«Il seguente articolo mi fu mandato mutilato, per conseguenza non so in quale giornale fu pubblicato». [1]
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Davvero che la morte del povero Mastriani lascia un vuoto in mezzo a noi. E chi non conosceva quel buon vecchio che scriveva per vivere e viveva per scrivere, poiché diciamolo ad onor del vero, tutta la vita di Francesco Mastriani fu un sacerdozio, un apostolato.
Qual fine ironia in quel sorriso che di tratto in tratto gli sfiorava il labbro! Quale nobile alterigia in quell’altiero sguardo, ma sempre affettuoso! Quale tristezza d’animo in quelle tenere parole ma sempre cortesi! Quanta sincerità d’amicizia in quella nervosa stretta di mano.
Povero Mastriani! la sua vita fu una lotta continua. Pochi forse erano a Napoli più popolari di lui; ma quante volte dovea lottare colla miseria! Niuno era in Napoli che non conoscesse Francesco Mastriani; ma quanti erano che conoscessero le sue angosce? Non nacque agiato; visse povero e morì povero. Napoli tutta salutava reverente la bara che racchiudeva il suo frale: fu trattenuto dalla pioggia incessante e fitta che cadeva. Le vie per cui passò quella bara venerata erano assiepate di popolo, di quel popolo che ei ritrasse con tanto brio di fantasia, di quel popolo sulle cui sventure egli sparse tante lacrime. Chi leggendo le Ombre, chi scorrendo i Vermi, chi conversando con la Cieca di Sorrento non si sentì stringere il cuore da una mano di ferro per compiangere la sventura che egli ritrasse sotto sì svariati aspetti? Povero Mastriani, egli non è più!
E Mastriani fu uno di quei pochi che scrisse troppo; né poté perciò scrivere con quella forbitezza che avremmo desiderato; la vivacità però delle sue scene, il brio del suo racconto, la naturalezza dei suoi personaggi e la verità storica di tutto ciò che ei venne narrando, sono tali doti che tramanderanno alle generazioni venture il nome di questo uomo, in cui la fertile immaginazione, la felicità della invenzione sono veramente ammirande.
Povero Mastriani! egli mangiò il pane irrigato dal suo pianto. Egli cadde combattendo, gloriosamente lottando; perché per lui lo scrivere delle glorie e delle sventure della sua Napoli era una lotta continua, incessante permanente. Lottò fino all’ultimo istante della sua vita, e sopraffatto dagli anni, dalle sventure, dalle sofferenze, dovette soccombere quale prode ed invitto soldato.
Sulla tomba di lui deponiamo l’omaggio del nostro affetto sincero, della nostra profonda venerazione.
Caserta E. de Rosa
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[1] Nota di Filippo Mastriani sul suo saggio Cenni sulla vita e sulle scritti di Francesco Mastriani, Napoli, L. Gargiulo, 1891