L’Economia politica è l’estetica degli Stati: tutti si credono in grado di ragionare di quella come di questa, e ciò per la semplice ragione che su le cose astratte e speculative tutti possono più o meno sputar sentenze e farfalloni, purché si abbia l’ingegno di dir cose che nessuno capisca. La credulità non è attributo particolare a’semplicioni ed agl’ignoranti. Ci sono molti uomini sodi e di gran cervello che tengono come oro di buona lega qualsivoglia rozzo metallo che lor si presenti ben allucidato e splendido per finissimo orpello. È noto l’aneddoto del villano che, essendo andato a sentire una predica, se ne tornò tutto scontento del predicatore, dicendo non valer questi una fescina perché avea detto cose che egli avea capito perfettamente. E noi conosciamo di molti valentuomini colla barba sul muso e con non poco sale in zucca, i quali sono corrivi a dar prezzo altissimo a quelle cose che meno intendono; e tengono per saputoni quelli che han sempre su le labbra o alla punta della loro penna un frasario che non ha verun significato neanco per loro stessi. L’economia politica è però come l’estetica una scienza fatta apposta per gittar polvere agli occhi de’gonzi; e noi sappiamo di moltissimi, rape in sostanza, saliti in auge per aver professato colla più madornale impudenza una scienza, la cui chiave era ne’segreti della loro ambizione o della loro ignoranza. Altri invece, a giudicare d’una cosa, si appigliano alla cieca al così detto senso comune, il quale in realtà non è che il criterio particolare d’ogni uomo, modificato a seconda delle proprie tendenze, de’proprii principii e delle proprie passioni; sicché può dirsi esserci tot capita quot sensi comuni.
Abbiamo premesso questo piccolo esordio per dire che quando si tratta di giudicare di cose astratte e speculative, è d’uopo che la ragione sia il giudice supremo, e per ragione intendiamo quella universale facoltà dell’animo per la quale il bene dal male si scerne e il vero dal falso; e quando si tratta di giudicare di cose di fatto, è d’uopo interrogare la pubblica opinione, il che vuol dire la opinione dei più.
Noi dunque ci atterremo a questa nel fare qualche osservazione al nostro Municipio a proposito delle strade di Napoli. E innanzi tutto ci protestiamo che diremo le cose così alla buona, senza pretensioni e senza levarci in cattedra. Il nostro Municipio non manca di buona volontà; ma talvolta sciupa il tempo in discussioni politiche nel seno del Consiglio; talvolta è lentissimo; talora sembra che abbia paura di por mano alle grandi opere, ed il più delle volte sembra sfiduciato o scuorato dagli ostacoli che si levano contro e da qualche piccolo mal che pur bisogna fare per raggiungere un gran bene. Guardi il Municipio allo stupendo meccanismo della natura, certo i venti e le bufere arrecano gravi disastri alle messi, agli animali ed agli uomini; ma Iddio guarda forse a questi danni minori e particolari, se i venti e le bufere sono intesi a serbare l’equilibrio delle forze della natura ed a purificar l’aere dagli elementi improduttivi e letali? E, scendendo al fatto degli uomini, le grandi invenzioni e scoperte che hanno illustrato la sapienza del secolo decimonono avrebbero mai avuto luogo, se i loro autori e discopritori o quelli che li posero ad atto avessero guardato allo indispensabile sciopero delle umane braccia ed ai tanti interessi che venivano danneggiati da quelle invenzioni e scoperte?
Il Municipio adunque si faccia animo; e, allorché gli si offre un’opera di vera utilità universale, non sia peritoso e titubante pe’clamori di qualche classe che ne verrebbe danneggiata, e s’egli animoso pon mano a questa opera, non la meni innanzi a rilento e come di malissima voglia; bensì vi faccia concorrere tutte le forze di che può disporre, e non prenda lena, per dir così, che quando l’avrà vista compiuta.
E, prima di ogni altra cosa, esortiamo il nostro Municipio, anzi lo preghiamo e lo scongiuriamo di accelerare, per quanto è possibile, i lavori delle Fosse del grano, eterna Pompei a Toledo. Sono molti anni che queste ruine sono rimaste ruine, e Dio sa per quanti altri anni ancora rimarranno ruine. Poiché alcuni, e non senza ragione, chiamano il nostro municipio il municipio di Toledo anzi che il municipio di Napoli, abbia almeno un poco di tenerezza per la sua strada e non lasci eternamente nel cuore di quella città quel simulacro di terremoto.
Un’altra nuova strada che minaccia di prendere un’altra decinella di anni si è quella che da Foria mena all’Arcivescovado. Di somma importanza è questa strada, come quella che apre uno sbocco novello allo immenso traffico di quei viottoli angusti. Oh quanto sarebbe anche indispensabile una strada che dal cuore della città menasse alla sede de’Tribunali, senza costringere i cittadini a transitare per quell’unica, angustissima e pericolosa via di Forcella! Diciam pericolosa perché transitando per questa strada si corre il pericolo di rimanere schiacciato dalle carrozze.
Ma lasciando stare le nuove strade, e venendo alle vecchie, noi ci troviamo al cospetto di tutt’i peccati mortali del nostro Municipio. Uscite per poco da Toledo, da Chiaja, da Foria, e i vostri occhi sono conturbati dalle immondizie, i vostri orecchi sono assordati da’frastuoni, i vostri nervi olfattorii sono offesi da ogni sorta di puzza. Sono circa sette anni dacché i Borboni ci hanno levato l’incomodo; ed è come se la loro presenza ci funestasse ancora, se guardiamo allo stato in cui si trovano parecchie nostre strade. Senza toccare de’quartieri suburbani, come Porto, Pendino, Vicaria e Mercato; ma attenendoci alle sezioni prossime a Toledo come Montecalvario, S. Lorenzo, Avvocata, non possiamo dare un passo senza esclamare Eripe me de luto ut non infigar. Salite soltanto tre vichi sopra Toledo e provatevi a camminare, se è possibile, su i vostri due piedi. Dal Conte di Mola salite fin su la Concordia se ne avete il coraggio, e un nuovo callo al piede non potrà mancarvi. E che nettezza in quel Vico storto Concordia! Come si cammina bene su per le Colonne Cariati! Come ti devi raccomandar l’anima a Dio passando pel vico 1 e pel vico 2 Concezione Montecalvario! Che poesia in quel vico Chianche proprio su Toledo! Come sono belli e nitidi quel Vico lungo Teatro nuovo, quel Vico S. Sepolcro, quel dirupo che dalla Pignasecca mena al Vico Paradiso! E quella Pignasecca! Vera immagine dello inferno, vera bolgia di Dante! E che cosa ne dite di que’vicoli adiacenti a S. Maria ogni bene, i quali si possono piuttosto chiamare di S. Maria ogni puzza!
Da Montecalvario saltando all’Avvocata, portatevi a salire per Pontecorvo; e, se non ci rifondete un paio di stivali, voglio che mi si dia una pubblica mentita. E il Vico Nocelle dove romper vi potete la nocella del collo? Se mancassero le pietre per edificare a nuovo tutta Napoli, il Vico Nocelle ne fornirebbe a josa.
Avremmo bisogno di dieci volumi in foglio se volessimo toccar le piaghe materiali di tutte le dodici sezioni di Napoli. Non ci basterebbero trecento di questi articoli per dire quanto è da fare nelle Sezioni Porto, Pendino, Mercato e Vicaria, dove son per lo appunto le classi più laboriose e in pari tempo le più bisognose di Napoli. Avvi in queste sezioni ottantaquattro antri di bestie feroci che si domandano fondaci o supportici, specie di cortili chiusi, puzzolenti, oscuri, mefitici, ne’quali vivono migliaia di d’infelici pallidi, gialli, emaciati, cogli occhi smarriti, colle labbra allividite e ricoperti appena da luridi cenci. Noi non esageriamo, né carichiamo il colorito di un quadro, che ciascun napolitano può da sé medesimo verificare se gliene basta il coraggio.
Bisogna assolutamente atterrare questi parchi di fiere, e creare al popolo novelle abitazioni in cui respiri almeno l’azoto e l’ossigeno. Si destinino perora a ricoverare l’onesto operaio gli edifici già appartenuti alle soppresse corporazioni religiose, insino a tanto che nuovi quartieri in siti aperti ed ariosi non accolgano nelle loro case i trecentomila abitanti de’nostri luridi quartieri suburbani, i quali non potranno fruir mai della benefica luce della civiltà e del pensiero insino a tanto che mancherà loro la luce del sole.
Le strade di Napoli non potranno mai mantenersi nette finchè una tanta parte delle classi povere abiterà ne’così detti bassi. Questi tugurii esposti alla vista de’passanti sono un rimprovero perpetuo alla lentezza della nostra civiltà. Ogni specie di lordura vien da questi bassi in su le pubbliche vie ; e spesso oltraggiato ne viene il pudore.
Ma come espellere le classi povere da questi bassi, finchè durerà la camorra infame de’nostri padroni di casa? E qui, non al Municipio, ma ai Rappresentanti della nazione ci rivolgeremo con una seguela di articoli chiedendo a nome della oltraggiata umanità: LA TARIFFA DELLE PIGIONI PROPORZIONATA ALLA TASSA FONDIARIA.
FRANCESCO MASTRIANI