L’ATTORE

   Svolgere il libro della vita pagina per pagina, verso per verso, analizzare scrupolosamente la grammatica delle passioni dall’alfa all’omega, cioè, per quelli che non intendono il greco, dalla fanciullezza alla morte; notomizzare fibra per fibra l’opaco muscolo del cuor umano, è questo lo studio del filosofo confinato nel suo gabinetto, seduto su morbida seggiola, lontano dal pelago degli affetti, appunto come l’anatomista è straniero alla piaga, cui va esaminando; è insomma lo studio dello spettatore freddo ed egoista, che assiste indifferentemente al sublime dramma della vita. Ma questo studio non basta per l’Attore: egli è d’uopo che questi siasi veduto balestrato da fortuna per tutt’i razzi della costei ruota, è mestieri che egli abbia sentito tutte le turpitudini e le miserie del cuore, tutt’i fascini d’una esistenza carica d’oro e di seta; e ciò non basta… se egli è passato stupidamente attraverso i casi e le vicende come la maggior parte degli uomini, senza brigarsi di studiare la sua posizione e quella degli uomini che il circondano ed ebbero influenza sugli avvenimenti di sua vita; se il suo cuore non ebbe la forza dell’ingegno, che ha un ghigno di sprezzo per le gioie dell’esistenza, ed un sorriso di voluttà in mezzo alle angosce del dolore; se infine il più squisito sentimento, raffinato da energiche passioni, non educò le sue fibre a tanta movibilità e trasparenza da lasciar leggere sul volto gl’interni pensieri ed affetti, il bozzetto da esporre non è mica individuale, ma comune a tutti gli uomini: il ritratto dell’uomo non dev’essere né più esatto né più bello di quello che è in fatti.

   Il nostro giovine scrittore S. C. Amato diceva nel suo Garrik: Bramate giorni nutriti di speranze e di affetti, visitati dalla gioia e dal dolore? fate l’Artista drammatico. Io credo che egli avrebbe molto meglio detto: volete voi fare l’Artista drammatico? che i vostri giorni sieno nutriti di speranze e di affetti, visitati dalla gioia e dal dolore.  

   L’Attore che ama l’arte sua si spoglia del suo individuo per vestirsi ogni giorno di quello del personaggio che deve rappresentar la sera. Brissard ripassava in sua casa la parte innanzi al suo cane, il quale gli tenea le veci del pubblico, e forse quel gran Tragico amava più il suo Benjamin che tutta quella gente aristocratica che deceravano il teatro nelle sere di recita – Talma vedea sempre stargli allato il personaggio che dove a rappresentare; egli lo vedea seduto a mensa con lui, e coricato nello stesso suo letto: queste fantastiche apparizioni accompagnarono quest’attore fino all’ora estrema di sua vita, in modo che egli pochi momenti pria di spirare chiamava l’un dopo l’altro, e li accennava col dito come se fossero stati presenti, tutti i personaggi eroici da lui sostenuti sulle scene – De Marini un’ora prima della rappresentazione parlava e gestiva a carattere.

   Il pittore e l’attore si toccano in vari punti: il primo ritrae sulla tela il secondo; o meglio, il primo dipinge ciò che l’altro sente. Io credo che non si può essere buon pittore se non si è attore. L’uno studia gli effetti, l’altro le cagioni; l’uno le movenze e gli angoli dell’umana fisionomia sotto l’impero delle passioni, l’altro queste stesse passioni. Tutte le arti hanno per tipo il bello, e per bello intendo anche il deforme quando vien ritratto nudamente, ed in tutta la naturale sua bruttezza.

   L’Attore ha una vita sui generis; egli ha de’momenti di piacere ineffabili, e di orribili strazi incogniti al volgo che in lui non vede altro che un istrione, un saltimbanco. L’Attore vive ogni sera una novella esistenza che ha tutta la sua realtà: egli piange e le sue lagrime sono vere come quelle che sgorgano dagli occhi degl’inteneriti spettatori; egli ride, e il suo riso non è dissimile da quello che parte da un animo pago e virtuoso, o da quello che abundat in ore stultorum.

   I piaceri dell’attore sono tali che invano mi sforzerei di farli comprendere a chiunque non intende la magica potenza dell’arte. Interrogatelo dopo una piena di applausi; il suo cuore è un fiume di tenerezza; egli ha bisogno di diffondere la sua gioia intorno a sé, egli ama i suoi compagni, i suoi uditori, e finanche la tavola che calpesta. Di rado avviene che un attore sposi altra donna che quella, cui si è avvezzato a parlar d’amore in sulle scene; egli ama i suoi compagni come un soldato ama i suoi camerati che seco lui pugnarono nel campo di gloria, come un marino ama coloro che corsero con lui le stesse onde, e fremettero su gli stessi scogli.

   Io non so perché non devesi avere per un attore la stessa venerazione che si ha per un pubblico Oratore. Grazie al cielo sono cessati i pregiudizi contro questa classe non meno utile e rispettabile de’letterati e de’poeti; vuolsi però sperare che in breve eglino sieno levati a quell’altezza di onori, cui pretender deve ed aspirare il genio: non parlo de’mediocri i quali non sono né più né meno che collegiali che ripetono al maestro le loro lezioni.

   Ad un cantante si dà una paga enorme, scandalosa, un feudo per ogni mese; a Maria Taglioni, a Fanny Essler, e a Fanny Cerrito, per ogni salto che spiccano sulle tavole, si dà un tesoro in ogni sera, e le popolazioni corron loro dietro, come se apportassero con loro la salute dell’umanità; ad un attore si dà appena di che provvedere  al suo guardaroba! Perché questa barbarie? Forse perché di cantanti e danzatori ci è scarsezza e di attori abbondanza? Eppure il fatto dimostra il contrario. Due o tre buone compagnie di prosa sono attualmente in tutta Italia, mentre di cantanti e  ballerine il numero è incalcolabile. Forse perché vi sono pochi ottimi de’primi, e moltissimi ottimi de’secondi? E neanche ciò par che sia vero; mentre io non saprei accennare tra i morti che Garrik, Lekain, Brissard, Talma, Kean, De Marini, e qualche altro che abbiano avuto il primato in quest’arte; ma di cantanti… oh! la lunghissima schiera di ottimi! Forse perché un cantante deve più lungamente versarsi nella sua arte? Ed anche ciò è falsissimo, perché prescindendo che non si paga già l’arte ma bensì la voce, chi non sa quali e quanti debbono esser gli studi profondi e positivi onde deve arricchirsi la mente di un buon attore? Forse perché il cantante fatica di più? Ciò è smentito dalla esperienza di tanti anni, la quale ha fatto conoscere che i più lunghi esempi di longevità sonosi avuti nella classe de’cantanti, come al contrario di rado avviene che un buon attore sia giunto alla vecchiezza; e ciò perché? Perché il cantante si dondola mollemente in un cocchio, mentre il povero attore studia ad ogni ora, ad ogni istante il suo personaggio della sera; perché il cantante apre la bocca, ed ecco la sua fatica, ed il povero attore ha ogni sera la febbre; perché il cantante se la vive come un Signore in mezzo a tutti gli agi del lusso; e l’attore può appena sovvenire a’bisogni della vita. Confessiamo in buona coscienza che la pretesa nostra civiltà è ancora nelle fasce; a meno che per civiltà non s’intenda l’arte di dare delle apparenze alle cose più brutte.

                            FRANCESCO MASTRIANI