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Queta edizione è in possesso degli eredi Mastriani
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INTRODUZIONE
. Se qualcuno pensava che John Peter, autore di alcune belle ʺpagine napoletaneʺ di fine Ottocento, fosse uno dei tanti viaggiatori attardatosi sulle orme di Gohete e di Stendhal, si sbagliava.
Peter infatti non era un viaggiatore e non si chiamava neppure John, ma Jean-Charles. Proveniva da una famiglia di Ginevra, dov’era nato nel 1833. E anche se scrisse un libro su Padre Rocco e un altro su San Gennaro, non era cattolico, ma addirittura un pastore protestante.
Jean-Charles Peter cominciò la sua esperienza nel 1860 in Borgogna (Chalon-sur-Saone) per passare poi a Saint-Denis, nel cuore di Parigi, e nel 1866 arrivò a Napoli, dove fu pastore della chiesa francese per vent’anni, fino al 1866.
Nel 1878 pubblicò un opuscolo sul domenicano Padre Rocco (1700-1782), che Dumas aveva definito «più potente a Napoli del Sindaco, dell’Arcivescovo, e anche del Re». Uno scritto che qualche anno dopo raccolse insieme ad altri in un volume dal titolo – forse un po’pretenzioso – di Ètudes napolitaines, pubblicato sia a Napoli che a Losanna. Seguì nel 1884 un lungo exurcus sulla leggenda di San Gennaro, in coda al quale inserì anche le recensioni della sua prima raccolta, che nel 1887 fu seguita da un altro volume di Nouvelles ètudes napolitaines da cui è tratto questo ritratto di Francesco Mastriani finora mai tradotto in italiano.
Lasciata Napoli, Peter tornò nella nativa Ginevra, dove pubblicò Fleurs d’herbier e più tardi Petites chroniques genevoises. Scomparve nel 1901; le sue raccolte di studi napoletani- così come la leggenda di San Gennaro – non sono mai state tradotte e pubblicate, restando perlopiù sconosciute.
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Forse l’attualità di Mastriani si rivela soprattutto nel fatto che non smette di regalarci sorprese. E se negli ultimi anni stanno ricomparendo in libreria alcuni dei suoi oltre cento romanzi d’appendice, dalle più disparate ʺcarteʺ continuano ad emergere testimonianze inedite. Come nel caso di questo profilo francese di John Peter nel 1887, finora mai tradotto e ignorato dalla critica.
A lungo sottovalutato ed emarginato dal dibattito culturale, Francesco Mastriani (1819-1891) non fu solo il prototipo del letterato vessato dall’urgenza della vita. L’autore della Cieca di Sorrento, de Il mio cadavere e dei Vermi – seppur nel suo ʺbrodo popolareʺ – fu infatti un particolarissimo interprete di quella controversa stagione, senza poesia e ancora molto confusa che fu il primo ventennio della ʺnuova Italiaʺ. Ed è ancora in attesa di trovare un’onesta e adeguata collocazione nella tradizione letteraria italiana.[1]
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[1] Nota in quarta di copertina
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IL ROMANZIERE DEL POPOLO
Il saggio è composto da un unico capitolo. Vengono citati solo alcuni romanzi: I Vermi, I lazzari, La cieca di Sorrento e Il mio cadavere. Ma dello scrittore, John Peter ne da una descrizione molto easuriente:
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«Niente, infatti, è più napoletano dei romanzi di Mastriani. L’azione principale si svolge quasi sempre nella sua città, almeno un episodio è sempre ambientato a Napoli.
Il nostro autore conosce soprattutto i quartieri in cui si svolge la vita del popolino, che lui ha studiato con amore. Ha attraversato molto spesso i rioni popolari, con occhio vigile e orecchio attento, ostentando un’aria distratta per non attirare l’attenzione o suscitare diffidenza. […]
« Mastriani condivide, in molte cose, i sentimenti e le idee del popolo a cui si rivolge. per lui l’amore è un sentimento più forte che delicato. se rispetta la religione, non ama i preti e si fa pochi scrupoli a stigmatizzarli, utilizzando spesso espressioni di inverosimile crudeltà. il suo patriottismo è soprattutto napoletano: egli appartiene alla sua terra, prima di essere un italiano. […]
« Ma anche altre ragioni spiegano il successo del romanziere. I napoletani, molto naturalisti nella forma e nella sostanza, trovano nel loro autore un predecessore di Zola. Lo stesso Mastriani se ne vanta, del resto, con ingenuo orgoglio: Il naturalismo ‒ grida da qualche parte ‒ ma sono io che l’ho inventato. aveva pubblicato I vermi molto prima di Nanà, non si sarebbe potuto scendere più in basso nel fango. […]
« Quando iniziò a scrivere, il suo impegno era serio. oggi si accontenta di produrre. il suo pubblico non si stanca di leggerlo, desideroso di azioni movimentate e di imprevisti. lo scrittore è inarrestabile in questo genere.[…]
« Ha scritto così tante opere che riempirebbero una biblioteca. Mastriani non cura più il suo lavoro, per giudicare il suo talento bisogna rileggere quello che scriveva vent’anni fa, quando non si accontentava del primo getto della sua feconda immaginazione. del resto, è più da compatire che da biasimare. Troppo scrittore per aver rinunciato senza rimpianto al lavoro serio, per far fronte alle esigenze di una famiglia numerosa. Il bisogno, ahimè, ha fatto dell’artista un operaio. […]
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Il saggio John Peter lo conclude con un’amara riflessione:
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« Mastriani sarebbe stato in Francia un Ponson du Terrail; in Italia è un romanziere mancato, che non avrà mai dalla letteratura nazionale il posto che occupa nella letteratura locale napoletana. L’autore della Cieca di Sorrento mi sembra un notevole esempio delle miserabili condizioni letterarie che soffocavano un tempo la meritocrazia, utile elemento di confronto con le attuali condizioni, più favorevoli al talento».
JOHN PETER
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JOHN PETER (1833-1901) non è il «viaggiatore inglese» che qualcuno lo ha sbrigativamente ritenuto. Non si chiamava neppure John, ma jean-Charles: era svizzero, aveva vissuto per un certo periodo a Parigi, ed era il pastore che guidò la chiesa protestante di Napoli per vent’anni, in un periodo molto particolare della storia d’Italia (1866-1886). Colto e curioso, raccolse i suoi principali scritti in due volume «études napolitaines» (1882) e «Nouvelles ètudes napolitanes» (1887).
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A rilanciare Ètudes napolitaines e Nouvelles ètudes napolitaines, attraverso la riscoperta di questo profilo di Mastriani, è GIUSEPPE PESCE (Napoli, 1977) giornalista e scrittore attento alla storia tra l’altro documentarista in Rai per La storia siamo noi.
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