Francesco Mastriani si autodefiniva un ricercatore di drammi umani, nel senso che da veri fatti di cronaca nera imbastiva le trame per i suoi libri. Il presente lavoro ne è senza dubbio una prova.
Questo romanzo, quinto inedito del narratore napoletano, che noi discendenti diretti Emilio e Rosario siamo riusciti a portare alla luce dopo lunghi anni di ricerche, e che grazie alla collaborazione della Guida-Editori, sottoponiamo alla cortese attenzione dei lettori, è tratto infatti, da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1819.
Le scene si svolgono, per lo più, in uno dei quartieri più popolari della città, Montecalvario che, guarda caso, è proprio quello in cui nacque lo scrittore. L’avvenimento raccontato è l’omicidio commesso ai danni di un ricco uomo d’affari di Bari, e la principale imputata è la propria consorte, che lo stesso assassinato, sposandola, aveva tolta dalle scene del San Carlo ove era impiegata in qualità di ballerina corifea.
Dopo aver citato nelle sue opere vari quartieri di Napoli (il Pendino, citato in più romanzi, tra i quali La spigaiola del Pendino, la Sanità, citato anche ne La iena delle Fontanelle), ecco in questo romanzo, citato un altro quartiere storico, dove si svolge gran parte della trama del romanzo: Montecalvario.
In effetti citare e raccontare storie della Napoli ottocentesca è una delle caratteristiche più salienti dello scrittore partenopeo, considerato da tutti l’Atlante che porta sulle spalle il peso della sofferenza dei napoletani.
Il romanziere partenopeo è certamente il massimo conoscitore sia degli usi e costumi dei suoi concittadini, tra i quali egli vive ( o meglio sopravvive) che degli innumerevoli quartieri della nostra città, teatro delle più raccapriccianti storie di vita, vissute ai margini della società.
In molti altri romanzi si descrivono zone e quartieri della città, ed oltre a quelli citati nei vari libri editi, anche nei prossimi inediti, molte altre antiche zone della città di Napoli saranno descritte grazie alla penna del Mastriani: il Borgo sant’Antonio Abate, l’Arenaccia, Mergellina, Ottocalli, Pontescuro, la Pignasecca, la Carità, etc.
La particolarità della narrativa dello scrittore, cioè quella di scendere nel ventre della Napoli malfamata e raccontarne i drammi veri, ivi consumati, non fa che confermare e rafforzare la definizione che noi eredi coniammo per lo scrittore e cioè che Francesco Mastriani, a tutti gli effetti, può e deve essere considerato il verista per eccellenza della realtà napoletana.
Il presente romanzo, oltre che per il pathos che crea e la suspense che tiene col fiato sospeso il lettore per il contenuto accattivante della storia raccontata, ha un valore anche storico, soprattutto per gli amanti di teatro e di musica.
In esso vengono citati personaggi reali ed episodi caratteristici di varie personalità teatrali come, ad esempio, Don Domenico Barbaja, impresario del San Carlo, che conosceva personalmente tutti i più grandi compositori e cantanti del tempo.
Erano suoi amici, infatti, Rossini e Bellini, Donizetti e Mercadante, Pacini e Lablache, Tamburini, Rubini, etc.
Si racconta che per avere Rossini al San Carlo, con l’Otello, essendo il musicista abbastanza neghittoso nel venire a Napoli, Don Domenico, dovette rinchiudere il maestro, prigioniero in casa sua, dandogli per tutto svago, ogni giorno, per colazione, pranzo e cena i maccheroni al sugo, di cui Rossini era molto ghiotto.
Probabilmente, si potrebbe dire che la maggior parte dei libri prodotti dal Mastriani, non siano ʻromanziʼ nel senso stretto della parola, ma storie di vita reale, raccontate in modo romanzesco.
Quasi in tutti i suoi libri vi sono riferimenti veri che collegano i vari personaggi a situazioni storiche reali accertate.
È la caratteristica dell’autore che vuole rafforzare l’idea del verismo, non solo con la narrazione di fatti concreti e veritieri, ma agganciandoli ad indubbi accadimenti storici.
Noi discendenti, dopo aver letto tutta la produzione del romanziere, riteniamo che Mastriani debba essere riscoperto e riproposto al grande pubblico.
Egli oltre ad essere stato una persona coltissima (parlava correttamente cinque lingue), era senza dubbio il più grande conoscitore del popolo napoletano (viveva in bassi e zone ultrapopolari come i suoi concittadini poveri), ed era sempre proteso a trasmettere, attraverso le sue analisi, i tanti valori che sono alla base di una convivenza civile (famiglia, fede, umiltà e altruismo). Valori senza i quali la società sembra destinata a diventare una jungla, ove danaro e potere stanno prendendo il posto della solidarietà, della comprensione e della disponibilità verso gli altri.
Mastriani ha sofferto, probabilmente, come nessun altro, sopportando con fede e carità la morte di tre dei suoi quattro figli e vivendo in uno stato di estrema indigenza economica (ha dovuto traslocare di casa una trentina di volte perché non riusciva a pagare l’affitto).
Soleva dire infatti che: “Il primo affamatore del popolo napoletano è il ʻPadrone di casaʼ. Sfruttato da tutti, in particolare dagli editori, ha condotto una vita grama, non smettendo mai di additare al popolo i colpevoli della loro povertà: politici e benestanti che non si curavano minimamente della sofferenza del popolo napoletano, lasciandolo nella più completa ignoranza.
La richiesta continua del romanziere e di suo fratello Giuseppe, insegnante di letteratura italiana, della istituzione della cosiddetta “open school” a favore dei poveri e derelitti non fu mai presa in seria considerazione dai vari politici del tempo. Noi tranquillamente possiamo aggiungere non solo dai politici di ieri, ma neppure di quelli di oggi.
EMILIO E ROSARIO MASTRIANI
Discendenti diretti dell’autore