Costituisce motivo di grande soddisfazione culturale, intellettuale e sociale aver contribuito a togliere dall’oblio l’illustre romanziere napoletano Francesco Mastriani, che ben può essere definito “vanto della nostra cultura”.
Organizzando il Convegno “Aversa e Francesco Mastriani”, tenutosi il 24 novembre 2017 presso l’Aula Magna “Federico Santulli” del Liceo Classico Statale “Domenico Cirillo” in Aversa, lo si è reso un po’aversano, anche perché il “Centro Studi e Ricerche Cinzia Santulli” ha inserito nella sua “Collana” la pubblicazione dal titolo “Francesco Mastriani”, licenziandola alle stampe nel mese di novembre del 2017.
Il coinvolgimento all’iniziativa dell’Associazione Culturale “Mondoscuola”, dell’Associazione Culturale “Megaris” e dei cugini Emilio e Rosario Mastriani, discendenti dello scrittore partenopeo, di andare alla riscoperta di questo prolifico autore è diventata convinta adesione, anche personale.
Questo non solo perché siamo in presenza di un narratore intrigante e originale, ma specialmente perché Mastriani è stato, a partire dal 1874 e per diversi anni, docente nella gloriosa scuola cittadina, che è un istituto prestigioso, caro a tutti gli aversani, ma in particolare alla famiglia Santulli: lì è stato docente e poi Preside mio zio Federico, li ho cominciato la mia carriera.
Moderato dal dr. Ermanno Corsi, giornalista di chiara fama, quell’incontro ha beneficiato dell’adesione di tanti sodalizi cittadini quali FIDAPA Sezione Aversa, Lions Club Aversa Città Normanna, Convegni di Cultura Beata Maria Cristina di Savoia, Aversa Donna, Rotary Club Aversa Terra Normanna, Soroptimist International Club Aversa, Inter Cral Campania.
Si è trattato di un appuntamento letterario di alto livello culturale, perché è stato confortato dal contributo di illustri docenti che hanno svolto dotte relazioni su i più svariati aspetti della personalità di Mastriani.
Infatti, intervallati dalla dott.ssa Loredana Martinez, attrice e docente del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, e che ha interpretato alcuni brani tratti dalle opere del nostro, hanno relazionato: la dott.ssa Anna Geltrude Pessina, Docente nei Licei Psicopedagogici, sul tema: “Antropologia, demopsicologia, fantasie esoteriche, la vita di Napoli nei primi tre inediti di Francesco Mastriani, pubblicati da Guida Editore”; la dott.ssa Loredana Palma, Docente presso l’Università “L’Orientale”, sul tema: “Il modello Mastriani: dagli esordi nell’appendice al teatro italo americano di New York”; la dott.ssa Patrizia Bottoni, Docente Italian Studies c/o University of Toronto Canada, sul tema: “Il gotico medico-scientifico nei romanzi di Mastriani”; il dott. Francesco D’Episcopo, Docente di Critica e Letterature Comparate presso l’Università Federico II di Napoli, sul tema: “Un genio naturale per una città geniale: Mastriani oltre ogni appendice”.
L’aver subito accostato Mastriani al “Cirillo” non è un caso perché nel suo libro “Luigia Sanfelice ovvero Due feste al Mercato. Memorie del 1799” pubblicato nel 1876 da Gabriele regina Editore in Napoli, al cap.VII “Uno sgravio che poteva essere provvidenziale”, il nostro, “non potendo dire di tutta quella numerosa falange d’illustri afforcati”, ricorda due sommi eroi della Repubblica: Mario Pagano e Domenico Cirillo, spenti per mano del carnefice il 29 ottobre sulla piazza del Mercato.
Tralasciando in questa sede Mario Pagano e le altre 24 vittime, che penzolarono miseramente dalle forche, riportiamo le parole dedicate a Cirillo, quel nobilissimo uomo, vigoroso di ingegno, che alla nefanda iena del boia che gli chiedeva: “Alla mia presenza chi sei tu?” Rispose: “Sono un eroe!”.
Invitato a chiedere la grazia sovrana, Cirillo ricusò le beneficenze, dicendo: “Potrei sopravvivere alla ruina della mia patria ed alla morte de’miei valorosi colleghi?”.
Inoltre il legame tra “l’illustre romanziere partenopeo” e Aversa non si limita alla sua attività di professore di lettere, nominato in qualità di Docente Supplente di Italiano, assegnato alla IV A, dove per cinque anni e per tre volte alla settimana faceva “viaggetti”, imballandosi ne’carrozzoni di terza classe della “Meridionali”, non solo per fare lezioni di “letteratura italiana, storia e geografia” agli allievi, ma anche ricevendo rimarchevoli incarichi pubblici e privati.
Così è stato quando, per l’occasione di una festa letteraria, gli dettero da svolgere il tema “Manzoni e il suo secolo” e quello di comporre, officiato dall’Amministrazione Comunale, “l’elogio funebre di Vittorio Emanuele II, Primo Re d’Italia”, letto nella Chiesa dell’Annunziata il 20/12/1878.
Quando era insegnante al Liceo Cirillo (la scuola laica voluta da Gaetano Parente, lo storico illustre che è stato il primo Sindaco della città dopo l’Unità) si sottoponeva allo strapazzo di dover uscire di casa anche d’inverno, alle cinque del mattino, cioè di notte e anche con pioggia, neve o vento, per poter partire con il primo treno, onde trovarsi all’Istituto nell’ora stabilita per la lezione.
Piccolo di statura, calvo, barba e baffi alla Napoleone e con addosso un vestito liso e nero, spezzato da un gilet bianco, faceva meravigliare i ragazzi, che lo guardavano con benevole curiosità e simpatia.
Gli studenti erano stupiti di trovarsi di fronte ad un professore così diverso dagli altri, che pur all’età di 55 anni, era fiero e vivace, così tanto da mostrare ancora foga giovanile. Chissà che il suo modo di essere non lo avvicinasse alla caratteristica della “gente normanna”, che sotto sotto ne apprezzava “lo spirto guerriero” ch’entro gli ruggiva!
Andando a rivisitare, a duecento anni dalla sua nascita, una persona ancora oggi del tutto meritevole della nostra attenzione, significa pure chiedersi perché durante il suo percorso di vita non abbia avuto quei riconoscimenti che comunque gli sarebbero stati dovuti, non fosse altro che per la quantità rimarchevole della sua produzione letteraria.
La sorte di Mastriani di ritrovarsi escluso nel novero di quanti facevano parte della “nomenclatura ufficiale” è un po’quello che capita ai tanti anticipatori delle correnti di pensiero che si pongono in alternativa allo status quo o, talvolta, addirittura in contrasto con il potere costituito.
In quell’epoca i letterati si barcamenavano su di un doppio fronte: quello dell’adesione al classicismo e quello dell’apertura al romanticismo. Per tale via seguivano l’una o l’altra scuola di pensiero, a seconda della loro inclinazione e spesso per ossequio ai loro studi, ma comunque stando attenti a non andare in rotta di collisione con l’autorità.
Gli stessi giornali, che si pubblicavano allora a Napoli, praticavano una sorta di censura preventiva e, non occupandosi della “cosa pubblica”, trovavano una loro particolare fuoriuscita nelle polemiche letterarie e nelle dispute filosofiche: un diversivo!
Per il resto si limitavano a riportare soltanto quelle notizie positive, che davano l’idea di un popolo felice, guidato da un potere illuminato, là dove, a tacer d’altro, era avvilito dalla povertà.
In realtà quella pretesa buona condizione di vita non esisteva affatto e non c’era specialmente per lu popolo vascio, cioè quel popolino che Mastriani aveva scelto come destinatario dei suoi scritti e del quale si interessava per cercare di ammaestrarlo e per tentare di alleggerirne l’ignoranza.
Infatti in una lettera inviata al fratello Giuseppe, che si occupava proprio della “piaga dell’ ignoranza”, scriveva: “In questo libro mi propongo di dipingere la vera indole dei nostri popolani e mostrare quali virtù civili si sarebbero sviluppate nei nostri lazzari, ove l’opera della secolare tirannide non ne avesse snaturato i germi”.
Inoltre esprimeva il suo rammarico per chi non praticava “il severo culto della verità”, biasimando coloro che anteponevano la simulazione e l’ipocrisia al posto delle “civili virtù”: quanta attualità!
Dal momento che i governi vedevano la cultura come reazione alla loro presenza, si tentò di colpire le persone… colte con la famosa “guerra alle intelligenze”, per cui in senso di scherno i letterati erano chiamati “paglietti” oppure “penniferi”: quanta cattiveria!
In questo modo il popolo era indotto a pensare che la cultura, ma in genere anche le arti, le scienze e la letteratura erano addirittura da aborrire, tanto da paragonare studiosi e studenti alle prostitute: quanta ignoranza!
Si arrivava all’eccesso di scrivere sulle porte di alcuni luoghi aperti al pubblico: “ È vietato l’accesso alle meretrici, agli infami e agli studenti”: quanta esagerazione!
Questa temperie spirituale non solo gli derivava dalla sua sfera morale, che lo portava a ritenere che uno scrittore avesse una sorta di responsabilità morale, perché le sue idee potevano avere una grande influenza sui comportamenti dei lettori, ma anche da motivazioni di carattere culturale, essendo i suoi testi l’espressione di un atto di amore per l’uomo.
Dell’essere umano analizzava il cuore: da lui considerato il luogo misterioso dove si nascondevano le verità, le ansie esistenziali, le difficoltà della pratica dell’onestà, in una società in cui regnavano tanti disvalori dei quali si occupava con vero realismo.
Considerato per certi versi precursore del naturalismo francese e del verismo italiano, Mastriani, pur non essendo un gigante nel fisico, acquista una grande statura che, partendo dalla semplice attività di “appendicista” (cioè di uno cui era riservata l’appendice del giornale su cui uscivano a dispense le sue opere), si realizza come una specie di “forzato della penna”.
Non a caso totalizza in 43 anni di attività una notevole produzione letteraria che conta circa 900 lavori: 250 novelle e racconti, 105 romanzi, 40 commedie, farse e drammi, circa 200 articoli, 49 poesie, oltre a 150 dissertazioni, conferenze, discorsi funebri e accademici.
Tutta questa voluminosa mole di scritti ne fanno, come diceva egli stesso, un “ricercatore di drammi umani”, che lo porta di fatto ad essere il verista per eccellenza della realtà napoletana ottocentesca.
Di certo non era periodo facile quello in cui visse Mastriani, specialmente per uno che come lui aveva una famiglia numerosa da portare avanti e con la convinzione che, rispetto al potere, si doveva avere un atteggiamento indipendente, austero e senza accettare ordini o imposizioni.
Il suo convincimento derivava anche dal suo credo, che ne sostenne la coerenza, anche a costo di patire “privazioni, debiti, miseria, fame”, come egli stesso annotava in una corrispondenza del 16/09/1865.
D’altra parte questo accadeva anche al suo popolo, con il quale era sempre a contatto, perché lo amava profondamente e lo rispettava al punto che aveva codificato nel motto di famiglia il Salmo XXIII, il cui verso recita: “Rifuggi dal male e opera il bene: cerca la pace e perseguila sempre”!
E che fosse un credente convinto ed ossequioso delle pratiche religiose, è dimostrato dal fatto che, quando per ordine del Capo della Polizia, gli si chiese di recarsi al lavoro anche di Domenica, rispose: “Io non verrò , perché il giorno festivo domenicale è consacrato interamente ed esclusivamente ai doveri di cristiano: Domineddio è al di sopra del Direttore Generale”.
Non v’ha dubbio che, uomo del popolo, colto, mite, onesto, Mastriani vada ulteriormente studiato e approfondito dal momento che, oltre che come romanziere, va preso in grande considerazione anche come letterato, novelliere, autore teatrale e giornalista.
Pochi sanno che ha scritto per i quotidiani romani dell’epoca quali “Il Messaggero”, “Il Popolo Romano” e il “Capitan Fracassa” e con il giornale “Il Secolo di Milano”, dove sono stati pubblicati a puntate i romanzi “Homuncolo” e “La Catalettica”, senza contare le altre testate con cui il romanziere napoletano ha tanto collaborato come “feuitellonista”.
“le roman feuilleton” è un romanzo popolare che con un intreccio complesso e dei personaggi fortemente caratterizzati sia nel bene che nel male, di solito si risolveva in un trionfo finale dei buoni sentimenti.
Essendo per lo più a carattere letterario, veniva pubblicato a pie’pagina su quotidiani o come inserzione nelle riviste che uscivano di solito la domenica.
Questa modalità di proporre la dimensione sociale e ambientale dei contenuti esistenziali popolari lo porta ad una narrazione così immediata e diretta che non è azzardato paragonarla a quella forma tipica di rappresentazione teatrale, conosciuta come la “sceneggiata napoletana”.
Siamo in presenza di una sorta di commedia ad effetto, che, se si vuole, è un modo verace di rappresentare le tristi storie, anche farsesche e drammatiche, che toccano ancora oggi tanta parte delle popolazioni e di alcuni ambienti dei nostri territori.
Del resto, Mastriani, un artista che si nutre del legame con la propria terra e la sua gente, ha sempre ambientato le vicende e i personaggi a Napoli e nelle città viciniori (La cieca di Sorrento, La sepolta viva), molto probabilmente perché, innamorato di quella città e di quelle persone, ha cercato di contribuire a risollevarne le sorti.
Proprio per questo dobbiamo ri-scoprirlo, ampliandone la conoscenza e promuovendo una ri-visitazione attuale delle sue tante opere.
Magari anche pubblicando quelle inedite, come è stato fatto di recente con “La malavita”, la dove emerge la cruda realtà di una Napoli abbandonata e sofferente, che mostra mille piaghe, fermate in una istantanea agghiacciante.
Tutto ciò va fatto perché in una stagione di eclisse del pensiero filosofico e del senso critico ed in un mondo, che si avvia verso una condizione generalizzata di tacito consenso e di assuefazione massificata al male, va riproposta la “lezione” di chi, come Mastriani ha tentato, diffondendo il suo pensiero con la scrittura, si affermare il ruolo una volta egemone dei media e dei libri per educare ad apprendere più che a comprendere.
Solo non accattando una maniera di vivere da suddito, più che da protagonista e non rinunziando ad essere compos sui, come dicevano i romani, ognuno, alla perfino, potrà diventare davvero faber fortunae suae!
Così facendo, si potrà pure ri-affermare la centralità della “persona umana” nella costruzione progressiva di una società dove è l’uomo ad immaginare e realizzare le azioni positive, che hanno regolato e tuttora devono regolare ancora la storia dell’umanità.
Attraverso la sacralità di un linguaggio inteso come elemento evocativo e mediatico, che lo porta a scandagliare la realtà effettiva in cui si trovano i suoi contemporanei non abbienti, Mastriani in modo viscerale e diretto, descrive, con nuove parole dal valore universale, un tran tran quotidiano.
Tutto questo segna il suo cammino di scrittore, aduso ad una prosa meno strutturata ma, di certo, più immediata ed efficace, scarna e incisiva.
È quello che si conviene ad un osservatore che, fortemente ancorato al suo ambiente, si muove come un ago sensibile verso la direzione di un nuovo orizzonte. Sarà di certo molto più ampio, anche perché, così facendo, le verità empiriche, una volta affrontate vis a vis, possono mutare di giorno in giorno, modificando gli altri in meglio e restituendo dignità all’essere umano.
Forse, proprio analizzando il valore dei suoi libri, si potrà dare anche un ulteriore potere a quelle parole, che oggi sembrano inflazionate. E chissà che così non si scuotano anche gli intellettuali, facendoli ritornare ad interessarsi della “nobile arte della politica”: soprattutto per non permettere a chi non ha titoli né meriti di sedere ai posti di responsabilità da cui dipende in concreto il tanto conclamato “bene comune”.
Certamente siamo in presenza di qualcosa di cui è privo il nostro disorganico presente, quando resistono preoccupanti tracce di vive e visibili storie, profonde e laceranti che sono insite nelle vicende umane odierne.
Tuttavia è auspicabile che le difficoltà attuali possano essere superate, non attendendolo ma guidando il futuro, che, però, non deve vedersi come qualcosa lontano, bensì vicino: quasi come un presente-futuro, in quanto che ci si potrebbe trovare irrimediabilmente fuori tempo massimo.
PAOLO SANTULLI