Francesco Mastriani era un napoletano verace, che conosceva alla perfezione la usa città, i suoi abitanti, la loro storia, la loro psicologia.
Da buon napoletano, come una volta si usava, cambiò tante case, nello spirito storico di quel 4 maggio, che induceva molti abitanti della città, compreso mio padre, a cui questo scritto è dedicato, a traslocare, in nome di una mobilità, più che fisica, psicologica, che induce il napoletano a cambiare aria, ambiente, anche in nome, non si può trascurare questo elemento essenziale, di condizioni economiche precarie e provvisorie di famiglie molto numerose (i poveri, un tempo, facevano più figli dei ricchi), difficili da portare avanti.
E quanti miracoli, di cui la storia, quella vera, non si è mai occupata, hanno fatto i nostri concittadini nell’allevare i propri figli, in condizioni non certo agevoli, garantendo loro un futuro di professionalità e stabilità economica fuori dal comune.
Francesco Mastriani aveva la letteratura nel sangue.
Quel racconto infinito, al quale il napoletano spesso si abbandona con infantile passione, diveniva in lui parola scritta con un trasporto ininterrotto senza fine.
Del resto, egli aveva la fortuna di nascere, di vivere nella città più “raccontativa” del mondo ma, soprattutto, nella città più estrema ed eccessiva che si potesse immaginare, in cui la realtà sopravanzava spesso la fantasia, inducendo persino alcuni scrittori a frequentare le aule del Palazzo di Giustizia per attingere temi e argomenti delle loro opere. Insomma, persino la Parigi dei Miserabili di Victor Hugo rischiava di essere sorpassata, nella vita di tutti i giorni, da una città, la Napoli di Francesco Mastriani, avida e ardente, anche per la presenza, che nella capitale francese non c’è, di un elemento vulcanico, sulfureo, che ne ha segnato per sempre il destino, sussultorio e turbolento.
Francesco Mastriani è un animale letterario, dotato, dunque, di una biologia creativa, che appartiene tutta intera alla sua città e che va ben oltre le stigmate critiche che le varie scuole di pensiero letterario hanno tentato di attribuirgli.
Egli amava, più che gli studi solitari, i Caffè, dove si vociava, si raccontavano storie a volte davvero incredibili, a cui talvolta si ispirava, per sentirsi figlio autentico di una città, che non può fare a meno di parlare, di rumoreggiare, come se il silenzio fosse una delle più apocalittiche condanne che la natura avesse riservato all’uomo.
Napoli, dunque, secolare capitale di un Regno, città bastarda per il sangue variegato che dominatori di quasi tutta Europa avevano in essa lasciato, riscattava la propria storia di dominio e soggezione con una scrittura, che era il risultato biologico di tutto ciò che era avvenuto, spesso in assoluta indipendenza ed indifferenza dei suoi cittadini, che, però, quando non ne hanno potuto più, come il loro vulcano, sono esplosi, dando prova irripetibile di coraggio, di epicità ed eroismo allo stato puro.
A Mastriani, come ai grandi scrittori, non interessavano le definizioni critiche, convinto più che mai, che la scrittura viene da sola, che, come diceva Pirandello, più che scrivere, si viene scritti; ecco perché tutte le possibili classificazioni che sono state date di lui lasciano il tempo che trovano e, soprattutto, lasciarono perplesso lo stesso autore, quando, con l’orgogliosa umiltà dei grandi, ebbe ad affermare che il realismo era nato a Napoli con Mastriani e non a Parigi con Zola.
Certo, egli scriveva per i giornali, anche per guadagnarsi da vivere, ma il suo scopo principale, ad avviso di chi scrive, era quello di mantenere un contatto, vero, vivo, per quanto possibile quotidiano, con i suoi lettori, ai quali per Napoli bisognerebbe dedicare pagine speciali, essendo la città, in qualche modo, la capitale della cronaca, come l’esperienza di Matilde Serao e di tanti altri autori hanno esemplarmente dimostrato.
Come dopo un primo tempo, una eventuale pausa, di un film, non si vede l’ora di conoscere il seguito, il finale e Mastriani questo ben lo sapeva, come altri grandi autori della nostra letteratura, che hanno affidato a giornali i fili rossi delle loro lunghe storie, la psicologia, fatti di curiosità e, sia consentito il termine dialettale, di “inciucio”, del proprio popolo, rimasto più di altri bambino, come ebbe felicemente a intuire Enzo Striano ne Il resto di niente, per la capacità di calarsi totalmente nelle storie, nei personaggi delle vicende narrate, come fossero amici, parenti, conosciuti da sempre.
Quante similarità si potrebbero scoprire con il materiale, soprattutto televisivo, che affolla le nostre giornate, tra posti al sole, all’ombra, finchè cala inquieta la notte, misteriosa e silenziosa.
La penna di Mastriani è frettolosa, ritmicamente musicale, come la nostra città; essa non ama le pause, le dormienze e le controre di molti scrittori, che, come alcuni musicisti, non riescono a mantenere lo stesso ritmo, a conservare una tenuta costante, che garantisca poi equilibrio e armonia.
Sebbene anch’egli, qualche volta, si distragga, recupera la nota, perduta o smarrita, e la rimette al suo giusto posto, come in uno spartito, dove tutto deve risuonare con forza, con efficacia e soprattutto penetrare nelle vene creative e critiche del lettore. Principale compagno di viaggio e avventura dello scrittore.
Mastriani è uno scrittore colto, consapevole, dotato delle solide basi culturali, che la Scuola un tempo garantiva; quindi, lungi da ogni possibile critica l’idea di un autore naturale, dotato di un genio creativo fine a se stesso; d’altro canto, c’è da dire però che questo bagaglio culturale, questo patrimonio formale e sostanziale, non appariva mai esibito, esposto ad una critica di esperti del lavoro.
Mastriani, da buon napoletano, coltivava una democrazia dello spirito, che lo induceva principalmente ad assecondare il lettore, ad aderire alla sua pelle, alla sua fantasia, sacrificando volontariamente tutti gli orpelli di cui avrebbe potuto fare ampia mostra.
Il suo unico obiettivo era il sogno di ogni vero scrittore; quello di farsi leggere, di non farsi mettere da parte, preferendo magari altri intrecci, altri intrighi. Ecco perché egli spesso forza le trame, ben sapendo che il napoletano è nato per lo stupore, per la meraviglia, come i pastori del suo presepe quotidiano, e che tutto ciò che è normale, reale, lo interessa relativamente; ecco perché si avanza qualche perplessità sulla sua definizione di realista, prima di tutti, nel senso che nessuna letteratura, e soprattutto la sua, può esserlo fino in fondo, essendo la letteratura, quella vera, sempre una interpretazione e, se si vuole, trasfigurazione della realtà e mai una sua pedissequa e scontata trascrizione.
Sono, questi, elementi che andrebbero più adeguatamente sviscerati dalla scrittura mastrianea, schiudendo probabilmente orizzonti, sfuggiti alla critica più avvertita.
Il realismo surreale del nostro autore si inserisce in piena sintonia in una linea letteraria, che sarà attuata con estrema naturalezza e vivacità dai nostri scrittori più autentici, legati al sangue rigeneratore della nostra cronaca e storia e guai, cosa che ciclicamente avviene, ad identificare cose che appartengono solo a noi con altre che appartengono solo ad altri.
Sarebbe un delitto, un oltraggio, com’è sperabile, inconsapevole, che rischierebbe ancora una volta di fraintendere una storia, una tradizione con ciò che ad esse minimamente non è propria. Bisogna essere, napoletani per capire Napoli.
Peccato che i napoletani, presi troppo fortemente dalla voglia di vivere, non fanno niente per capirla, e il discorso può polemicamente essere esteso anche a coloro che, tutto sommato, l’hanno più volte trascurata e tradita, preferendo modelli che con Napoli non hanno nulla a che fare e che, talvolta, ne travisano totalmente radici e ragioni.
Ma questo purtroppo è e sarà il nostro destino e, anche se a qualche lettore un simile ragionamento potrà apparire eccessivamente parziale e campanilistico, esso rispecchia “fedelmente” una realtà, che spesso si ripudia per mero egoismo e opportunismo personale.
Peccato ancora però che siano proprio costoro ad essere più celebrati, talvolta, persino adorati. Quanta ignoranza e stupidità avvolgono ancora il nostro mondo e Napoli, città così furba e acuta, rischia di allinearsi su posizioni, che non sono affatto degne della sua intelligenza e sensibilità, purtroppo anch’esse evidentemente in crisi.
asterebbe, del resto, a dimostrarlo il disinteresse verso un autore che le ha dato vita, oltraggiato, oltre che nella memoria, da circostanze contingenti, che ne offuscano la grandezza e la straordinaria popolarità, raggiunta almeno nel suo tempo.
Siamo isole che non riusciranno mai a diventare continente e finchè, cosa alquanto improbabile, non si deciderà, ad ogni livello, a valorizzare le proprie radici, con un rigore, una scientificità, che meritano anch’essi di essere restaurati e valorizzati, per dare a Cesare ciò che è di Cesare, ci si aggirerà sempre in formule trite e ritrite e, piuttosto che leggere i rileggere i testi sacri dei nostri autori, inevitabilmente datati ma a tutt’oggi rivoluzionariamente validi, si continuerà a fare accademia, ciò che Mastriani (e non solo lui) aborriva come segno di una cultura, che si estranea dalla realtà e segue percorsi poco praticabili per chi vuole fare di essa un bene comune e quotidiano, un qualcosa che ci aiuti a capire la realtà ma anche a superarla in nome di uno scatto creativo, che non può che suscitare felicità o dolore, scontentezza o stupore.
Del resto, che cos’è la vita se non tutto questo e che cosa sarebbe la letteratura, se non si assumesse l’onore di dare, da un lato, conto di tutto ciò e, dall’altro, di andare oltre, inventando uno spazio, che alla vita appartiene e insieme la supera per dare uno strumento in più per vivere la vita stessa davvero tutta intera?
Nessuno più di Mastriani può aiutare i napoletani a capire e conoscere se stessi e la critica ufficiale, che ha sempre considerato la sua opera paraletteratura, ad accostarsi alla verità di un popolo antropologicamente complesso, che, pur negli inevitabili cambiamenti temporali, continua a conservare intatta la propria sostanza umana.
Nei suoi molteplici romanzi ambientati nei più diversi quartieri napoletani, Mastriani abbraccia trasversalmente tutti gli strati sociali, che, dalle sue postazioni privilegiate, ossia i tavolini dei Caffè, aveva modo e occasione di osservare e di studiare con l’occhio acuto dello scrittore di razza.
E allora, le sue pagine sono popolate di aristocratici veri e presunti, di nascita e d’animo, borghesi arricchiti e involgariti dall’eccessivo denaro, ma soprattutto popolani, che della città esprimono lo spirito più autentico, più genuino, senza sovrapposizioni e senza edulcorazioni; popolani che nella loro primitività spesso animalesca, rivelano una generosità e un’apertura difficile a trovare altrove, ma anche una scaltrezza, capace di spingersi fino alla malvagità estrema, alla crudeltà più efferata; quella stessa crudeltà che induceva ad applaudire la decapitazione e le impiccagioni in piazza.
Napoli e i suoi molteplici volti sono, dunque, nelle pagine dense di Mastriani pronte a raccontarci come siamo stati e come, in gran parte, siamo ancora, con quella veridicità, che, se per il fatto di trarre sempre o quasi spunto da fatti realmente accaduti, episodi di cronaca viva, è, in qualche modo, accostabile a quel fenomeno che va sotto il nome di verismo, per il modo di raccontare, come già chiaramente detto, non è ad esso del tutto ascrivibile.
Spesso, nelle sue “distrazioni”, per altro volute e che rivelano un bagaglio culturale di notevole spessore, Mastriani apre delle ampie digressioni, in cui, parlando a tu per tu con il lettore, spiega, con piglio didattico, usi, tradizioni, etimologie, che ricostruiscano in maniera filologicamente corretta, insieme ai fatti, raccontati fin nei minimi particolari, un quadro antropologico e sociale della città, difficilmente rinvenibili in qualsiasi altro autore ottocentesco o contemporaneo.
he Napoli onori, dunque, chi merita, che riscopra i suoi autori geniali e inimitabili, che non li rinserri in un limbo segreto, dal quale non potranno mai aspirare alle glorie del paradiso letterario; che la smetta, una volta per tutte, di trascurare addirittura di parlare male dei suoi figli migliori, per adorare dèi falsi e bugiardi.
Solo così la nostra città potrà essere ciò che è sempre stata: una capitale, assoluta e inimitabile, della cultura, ma soprattutto della vita, che viene prima di essa e senza la quale non avrebbe alcun valore, alcun senso.
Che le giornate, dedicate a Mastriani, grazie alla laboriosa passione dei suoi eredi, possa essere un esempio e un monito per percorrere insieme, con onestà e vivacità intellettuale, strade, lasciate sterrate senza che nessuno si curi di renderle praticabili.
S
FRANCESCO D’ EPISCOPO