PARIGI

   Pare che in occasione della sottoscrizione nuziale tra il duca d’Aosta e la principessa della Cisterna le cose si sieno fatte con gran pompa e secondo tutte le regole del cerimoniale di corte.

   Tra le cose di tale solennità, di cui ci hanno istruiti i giornali, ve ne ha una che io noto espressamente, perché mi permetterà di ricordare un aneddoto retrospettivo. Eccolo: Per recarsi a mettere la sua cifra sotto all’atto matrimoniale, ciascuna delle diciannove dame, ammesse a quest’onore, attendeva che il suo nome fosse pronunziato dal ministro degli affari esteri. Venuto il suo giro, ella si alzava, si avanzava fino alla famiglia reale, e, fatta la riverenza, firmava, e poscia si restituiva al suo posto, tutta sola, separata dalle altre, e messa in evidenza, esponendosi al fuoco di tutti gli sguardi amici e nemici – Doveva essere questo un momento critico, un’assai dura pruova anche per le donne sicure del loro buon successo. Ma anche gli uomini, e specialmente i giovani, in simili casi sono generalmente più impacciati, svenevoli e timidi. Se ne ebbe una pruova sotto l’Impero quando i nuovi uditori al Consiglio di Stato, per prestar giuramento, dovettero passare in fila, un dopo l’altro, sotto gli occhi di Napoleone 1.°, ed innanzi a lui eseguire a vicenda il cavaliere a solo.

   In una sala del palazzo di Saint-Cloud l’Imperatore stava circondato da’suoi grandi uffiziali e da tutto il servizio della sua casa; nell’attigua sala furono introdotti gli uditori, che dovevano presentarsi successivamente al cospetto del Sovrano, secondo l’ordine alfabetico de’loro nomi; e tanto sarebbe stato facilissimo, se dapprima si avesse avuto cura di ordinarli, come si desiderava, in quella camera, ove, entrati alla rinfusa, si trovarono mescolati e serrati insieme indistintamente.

   Risultò da questa negligenza che la chiamata cominciando dalle A, si trovarono presso la soglia le L, le T, e forse anche le Z, che il caso aveva ivi collocate in prima linea. Le A quindi non si presentarono, sia perché essendo troppo lontane, non riusciva di attraversare la calca, sia perché non sentissero chiaramente la voce dell’usciere, coverta dal frastuono degli astanti. I secondi, i minuti scorrevano, e quel giorno, come avvenne a Luigi XIV, Napoleone fu forza che aspettasse.

   Che fare in tale estremità? Ai grandi mali, grandi rimedi! Si continuò l’appello, senza dare alcun segno di turbamento, e furono spinti innanzi coloro che si trovarono più vicini alla porta, poi i loro vicini più immediati, e così di seguito.

   «Sarebbe stato, dice M. d’Estourmel, che fu della sfornata e che ci ha raccontato questa scena divertita, sarebbe stata una felice occasione se i nomi e gl’individui si fossero trovati identici. Poiché io prevedeva qualche inconveniente da tale manovra, non curava di rispondere al nome altrui e cercava di svincolarmi e d’indietreggiare. Ma l’onda mi portava, e divenuto per forza capo di fila, mi trovai a mia volta innanzi alla porta, senza potermi sottrarre dall’introduttore, che mi disse: «Entrate, signore, l’Imperatore attende.» Io vedeva bene che bisognava esporsi a tutto, anziché fare attendere l’Imperatore. Sicché risolutamente risposi al nome di … Corsini.

   –.Ah! Corsini di Firenze, disse Sua Maestà. Io presi un’aria modesta, senza entrare in alcuna spiegazione, e passai rispettosamente, ed in silenzio, poiché il «Ah!Corsini» non era al certo una domanda.

   Diversi altri se la cavarono nello stesso modo, così alla buona. Ma sopraggiunse un giovane più coscienzioso ovvero più ingenuo, alla cui entrata l’usciere pronunziò il nome di Doria, che non aveva alcun rapporto, né da vicino né da lontano, col suo nome.

   –. Siete Doria da Genova? Gli domandò il grand’uomo con una certa premura ed affabilità.

   Ed egli, volendo esser sincero, rispose:

   –. No, Sire.

   –. Come! No?… Eh! bene, perché siete qui?

   –. Perché mi vi hanno spinto, Sire; trovandomi prossimo alla porta, sono entrato, come sono entrati tutti gli altri, che mi han preceduto.

   –. Che significa ciò? Disse l’Imperatore al Gran Cancelliere duca di Cambacères, aggrottando le ciglia.

   La spiegazione che gli fu data ed il seguito di siffatto incidente s’ignorano da me, ed a voi senza dubbio poco importano. Ho raccontato l’aneddoto: se vi è piaciuto, è l’essenziale.

                                                 

                    FRANCESCO MASTRIANI