LO SCOPO MORALE NELLE PRODUZIONI TEATRALI

   Vi sono moltissimi i quali, avendo sentito a parlare di richiedersi lo scopo morale nelle produzioni teatrali, credono che ciò sia rancido e noioso, e che lo scopo morale ad altro non serva tranne che a raffreddare un dramma o una commedia, per volerci a forza ficcare una buona dose di questa pesantezza, come se il teatro dovesse essere convertito in cattedra di filosofia. Quelli che ragionano a questo modo danno manifesta pruova di pochezza di mente e di grandissima mezzanità di cognizioni. Eglino confondono il fine co’mezzi, e pretendono che l’autor drammatico abbia raggiunto il suo intento allorché ottiene di dilettare il suo uditorio.

   Per dimostrare la falsità di tali ragionamenti, basterà considerare che raramente si ottiene l’intento di dilettare, quando non si giunge a destare il così detto interesse. Ora, in qual modo questo interesse vien desto? Col richiamare tutta l’attenzione e la curiosità intorno al viluppo dell’azione drammatica, intorno a’personaggi che si pongono in iscena, ed attirando sovra questi la simpatia o l’odio degli spettatori, a seconda delle virtù o de’vizi che l’autore dà loro.

   È chiaro che nelle arti rappresentative l’uomo cerca sempre il ritratto vero o genuino dell’uomo. Le grandi ascose molle che vibrar fanno il cuore umano in tutt’i tempi e in tutt’i luoghi son quelle appunto che costituiscono l’interesse d’una produzione teatrale, e queste grandi molle non sono che gli eterni principî della morale e della giustizia posti da Dio nel fondo di ogni anima.

   Durante la lettura o la rappresentazione d’un lavoro drammatico, gli spettatori si spogliano, per così dire, delle loro particolari passioni per identificarsi co’personaggi che compongono la favola. Eglino piangono, esultano, fremono, palpitano, a tenore della sposizione di atti commoventi, grandiosi, orribili o teneri. L’ingiustizia li muove a sdegno; la ferocia gl’irrita e gl’induce a maledire il finto personaggio che vi si abbandona; l’avarizia fa schifo; ed ogni bassa e trista passione trova un istinto di odio e di ripugnanza anche in quelli che per malnato abito sono schiavi di essa.

   Tanta è la forza de’principii di moralità scolpiti da Dio nel cuore umano, che l’omicida freme al racconto di un assassinio, che il ladro detesta il ladro, che ogni vizioso abborre in teoria il vizio da cui è preso.

   Ecco su quali fondamenti è poggiato l’interesse drammatico; vale a dire che questo non può esser destato senza lo scopo morale; in altri termini, l’attore non può conseguire l’intento di dilettare il suo uditorio, senza eccitare in esso quei sentimenti di simpatia per la virtù o di avversione pel vizio, i quali sono intrinsecamente così fecondi di beni nel consorzio civile e nel seno delle famiglie.

                                                                             FRANCESCO MASTRIANI