Karì-Tismè è, in un certo senso, un romanzo atipico. Come pochissimi altri, infatti, le vicende in esso trattate, sono ricavate non dalla osservazione personale di Mastriani ma da accadimenti realmente avvenuti, e raccontati, relata refero, con fedeltà, dalla sua protagonista. Birma, una bellissima bambina georgiana, di Tiblisi, all’età di sette anni viene rapita da due loschi trafficanti e venduta ad una gran dama turca di Costantinopoli. Questa, a sua volta, per ingraziarsi i favori del Principe, ne fa dono al sultano Abdul-Megid che l’accoglie nel suo harem con il nome di Karì-Tismè.
Non è stato semplice, per il nostro scrittore, riportare fedelmente i concetti e le significazioni proprie di un modo di essere e di una cultura tanto diversa dalla nostra. Aspetto che caratterizza la concezione islamica della religione è che essa, mentre de facto da un lato è repressiva verso i costumi sessuali ed i sensi in generale, dall’altro lato promette agli osservanti delle regole di Maometto i più grandi godimenti sessuali, post mortem.
Le donne terrene, coperte con il burqa sono, naturalmente l’opposto delle Urì, le bellissime vergini dagli occhi neri promesse a chi si immola per la causa religiosa. Anche da questa promessa religiosa è riscontrabile, in modo netto, la differenza di considerazione che si ha nei confronti della donna. Alle eroine islamiche che si immolano, cosa viene offerto in dono dopo la morte?
Paradossalmente lo scrittore afferma, però, che se non fosse un seguace della religione cattolica, avrebbe preferito, forse ironicamente ed egoisticamente la religione islamica per godere dei premi offerti ai mussulmani.
Mastriani, persona razionale obiettiva ma anche persona accorta, ha dovuto riflettere molto e sapersi districare nel raccontare un mondo così diverso da quello da noi conosciuto. Egli annota, difatti, anche gli aspetti positivi dell’Islam, come ad esempio, il rispetto che hanno gli arabi per i luoghi di culto, nelle moschee. « Essi hanno ben addentro nel cuore il sentimento della divinità […] da noi si entra in chiesa come a teatro: quivi le signore guardano alle vesti ed a’cappotti delle altre dame, ed i giovanotti adocchiano le belle ragazze…».
Da un certo punto di vista, sarà stata dura per il nostro romanziere mettere a confronto le due religioni. Egli, convinto credente, certamente avrà apprezzato il profondo senso religioso dei mussulmani e la fede indiscussa nel loro Dio, ma ha dovuto anche enucleare le tante differenze ed anomalie professate da Maometto: la quasi schiavitù delle donne; il potere assoluto dei maschi nelle decisioni importanti della vita; il non senso del proibizionismo di alcool e carne di maiale; il senso del peccato verso la nudità; l’esclusione dalla vita sociale delle donne; il considerare gli appartenenti a qualsiasi religione diversa dall’Islam, degli infedeli da combattere fino alla morte; prevedere dei premi di godimento sessuale dopo la morte; cose non consentite in vita etc.
La nostra Karì-Tismè attraverso il suo manoscritto, consegnato a Mastriani, ha voluto comunicare al mondo, esterno ai serragli ed agli harem di corte, una realtà, dai più misconosciuta. Realtà fatta di abusi, schiavitù, nefandezze che vanno fino agli omicidi commessi, tra di esse, dalle varie Odalische del sultano, nella illusione di essere scelte, poi, come Favorite o mogli.
Il grande valore che sentiamo di attribuire a Birba/Karì-Tismè è non solo quello di aver svelato tantissimi segreti, una volta ammantati da misteri, ma anche quello di aver rinunziato ad un avvenire straordinario assieme al sultano.
Ella, infatti, grazie all’interessamento della madre del Abdul-Megid, che si era affezionata a lei, divenne promessa sposa del figlio del sultano, ed erede al trono. Ma ciò non fu sufficiente a distoglierla dalla fuga organizzata da una lettrice di francese e da suo cugino, Augusto Dufour che la portò in Francia e la sposò.
Birma/Karì-Tismè divenne infine la marchesa Maria Dufour, trasferendosi poi, a Napoli, dove nel famoso casino di madama Antonetta a Posillipo, consegnò il manoscritto a Mastriani. Pregò, altresì, lo scrittore di denunciare tutte le nefandezze che si commettono negli harem imperiali turchi, nonché le tristi condizioni delle donne.
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EMILIO E ROSARIO MASTRIANI
Discendenti diretti dell’autore