Queste sì, che sono impressioni da scriversi; mi diceva uno de’nove miei compagni mentre io all’impiedi presso lo sportello dello Char-à-banc vedea rapidamente fuggire il bel sole di Napoli attraverso la colonna del fumo della macchina a vapore; e quello infatti era un incanto che i sensi inebriava, un effetto di fatagione che tutta l’anima travolgeva, era un torrente di deliziose impressioni. Giovedì scorso il cielo era sgombro di nubi; il molle tepore de’raggi del sole, ed un giorno, la cui trasparenza voluttuosa non era velata neanche dalla più sottil nebbia invernale, c’invitarono ad una gita al Granatiello, ove traggono tutti i beati del secolo, perché così dimanda la moda, e pel facile mezzo di trasporto che loro offre il vapore. Abbenchè la maggior parte de’miei compagni fosse composta da giovani, era un bell’osservare la discrepanza d’indoli e di temperamenti, che lungi da far nascere contrasti e dispute, accresceva al piacere della giornata la spensieratezza del dialogo, ed i sali degli epigrammi. Ci era qualcuno che a furia di mottetti e di frizzi volea farmi passare la voglia di mai più spacciarla da romantico, come egli diceva, e metteva in ridicolo senza misericordia Foscolo, Chateaubriant, Hugo, nonché i loro imitatori. S’immagini però ognuno qual dovett’essere la mia soddisfazione quando, spiccandosi da Napoli il vapore, sentì quel nostro positivo d’avere un’anima italiana, e non rifiniva mai dall’ammirare quella scena, vera e genuina immagine della giovinezza e della vita. In quell’immenso travolgimento di cose che si presenta alla vista di chi sta ritto vicino allo sportello della carrozza quando più rapido è il corso della macchina, in quel fugacissimo Valzer della sottoposta natura, tutto palpita come mosso da vita e da sentimento; è un fascino che trabocca sovra gli esseri inanimati; un fremito della terra che geme sotto la potenza dell’uomo. E poi vengono a dirmi gli egoisti che le sono queste visioni, e fantasie!! L’inverno di Napoli è il tempo de’suoi piaceri, la stagione della voluttà e dell’amore. L’està è la morte degli ingegni, la stupidezza dell’anno, la stagione de’ghiri.
Napoli non ha inverno, le sue giornate piovose sono sempre in minor numero delle belle giornate, e le rigide sono quelle appunto, in cui l’energia della vita e la forza dell’intelletto si appalesano in tutta la loro estensione. Mi si decanti la primavera come il tempo dei fiori e della giovinezza dell’anno; mi si dica che l’està offre grato ricovero sotto l’ombra di pacifici ritiri; si esalti la magnificenza dell’autunno in cui la terra schiude il suo seno ubertoso; io alzerò sempre la voce in favor dell’inverno, e dirò che solo nei mesi brumali ha la vera gioia la vita. Bisogn’aver veduto Napoli dall’alta loggia di Pietro al Granatiello, dopo un generoso pasto, in un giorno di gennaio, nell’ora, in cui l’astro della luce piegato su quella curva incantata del Golfo di Posillipo, vi spinge il colorito d’una decorazione teatrale, bisogna aver contemplata quella natura più bella perché più spogliata di vani ornamenti, quel cielo più puro perché meno ingombro delle ardenti esalazioni della terra, bisogn’aver contemplato tutto ciò dopo le pioggie di molti giorni, dopo i rigore della stagione; allora non ci sarà chi non vorrà chiamarmi utopista se io lodo al cielo l’inverno. Ed in fatti immaginate nel mese di luglio la stessa scena da me descritta, e di leggieri me converrete che sarebbe orribile quel sole, noiosa quella eterna verdura, ipocondrico quel posto, faticosa quella giornata, insopportabile quella luce, quella marina, quella terra, quel cielo. O amatissima Napoli, allora che seduto sul parapetto di quella loggia, io ti contemplava nella tua schietta semplicità, con quella corona di sempre verdi colline che ti orna il capo; con quella fascia azzurra carico che ti cinge il seno, io ti amava, come avrei potuto amare la più cara fanciulla della tua terra, e benedica la Provvidenza che mi aveva prediletto a segno di farmi schiudere gli occhi sotto la più bella delle cose create! O Napoli mia, io non era che poche miglia discosto da te, e tutta sentiva nel cuore l’amarezza dell’esilio, e non potea staccare i miei sguardi da te, e non sospirava che il ritorno.
FRANCESCO MASTRIANI