Non mi ricordo se Platone o qualche altro filosofo greco, con pochissima cortesia anzi con poca giustizia verso il suo simile, disse esser l’uomo un bipede spennato; onde non ricordo se Diogene od altri, volendo beffarsi della grave sentenza di quel barbassore, spennò garbatamente un gallo e gittatolo nel mezzo d’una radunanza di dottoroni, all’Ateneo, se non isbaglio, esclamò: Ecco l’uomo di Platone!
Lo scherzo ha valicato i secoli, e, se l’uomo ci ha perduto qualche cosa nel paragone, bisogna pur convenire che la famiglia dei polli ci ha guadagnato non poco; imperocchè in sostanza, qualche cosa di nobile è nella natura di questi animali, che si rizzano su due piedi come la specie umana e che vanno col capo alto, dacchè Platone li rialzò colla sua famosa sentenza. E forse queste bestiuole han più ragione di levar la testa che non certi uomini pettoruti, rigonfi d’aria e che io domanderei con più verità gallinacci in soprabito.
Noi non vogliam qui toccare della storia naturale de’polli, giacchè questa ne menerebbe troppo lungi e di molto ci allontaneremmo dal nostro subbietto; ma crediam pertanto necessario l’accennare ad alcune particolarità che distinguono le diverse famiglie di queste care bestie.
È indubitato che il gallo è il più nobile della specie; egli è il re del pollaio, dove governa da despotaccio, massime quando non ha socii al potere. Ciò nondimeno, egli è generoso, e spesso spaziando in un’aia, dove incontra granelli da beccare, si astiene e crocchia e chiama le galline perché fruiscano del bene che ha trovato; all’occasione le difende e si azzuffa per esse: la sua debolezza è la gelosia; non vuole che nel suo serraglio penetri altro gallo; transeat pe’capponi, questi fedeli eunuchi dei pollai. Il gallo è vivace, superbo, maestoso e collerico.
Tra le galline, la chioccia e la pollastra hanno la preferenza per la loro speciale utilità; ma in generale la gallina è golosa, insaziabile, tenerissima madre, pusillanime pel consueto, ma baldanzosa quando ha da difendere i suoi gnascherini.
Non diremo de’capponi, de’tacchini e di altri cotali parenti e affini abitatori del pollaio; dappoichè la storia naturale di ciascheduno di questi saporosi animali è più o men conosciuta e non entra nel nostro intento; essendoci proposti di parlare del venditore ambulante di polli, che è pure una specie graziosa tra quanti pigliano posto tra queste pagine.
Io non so che differenza è tra un mercadante di schiavi e un venditore di polli. Per quanto strano e paradossale possa parervi un tal paragone, nondimeno esso non lascia di essere vero se riguardato filosoficamente. Se la merce è diversa, [1]l’intenzione è la stessa: entrambi vendono carne viva, bipedi rassegnati alla loro tirannica sorte.
Vedeteli questi poveri animali (parlo de’polli) chiusi in que’grandi cestoni e messi a crudelissima dieta! Vedeteli come hanno smarrita ogni virtù della vita: cogli occhi socchiusi, co’capi abbassati, snervati per fame, desidererebbero la morte se sapessero che questa pone fine ad ogni dolore. Il gallo, il gallo stesso, così baldanzoso e ritto nel mezzo del pollaio, or tu lo vedi accovacciato e sonnacchioso come il più pusillanime coniglio.
Il venditore di polli non si mostra in tutte le stagioni dell’anno, ma l’està è il suo tempo favorito e segnatamente allorché si avvicina il quattro Agosto, che è pe’poveri pollastrelli una specie della notte di S. Bartolomeo in Francia o de’Vespri siciliani. Il quattro Agosto e il ventiquattro Dicembre suonano giorni di strage per questi poveri protetti di Platone; ed il costume vuole sieno cotti nel sugo di pomidoro, tagliati a pezzi. Ma la carneficina orribile, inaudita, il Solferino de’polli è il Natale; imperciocchè non ci è desinare del 25 Dicembre che non abbia due o tre serviti di polli cotti in varie guise. Dappertutto, un giorno prima, tu senti le grida e i lamenti di queste vittime innocenti della partenopea ghiottoneria. Da ogni casa, umile od alta, esalano i vapori del sangue di questi futuri popolatori de’forni. Io non so qual razza di dritto abbia l’uomo a sgozzare gli animali per solleticare il suo palato; ma dico che la civiltà non sarà tale insino a tanto che questo barbaro abuso della forza sarà indifferente consuetudine delle genti.
Non abbiamo grandi cose a dire sul venditore di polli, ma non vogliam chiudere questo articolo senza far menzione della curiosa usanza che hanno parecchi de’nostri popolani di riffare i tacchini, le pollanche o i capponi. Spesso la vita di un povero gallinaccio dipende dal primo eletto della estrazione, imperciocchè può capitare nelle mani d’un qualche vandalo che lo sgozza immediatamente il sabato sera per farsene suo cibo alla prossima domenica.
Avete mai veduto un uomo con una bacchetta in mano, che mena avanti a sé una decina di questi infelici gallinacci rachitici e tignosi, i quali non fanno altro che azzuffarsi per la via e strapparsi scambievolmente i bargigli come altrettanti Drusi e Maroniti? Ebbene, sappiate che quel conduttore è un riffatore e quelle pacifiche bestioline sono la merce riffabile, condannata a salire e a scendere per istrade montuose e per aspri calli, digiune da più giorni e senza veruna speranza di cibo, se togli quel poco che ad esse vien fatto di rubare per la via a’venditori di viveri in cui si abbattono.
Francesco Mastriani
[1] Vedi figura 1
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Figura 1