questi agguati hanno per teatro le pubbliche contrade; ma spesse volte gl’ insidiatori, i ladri hanno a trovarsi ne’salotti illuminati da splendide lampade, tra gente vestita con la massima eleganza, tra uomini che parlano il terso linguaggio e che sembrano appartenere alle classi più distinte della società.
Quelli che vivono nelle sfere del lusso non sono sempre i privilegiati figli del capitale e della proprietà. Avvi un gran numero di persone, le quali vivono tra le morbidezze e le squisitezze più raffinate, senza possedere di proprio neanche i panni che hanno addosso. Parlammo di questa classe di persone nella prima parte della nostra opera I Vermi, in quella parte che addimandammo La camorra elegante. Noi non ritoccheremo le cose ivi già dette; ma, dovendo trattare de’ grandi pericoli, per non dire de’ mali gravissimi che il lusso adduce alla società, ci piace addentrarci, per poco ancora, ne’misteri di una generazione di uomini il cui falso splendore suole talvolta abbagliare anche le autorità preposte alla pubblica sicurezza, e le cui arti sogliono sfuggire all’occhio severo della pubblica opinione. Per mala ventura egli interviene il più delle volte che questa pubblica opinione si mostri indulgente verso coloro che fanno una certa comparsa nel mondo, mentre apre grandi occhi su quelli che mostrano stentar la vita. Sembra convenuto nella buona società che i delitti abbiano a passare per vizi ed i vizi per buon genere, come si qualifica ordinariamente tutto ciò che puzza d’immorale.
In verità se noi fossimo posti a tutelare l’ordine pubblico, l’onor delle famiglie e le sostanze altrui, non tituberemmo a metter la mano, dovunque lo colpissimo, su quello che noi chiamiamo vagabondaggio elegante, assai più pericoloso del vagabondaggio cencioso. Non tituberemmo, ripetiamo, a metter la mano su chiunque vive nel lusso senza aver mezzi legittimi di vita, perocchè è certo che troveremmo la magagna esercitata a danni altrui. ‒ I mali che noi deploriamo, ci si obbietta, sono inevitabili in tutte le grandi e popolose città. Peggio per coloro che non si pongono in guardia contro le insidie de’ cavalieri d’industria. Ci si dice, non potere le autorità giungere a valicare certi confini imposti dalla inviolabilità del domicilio, dal rispetto della libertà. Dagli usi della civiltà, non poter il fallo governativo rispondere di ciò che appartieni alla semplice moralità delle azioni. E noi rispondiamo che, se certe insidie alle sostanze e all’onore altrui non si possono evitare nelle grandi e popolose città ove regna il lusso, non è già che tentare non si debba; rispondiamo che, se abbastanza difettosa è in se stessa l’organizzazione sociale, non la si deve rendere più difettosa per soverchia indulgenza verso le classi che appariscono ricche. Se coloro che vivono nell’ozio e nel lusso per effetto della eredità sono pericolosi alla società, nella quale gittano il veleno delle loro passioni incomposte, quanto più pericolosi non debbono essere coloro i quali vivono nell’ozio e nel lusso, senza possedere né proprietà, né rendite, né impieghi, né professione di sorte veruna! Se le ordinanze di Pubblica Sicurezza prescrivono l’arresto de’ vagabondi, e se per vagabondi s’intendono tutti gli oziosi che non posseggono beni di sorta alcuna, né esercitano abitualmente uffizio, arte o mestiere, né hanno altri mezzi legittimi di sussistenza, ancorchè abbiano moglie e domicilio certo, è chiaro che, come la Pubblica Sicurezza pone le mani addosso a quelli che essa verifica vagabondi nelle basse regioni sociali, dovrebbe parimente metter le mani su quei vagabondi che, invece di mostrarsi lungo le pubbliche vie, nelle cànove ed alle porte de’ luoghi di pubblico convenio, si aggirano nelle sale di agiate famiglie, ed in quei luoghi massimamente dove si aprono la sera infernali tavolini da giuoco.
Tutta l’arte di questi eleganti vagabondi sta nello eludere, il meglio che viene lor fatto, il codice penale. E spesso ci riescono; e la società li vede sfolgorare in brillanti equipaggi, mentre il loro posto sarebbe quello del galeotto, con la catena a’fianchi ed al piede. Noi ci dichiariamo inesorabili contro questa maledetta genia. Noi che invochiamo a favore del delinquente povero ed ignorante l’indulgenza del magistrato chiamato a giudicarlo, denunziamo invece alla giustizia punitrice tutti questi gufi da’ciondoli d’oro e dalle facce pallide per lunghe veglie.
Una delle facoltà di questi vagabondi è l’avere i nervi lavorati di fili di ferro invece che della sostanza del cervello, perocchè questi tali durano alle commozioni più violente, e, ciò che è più maraviglioso, non dormono che poche ore durante il giorno; e qualcun di loro non dorme per così dir che camminando.
In questa seconda parte del nostro lavoro, che noi abbiamo intitolata NAPOLI DI NOTTE, mostreremo la vita di questi animali notturni, ed avremo occasione di correre rapidamente su certe singolari specialità, nuove del tutto a quelli de’nostri lettori che non hanno mai avuto l’occasione di esserne informati.
Napoli, al pari delle altre grandi città di Europa, ha la sua vita diurna e la notturna. Quando la gran campana del convento di S. Martino ha suonato la mezzanotte, un altro ordine di persone poco numeroso subentra a quello numerosissimo che si eclissa, per dir così, nelle ombre della sera. Al di là della mezzanotte regnano due gran despoti delle umani passioni, l’uno che suole scegliere l’umile tetto della indigenza e della onestà, IL DOLORE; l’altro, che alberga nelle alte regioni ed anco in più modesti pareti, IL VIZIO. Noi guarderemo Napoli più specialmente sotto l’impero del secondo, che è propriamente quello in cui formicolano i VERMI del lusso.
. FRANCESCO MASTRIANI