IN CASA

Il y dans l’intimitè des moeurs

      et des habitudes d’une grande

      ville des sujets nombreux

      d’une observation varièe et

      piquant.

                         BRIFFAULT

      

   Per ben giudicare la bizzarria del secolo; per ben colpire la vera fisionomia de’costumi della capitale, bisogna sforzarsi di penetrare nell’interno delle case: nelle strade, ne’caffè, ne’teatri, nelle società tutte le fisionomie hanno un carattere, una espressione; la vernice dell’eleganza, il lustro della moda colorano tutte le facce in una stessa guisa: il facchino salito in auge urta col gomito nelle gallerie il nipote o il figliuolo d’un diplomatico, entrambi sono avvenenti, cerimoniosi, e san parlare il gergo della politica. I costumi pubblici della buona società, le usanze per così dir di parata, hanno un certo che di patente troppo facile ormai ad apprendersi per poco che uno voglia porsi in giro. Da poco tempo in qua la classe agiata ed elegante del nostro paese si è sottoposta a mostrarsi pubblicamente nelle così dette serate. S’intende già che il pubblicamente vuol dire sempre in un circolo di persone scelte che si veggono ad epoche fissate pel divertimento. A mò d’esempio il Conte B… risolve di dare una serata nel suo hotel; due sere innanzi vede al teatro quattr’o cinque de’suoi amici, e senza dir loro: siete invitati per la festa che dò lunedì; (ciò sarebbe molta pretensione di fasto) dice loro semplicemente: ci vedremo in mia casa lunedì: gli amici comprendono che si tratta d’una festa. Questo ci vedremo si replica per caso a tre o quattro cento persone, ed ecco compita la serata.

   In mezzo a’concertini della contradanza francese il Marchese C… si accosta al Conte B… e gli dice:

   «Mio caro Conte; tu ci hai fatto una sorpresa; la tua sala è deliziosa, ed io ci fo una cattiva figura; basta, per castigo verrai da me venerdì a prendere una tazza di tè».

   Il Conte sorride – La tazza di tè non è altro che una cena sontuosissima accompagnata da una brillantissima festa – Ed ecco come sempre le stesse persone si trovano in tutte queste splendide sale, come gli amici del Conte B… sono gli stessi che vanno in casa del Marchese C… Un lusso immenso di apparato presiede in tali circostanze: le suppellettili sono sublimi lavori d’arte; i tappeti d’una magnificenza orientale; e sovrattutto ricchissima deve essere l’illuminazione, e tale che vinca quasi la luce del giorno (mi sorprende come ciò possa convenire alle dame).

   Questa vita esterna, officiosa, di leziosaggini e di ètiquette è troppo nota a’nobili nostri abbonati del Sibilo perché noi sprecassimo inchiostro a palesarla – D’altra parte nulla ci si offre in essa di bizzarro, di originale, e di veramente pittoresco – Vogliam però farci a guardar di fronte il chez-soi, la civiltà at home, l’eleganza in veste da camera.

   Generalmente parlando, in quasi tutte le principali metropoli europee, una è la foggia di vestire che adottasi da tutti quando mostransi in pubblico.

   Se togli pochissime eccezioni per parte di qualche cervello balzano che si fa lecito di presentarsi nelle strade con qualche strana vestitura, la maggior parte della gente colta e incivilita veste in un modo; qualche varietà si può osservare nel maggiore o minor lusso delle stoffe, ma in quanto alla forma, pare assodato che debbasi da tutti presceglier quella più in moda. Si può eziandio notare qualche diversità di costumes nel sesso femminile sempre più variante e capriccioso; ma gli uomini non si possono scostar troppo dall’uso corrente, senza correre il rischio di vedersi mostrati a dito e posti in ridicolo. Nasce quindi da ciò l’uniformità d’apparenza, l’uguaglianza dell’esterno, ed una specie di fusione delle classi sociali; benché vi sieno certe distinzioni che la natura, l’educazione, la famiglia, e talvolta benanche la posizione nel mondo hanno così solidamente impresse su certi individui da farli tosto scernere e separare dagli altri. Siffatte eccezioni peraltro non tolgono che vi sarà sempre pel modo uniforme di vestire pel di fuora una confusione pregiudizievole alla vera aristocrazia. Guardate il popolo della domenica; esso ha ne’suoi vestiti tutta la possibile uniformità; e si può dire senza ottimismo che ne’giorni di festa non vi sono più poveri.

   In casa però non è così la faccenda. Oggi che si comincia a rendere giustizia al merito de’costumi inglesi; oggi che domina l’anglomania, si è visto quanto è vero il nothing as comfortable as home[1]. Le spese più enormi, i trovati più singolari tendono a rendere grato l’ostello che si abita. Si è capito finalmente che l’apparenza inganna, e si cerca di dare una certa pompa anche a quel che non appare. Le diversità, l’originalità, la stravaganza debbono essere ora le norme della vita interna e di quanto si appartiene ad essa. Fatevi ad osservare quattr’o cinque abitazioni de’più reputati lions, e vedrete come l’una diversifica dall’altra, per strambezza di suppellettili, per le tinta delle mura, per gli oggetti di belle arti, ed anche per la foggia di vestire del padrone di casa. Possiam dire senza tema di una mentita che nelle case domina sempre il carnevale per gli strani abbigliamenti che veggonsi. A Parigi sovrattutto è orribile questa mania. Un arguto scrittor francese dice a questo proposito: le point important est de contrarier tout ce que recommande ce pauvre sens commun que sa roture fait si fort dèdaigner.

   Entriamo e guardiamo le gallerie.

   Tutto ciò che l’ormai vecchio medio evo ha creato di più gotico e rococò vedesi riprodotto negli addobbi delle nostre case più alla moda. Questa specie di bric-a-brac tratto dalle antiche magioni feudali non potrebbe per altro capire negli angusti salotti moderni, se questi non si empissero interamente come tanti magazzini di vecchia roba. Entrando in una galleria montata secondo il gusto presente correte rischio ad ogni piè sospinto di urtare contro le infinite cose che vi sono sparse, quasi dimenticate colà da varie generazioni; v’imbattete in cento gambe di suppellettili; vi assale la vista una zuffa di bahuts, di dressoirs, di credenze, di mobili neri, storti, cisellati, incrustrati, tagliati a fantasia. Sulle consoles e su tutte le superficie alte vedete un diluvio di piccole creature, di piccoli mostri, di strambe figurine; ovvero vasi carichi di bassorilievi.

   Agli angoli delle mura sono colonne con statue di marmo de’più rinomati scultori, come Tenerani, dell’Angelini, dei Calì etc; e sulle pareti veggonsi quadri d’un prezzo esorbitante. La luce che penetra nelle gallerie dev’esser dubbia, incerta, ammantata da dense cortine e da’lunghi lambrequins: deve in cotali luoghi regnare una dolce tristezza che parli all’immaginazione, narrandole storie di lunghe voluttà ed orgie, misteri d’una vita deliziosa. Ogni mobile, ogni oggetto, ogni bagattella debbon avere qualche cosa di disordinato; deve sembrare come se non istessero al loro posto; si conosce a mala pena l’uso di tali mobili, e il padron di casa deve affettare la massima ignoranza su quanto è sparso e gettato ne’suoi saloni.

   Entriamo nello Studio.

   Zitto zitto, camminate sulle punte de’piedi; tutto comanda qui il silenzio, ed invita al raccoglimento. Questa pièce dell’appartamento, il closet degl’inglesi, suolsi prescegliere nel lato che offre più venustà di vedute, più prospettiva di paesaggi – Questa stanza è d’uno stile austero, non vi si scorge veruno ornamento, se togli la verde tappezzeria, e le intarsiature di vecchia quercia – Non fiatate, non distogliete colui che vi sta dentro, innanzi alla grandiosa tavola da scrivere… Guardatelo, l’uomo della meditazione, l’uomo che ha nella su libreria sei mila e più volumi legati, che ha probabilmente consumata la sua vita in lunghi e severi studi; guardate com’è pallida e ossosa la sua faccia! come cadono pendenti i suoi capelli sulla fronte, vera scatoletta di Pandora. Egli scrive, pensa medita; l’alta estremità della penna è tra le sue labbra, il suo sguardo è fisso quasi cercando un pensiero, una immagine che gli scappa: il suo profilo pensieroso e grave segna un angolo retto con la carta che gli è dinanzi. Avviciniamoci pian piano, e leggiamo quello che scrive: Mio caro Eugenio, tengo del tabacco orientale; vieni da me stamattina, che lo fumeremo insieme dopo aver preso il caffè; ti aspetto senza meno. Jeri sera dalla baronessa

   In un altro Studio voi vedete un giovine in ricca veste da camera, tutto peli nel volto, tutto allegria nello sguardo; il suo capo è nudo, tagliato all’inglese dal Paolucci; tiene in bocca un enorme sigaro d’Avana; e innanzi a lui sul panno bleu del tavolino stanno gli avanzi d’una generosa colazione – Egli scrive, ma non pare che sia dia veruna cura di quello che segna sulla carta; i pensieri che gli volano pel capo debbono essere più leggieri de’buffi di fumo del suo sigaro; tre amici gli stanno seduti d’accanto, tre giovani esclusivi, pazzi, bon vivants, coi cappellacci in testa e co’bastoncini in mano, egli parlano e ridono continuamente; il padron di casa mentre scrive, mischia qualche mottetto alle chiacchiere de’suoi amici; certamente quel giovine deve scrivere qualche bigliettino galante o qualche sciarada per giornale – accostiamoci intrepidamente, ed affrontiamo il fumo che sbocca dal lion; vediamo che scrive… misericordia! una tragedia!!!

   Osservate quanta freschezza è in quell’altro appartamento! Tutto è aperto, pieno di luce e di profumi; vi si respira un’aria d’amore – Si apre una bussola dorata: ecco la signora che si leva dal letto; prostatevi, fashionables, a’piedi di questa novella Citerea più seducente dell’antica dea di Pafo, ormai rendutasi vecchia schifosa. Che magia di forme! Che nobiltà nello sguardo! Ella è carica di merletti e di nastri; una mantiglia di mussolina le covre le spalle… Zitto, ella apre la bocca, chiama la sua cameriera… O cielo! è sparita, ma la bussola è aperta; osserviamo… Sommi Numi! Ella si è seduta sovra un’ampia sedia a macchinetta innanzi ad una toletta coverta da veli trasparenti color rosa.

   Ascoltiamo il dialogo che tiene con la cameriera, mentre costei le svolge le lunghe chiome.

   «Marietta, se viene quell’insipido del Duchino, direte che sono uscita. Stamane non mi sento disposta ad ascoltare le sue storielle di cani e di cavalli».

   «Va bene, gli dirò che la signora è andata a Castellammare o a Sorrento».

   «Da bravo. Anzi direte lo stesso a chiunque verrà».

   «Eccetto però…».

   «Come sei cattiva, Marietta!… Prendete il Sibilo».

   «Eccolo; vuole che le legga l’articolo di mode?».

   «No, gli spettacoli, leggetemi S. Carlo – Bravissimo, queste accademie di arpa sono una vera indecenza: non andrò più a S. Carlo».

   Entriamo in un altro appartamento col parlez au portier.

   Da poco alzato dal suo serico letto vedesi un formidabile signorotto de’vecchi tempi; la barba gli scende a metà del petto; una lunga veste di camera con lunghi fiocchi d’oro covre il pantalone di cascemiro bianco e i lucidissimi calzari con gli speroni. Eccolo, il terribile barone del castello, il cavaliere d’Ariosto, il rouè della Reggenza – Silenzio!… egli apre la bocca:

   «Quà, quà, Fox, venez, mon petit chien».

   A Parigi la mania di travestirsi in casa è giunta a tale che si potrebbe giustamente dire che i francesi si vergognano di comparire in casa vestiti alla francese. Infatti molti vestono alla spagnuola con la reticella di Figaro sul capo, e col corto mantello; altri si mostrano da pescatori dell’Adriatico con le vesti dalmate; altri da Turchi con le brachesse, e col turbante; le vestiture orientali sono prescelte, comeché non manchino di quelli che amano il Nord, e si vestono da Russi o da Polacchi carichi di pellicce, e con gli stivali di marrocchino ricamati d’oro – Abbondano eziandio gli abiti alla italiana del medio evo, e si veggono talvolta semplici commessi vestiti alla Tasso – Ora i Chinesi sono in gran moda  ne’vestiti di camera; i berretti appuntati, le vesti di seta, e le scarpe ricurve fanno grandissima fortuna, non solo a Parigi, ma in quasi tutte le principali città Europee. I più illustri personaggi adottano questa foggia, e la si è veduta benanche in qualche corte.

   Ciò che maggiormente ne reca maraviglia è l’osservare come coloro che per gravi e severi studi o per altra disciplina sonosi renduti benemeriti del paese, prediligano tali stravaganze, e vi si abbandonino con una specie di fanatismo.

   Quasi tutti quelli che vivono di fantasie e di creazioni intellettuali adottano in quel paese le più strane maniere di vestirsi. Nell’ultimo suo viaggio a Parigi, Rossini nel suo appartamento alla Maddalena, riceveva le visite in berretto di cottone.

   La bambagia de’nostri padri, le calde camiciole di flanella, la coppola con lunga falda, i larghi calzoni, e le comode pianelle hanno avuto il bando, e solo si lasciano indossare da qualche vecchio infermo.

   Di presente anche i nostri vecchi alla moda si fanno un dovere di proscrivere gli abiti larghi; eglino si vestono a mò de’giovani, e sprezzano le infermità attaccate alla loro età.

   Eppure, in mezzo al vortice delle stravaganze, il bel sesso, comeché di natura più variante, ha non però serbato in casa la decenza e il buon gusto del vestire. Le donne dotate d’uno squisito istinto di repugnanza per tutto quello che offende la loro delicatezza e il loro decoro, hanno rinunciato di abbracciare le correnti sfrenatezze  di moda interna, e sonosi tenute a quella cara semplicità che dà loro tanta grazia e tanta distinzione.

   Le vesti di camera, gli accappiatoî, gli scialli rilegati solamente per la casa, sono sempre ben accetti da loro.

   Una volta la casa dava l’idea del padrone che l’abitava, ora bisogna formarsi del padrone una opinione contraria a quella che dimostrano le sue suppellettili, o le sue vestimenta. Se un uomo vuole imitare le maniere e il linguaggio del genio, giurate che quegli è un asino: coloro che fanno apparato delle loro biblioteche, non leggono neanche i frontespizi de loro libri; un tavolino magnifico e splendidamente provvisto d’inchiostro, di carta, e di tutte quelle altre superfluità brillanti che sono tanti gioielli per gli oziosi, indica sempre un uomo che non scrive mai; come al contrario, quando in una casa non trovate un mobile che faccia l’officio di scrittoio, siate certo che colà dimora un letterato, o un giornalista.

   In casa de’vigliacchi si trovano trofei d’armi; e grandi rastrelliere di pipe  in casa di quelli, a’quali un buffo di fumo di tabacco fa venir l’emicrania. Ho visto tre pianoforti in casa di un giovine sordo che non conosce neanche le note musicali; ed una quantità di schioppi da caccia preso un pacifico e ritirato galantuomo, cui il sangue d’una mosca fa drizzare i capelli.

   Dappertutto si fuma.

   In tutte le case delle quattro o cinque parti del mondo si veggono pipe, chibouques, sigari e tabacco. Il sonnacchioso proprietario, il damerino, lo studente, l’impiegato, tutti fumano. Il bel sesso da molto tempo ha cominciato a gustare i deliziosi effluvî del tabacco; ed ora gli elegantissimi sigari pajitos gli rendono i più segnalati servigî.

   Abbiamo avuto motivo di notare che i viaggi e gli affari guariscono dalla mania d’imitazione; un uomo che ha visto molti paesi, o che non ha il tempo di pensare alle follie della moda, contratta in sua casa una certa indipendenza.

   Colui che ha molto viaggiato non si cura di sembrare straniero come un altro che si immagina bonariamente che egli abbia percorsi tutti i paesi, di cui si addotta gli abiti e le usanze.

                         FRANCESCO MASTRIANI

[1] Niente vi è di più comodo che la propria casa.