INTRODUZIONE
Quasi antropologicamente connaturato alla città di Napoli, il giallo vi ha attecchito facilmente, trovando tra i suoi vicoli brulicanti di un’umanità spesso degradata un fertile terreno d’elezione. All’ombra del Vesuvio nascono Salvatore Di Giacomo [1] e Matilde Serao, che vi ambienta un avvincente giallo; [2] e il medesimo sfondo è scelto per Il cappello del prete anche dal milanese Emilio De Marchi, comunemente considerato l’iniziatore il Italia di un genere che però è senza dubbio già saldamente radicato nei romanzi di Francesco Mastriani. Instancabile sperimentatore di forme narrative, lo scrittore napoletano costituisce, grazie a un’abile commistione di generi (rosa, nero, gotico, giallo, romanzo storico; e non da ultimo, il tragico), un modello archetipo, un serbatoio a cui ha poi attinto a piene mani il thriller napoletano contemporaneo. Un caso esemplare (tra molti altri: da Giuseppe Ferrandino ad Attilio Veraldi) è il «ciclo delle stagioni» del commissario Ricciardi, protagonista delle inchieste nate dalla penna di Maurizio De Giovanni, che sullo sfondo storico del fascismo ad arte ristruttura le forme del romanzo rosa e del gotico nel giallo, in un trionfo di intrighi, misteri e colpi di scena; un intreccio che fu proprio del romanzo d’appendice e che garantì a lungo il successo del genere presso un pubblico di medio-bassa cultura e tuttavia avido di lettura, sebbene in forme di consumo e per questo poste ai margini, etichettate come minori: paraletteratura appunto.
Decretato a furor di popolo, se non di critica, [3] «Il più notabile romanziere del genere [scil. d’appendice], che l’Italia abbia mai avuto», [4] Francesco Mastriani fu tra i primi a trasformare in letteratura d’intreccio la cronaca nera e giudiziaria. Scrittore sorprendentemente poliedrico, protagonista e nel contempo vittima dei nascenti meccanismi dell’editoria di massa, egli nacque a Napoli nel 1819 e qui morì, in gravissime condizioni economiche, [5] nel 1891, nonostante l’enorme successo ottenuto a partire dalla pubblicazione, nel 1851, La cieca di Sorrento: [6] il terzo, nell’ordine di una lunghissima serie di romanzi. [7] Ben lontano dal ruolo pregiudiziale di autore popolare in cui era stato relegato da una critica miope (significativo al riguardo il silenzio di Francesco De Sanctis [8]), Mastriani – nell’ordine, attore, scrittore teatrale, [9] giornalista, redattore, traduttore, ancor prima che romanziere – fu in realtà sempre orientato, in virtù di una solida formazione letteraria, verso i modelli alti, sia della tradizione italiana sia della contemporanea narrativa di denuncia sociale europea, mai dimentico della propria vocazione divulgativa e didattica.
La scrittura di questo fluviale forzato della penna offre un punto di osservazione privilegiato per saggiare il fenomeno di ibridazione delle forme del romanzo dell’ Ottocento: in primo luogo, la conversione della tragedia in tragico [10] e, in seconda battuta, la declinazione del tragico nelle differenti espressioni del giallo, in un percorso che si dipana per oltre quarant’anni, quanti ne corrono dalla pubblicazione del primo romanzo Sotto altro cielo (1847), alla morte. Sarà allora interessante ripercorrere le tre fasi in cui la critica è solita suddividere la sua produzione per decifrare gli indizi di questa metamorfosi dai romanzi romantici e gotici della cosiddetta prima fase (come La cieca di Sorrento e Il mio cadavere, che presentano già meccanismi narrativi e di montaggio tipici del thriller e del noir), fino a quelli della terza, in cui, abbandonato il lirismo della prima, di carattere patetico-sentimentale, e le asprezze dei quadri storico-sociali della seconda (I vermi, Le ombre e I misteri di Napoli), lo scrittore inizia a prendere sempre più spunto dai fatti di cronaca, traendone tragiche storie di amore e di delitti efferati, e ispirandosi spesso a reali casi giudiziari. I lavori di questo ultimo periodo anticipano difatti le caratteristiche strutturali del romanzo poliziesco e giudiziario: è il caso di Il processo Cordier (1878), in cui un confidente di una polizia incapace, il popolano Varricchiella, guiderà l’autorità giudiziaria nello scioglimento di un intricatissimo caso, rappresentato in un’aula di tribunale teatralmente ricostruita, o di Il bettoliere di Borgo Loreto (1880), dove la giustizia manderà invece a morte un innocente, o, ancora, di Il barcaiuolo di Amalfi (1882), in cui il delitto e il suo autore, dichiarati al lettore sin dall’inizio, sono poi ricostruiti a ritroso nell’aula giudiziaria attraverso una deposizione risolutiva avvenuta molti anni dopo. Non sarà di certo un caso la contiguità temporale dei tre romanzi, che sembrano anzi disporsi lungo una linea di sperimentazione progressiva, mostrando uno stringente rapporto tra letteratura, diritto e scienze mediche: di queste ultime due discipline Mastriani era un conoscitore diretto, avendo seguito inizialmente studi di giurisprudenza e di medicina; e si aggiunga che il fratello Giuseppe, giurista, era autore noto di volumi di diritto. In essi poi trovano piena ospitalità istituti di carattere processuale e sostanziale (che attengono cioè alle componenti sostanziali del diritto penale e civile) perfettamente corrispondenti alla legislazione del tempo in cui vengono ambientati. Tralasciando in questa sede altri testi successivi pubblicati senza soluzione di continuità in appendice al «Roma», alcuni dei quali mai giunti a pubblicazione autonoma (come L’assassinio in via Portacarrese a Montecalvario e I delitti dell’eredità [11]) o pubblicati postumi (come Il brindisi di sangue [12] e Delitto impunito [13]), segnaliamo invece come maggiormente interessante (e meritevole di uno studio autonomo) La Medea di Porta Medina; [14] in quest’ultimo, dove pure significativo è l’interesse mostrato verso gli interrogatori, noir e tragedia si fondono con i tipi del romanzo sociale e del romanzo giudiziario, in una prospettiva però maggiormente inclinata verso il tragico. [15]
. NADIA CIAMPAGLIA
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[1] Fu novelliere nero prima ancora che drammaturgo e poeta dialettale, autore del primo esempio di thriller d’azione italiano: sarebbe L’Odochantura Melanura, pubblicato in Pipa e Boccale (1893), una raccolta di racconti, perlopiù di atmosfera nera, ambientati in Germania: cfr. M. SIVIERO, Come scrivere un giallo napoletano. Con elementi di sceneggiatura, Napoli, Graus, 2003, cap. II. 1.
[2] Cfr. Il delitto di Via Chiatamone (1908); la Serao è autrice anche di La mano tagliata (1912), in cui napoletano è l’investigatore.
[3] Per una ricognizione dettagliata della critica, cfr. N. CIAMPAGLIA, La cieca di Sorrento e la scrittura narrativa di Francesco Mastriani: primi sondaggi linguistici, in «Linguistica e letteratura», XXXVII, 1.2, 2012, pp. 184-267, a pp.187-88, n.4.
[4] B. CROCE, La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, in La Critica, Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia, VII, 1909, pp. 325-351, a p. 417; il saggio poi confluirà in appendice a La Letteratura della Nuova Italia, IV, bari, Laterza, 1915, pp. 233-319.
[5] Cfr. FIL. MASTRIANI, Cenni sulla vita e sugli scritti di Francesco Mastriani, Napoli, tip. Gargiulo, 1891, poi in appendice a F. MASTRIANI, Le ombre. Lavoro e miseria, vol. II, Napoli, Luca Torre, 1992, pp.723-884 (da cui si cita) e in C.A. ADDESSO, E. MASTRIANI, R. MASTRIANI, Che somma sventura è nascere a Napoli! Roma, Aracne, 2012, pp. 135-270. Le dignitose richieste di aiuto di Mastriani possono leggersi in N. CIAMPAGLIA, Lettere di Francesco Mastriani ai suoceri e al musicista Giovanni Pacini (1847-1881), in CEOD (http://ceod.unistrasi.it/).
[6] Il romanzo, dapprima in appendice sull’Omnibus (a. 19, 1851, nn. 21-36, 38-40, 42. 43), fu edito in volume lo stesso anno per la Tipografia dell’Omnibus e l’anno successivo per Tramater; per la fortunatissima storia editoriale, N. CIAMPAGLIA, La cieca di Sorrento e la scrittura narrativa…, cit., pp.201-210 e nn). La popolarità ne mutò ben presto il titolo in espressione proverbiale ancora ben diffusa (cfr. M. CASTOLDI – U. SALVI, Parole per ricordare, Bologna, Zanichelli, 2003, p. 93). Il successo del romanzo testimonia inequivocabilmente il ruolo assunto indirettamente da forme di comunicazione secondarie, quali appunto quelle della paraletteratura e del teatro popolare, nei processi di italianizzazione e della propagazione della cultura presso i ceti medio-bassi: cfr. A. ARSLAN, F. DONOLATO, A. PANIZZOLO, A. VERONESE, Storia e destinazioni della «Cieca di Sorrento», in «Studi Novecenteschi», 13-14, 1976, pp.103-112.
[7] «In tutto, in cinquant’anni di lavoro mio padre ha dato alle stampe centosette romanzi, dugentosessantatrè tra novelle e racconti, dugentoquarantotto articoli diversi; […] totale circa novecento lavori» FIL. MASTRIANI, Cenni…, cit., p.816).
[8] Cfr. P. SABBATINO, “Guardate Napoli”: l’appello di De Sanctis e il silenzio su Mastriani, Biblioteca digitale sulla Camorra, consultabile on line al sito: http://www.youblisher.com/p/174111-Sabbatino_Guardate-Napoli .
[9] C.A. ADDESSO, Francesco Mastriani a teatro, Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria, 2009.
[10] Per la scrittura tragica di Mastriani N. CIAMPAGLIA, La metamorfosi del tragico in Francesco Mastriani, in «Esperienze letterarie», 3, XXXIX, 2014, pp.63-77.
[11] Usciti in «Roma», rispettivamente a.21, 1882, nn. 256-342, e a. 30, 1891, nn. 37-89; entrambi i romanzi non risultano pubblicati in volume: cfr. CLIO, Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento (1801-1900), Milano, Editrice Bibliografica, 1991, e A. PAGLIANI, Catalogo della Libreria italiana dell’anno 1847 a tutto il 1899, Milano, Ass. Tip. Libraria Italiana, 1903.
[12] «Roma», a. 28, 1889, nn. 126-187; in volume, Napoli D’Angelilli, 1891.
[13] Napoli, D’Angelilli, 1892.
[14] «Roma», a. 20, 1881, nn. 283-360; in volume, Napoli, Stamperia Governativa, 1882.
[15] Il focus narrativo è qui sul gesto criminale e sulle motivazioni sociali e psicologiche da cui esso meccanicisticamente deriva. L’impianto tragico del romanzo ne favorirà le trasposizioni teatrali e cinematografiche: Elvira Notari lo svilupperà in un film drammatico nel 1919 e Pietro Schivazappa ne trarrà nel 1981 una mini serie per Rai2 con Giuliana De Sio, Rosalia Maggio, Christian De Sica (cfr. P. FORNARO, Medea italiana, in Atti delle giornate di studio su Medea, a cura di R. Uglione, Torino, CELID, 1997, pp.117-163.
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In questa introduzione, ho rilevato alcune imprecisioni:
– Il romanzo Sotto altro cielo venne pubblicato la prima volta nel 1848 e non nel 1847.
– Processo Cordier e non Il processo Cordier.
– Il romanzo Il brindisi di sangue non è postumo. Venne pubblicato la prima volta in appendice sul «Roma» dal 7 maggio al 2 aprile 1889.
– Delitto impunito non è un romanzo inedito, è il titolo del racconto Lazzaro, pubblicato nel volume Novelle. Scene e racconti, Napoli, Rondinella, 1867.
L’articolo si compone di 5 paragrafi ed esamina i seguenti romanzi di Francesco Mastriani: La cieca di Sorrento; Il mio cadavere; Processo Cordier; Il bettoliere di Borgo Loreto.
ROSARIO MASTRIANI
NADIA CIAMPAGLIA (Napoli, 1969), dottore di ricerca in Filologia Romanza e Linguistica (IX ciclo, 1998) e in Scienze Umanistiche / Teoria dei Linguaggi (XXIV ciclo, 2013), è abilitata alle funzioni di professore associato in L-FIL-LET 12. Docente di ruolo di materie letterarie e latino nei licei dal 2000, è stata docente a contratto di Glottologia e di Linguistica Italiana (2000-2003) e di Glottodidattica e Linguistica Italiana (Roma, Lumsa, 2013-2016). Attualmente è assegnista di ricerca.