DELL’ANNO 1843
L’anno 1843 più non è!. Esso è andato a raggiungere i suoi fratelli nel golfo dell’eternità. Il soffio di seicento secoli l’ha cancellato dalla faccia della terra, e l’ha disperso nelle ruine dell’immenso passato, come una fogliolina di betula nelle foreste del Niagara. La generazione presente ha dato un altro passo verso l’obblio che l’aspetta – La speranza che ha illuso tanti uomini in questo anno defunto, li prende per la mano e li conduce sulla sommità d’un’alta montagna, da cui essi veggono all’oriente del tempo sorgere il 1844 come un’alba foriera di più fausto mattino… e tutti quegli uomini guardano… e sperano, fintantoché la speranza che sempre fa mirar loro in avanti, li conduce pian piano, e senza che se ne avveggono, sull’orlo della tomba.
In questo anno 1843 abbiamo assistito allo spettacolo d’una cometa. Questo spettacolo prometteva un interesse sostenuto, un dramma alla Dumas, nel quale si trattava nientemeno che della fine del mondo. Quelle sere noi tutti alzammo gli occhi al cielo; la luna guardava amorosamente la terra, e le case, i campanili, le torri, i castelli, le terrazze si covrivano in quella pallidezza propria de’tisici; la terra infatti aveva avuto una tosse emottoica cagionata dall’urto di quella cometa; ma noi avemmo un bel guardare in su; non vedemmo alcuna contradanza di pianeti; le stelle non eseguirono il minimo balancez, e ce ne andammo a coricare con una illusione di meno, ed un catarro di capo di più – Ci venne poscia l’avviso che la rappresentazione non avea potuto aver luogo, come gli Astrologhi ci avevano annunziato su i loro programmi, per indisposizione de’principali attori, e che veniva irrevocabilmente rimessa al marzo dell’anno 1893.
Noi vogliamo compilare, se non dispiace a’nostri lettori, il bilancio del 1843, e dirvi quello che anticipatamente ci promette il 1844.
Dapprima dobbiamo rivolgere gravi rimproveri all’anno che se n’è andato a figurare sulla scrittura doppia del tempo, come una partita d’esito. Il 1843 si presentò tristo, insipido, freddo; il sole era sempre annebbiato, il cielo sempre piovoso; la nebbia o la pioggia, sovente l’una e l’altra nel tempo stesso; esso camminava con abiti di lutto, versando un torrente di lagrime. Decisamente il 1843 si era lasciato corrompere da’venditori di ombrelle – Risguardato sotto un aspetto morale, quest’anno è incorso eziandio in parecchie incolpazioni, massime in fatto di cose letterarie e teatrali; in Francia esso ha creato la letteratura de’misteri, come il 1842 avea creato quella delle fisiologie, e il 1841 quella de’pamphlets. La buona memoria del 1843 ha arricchito l’Italia, ed in ispezialità la nostra Napoli, di stupendi e colossali opifici d’industrie e di manifatture; gli si rendon però le debite lodi.
Nell’anno 1844 ecco ciò che ci si promette.
Non pioverà mai, e il più magnifico sole non cesserà d’illuminarci.
Avremo 1001 giornali.
Le formiche moriranno co’primi freddi.
Gli Omnibus saranno destinati a raccogliere le immondizie della capitale.
I ladri andranno in prigione per debiti.
Tutti i soprani canteranno senza stonare.
Non vi saranno più sui teatri italiani cantanti inglesi, tedeschi, o barbari.
Le scene di S. Carlo torneranno alla loro primitiva serietà, e quelle del Teatro Nuovo alla loro antica buffoneria.
Tutto andrà bene nel migliore degli anni possibili.
Nulla fermerà Il Sibilo nel corso della sua prosperità; esso comparirà, se fa d’uopo, negli avanzi del mondo, e sarà il solo giornale di mode che leggeranno i popoli per ben vestirsi e ben pensare all’altro mondo.
FRANCESCO MASTRIANI