Con immenso e profondo dolore dobbiamo registrare la morte di Francesco Mastriani, lavoratore instancabile; l’uomo che dedicò tutta la sua vita al culto delle lettere.
Egli era, da parecchio tempo, nostro collaboratore, e quando ci facemmo solleciti averlo fra noi, gentilmente ei disse che si reputava fortunato di essere nostro compagno di lavoro.
L’arte medica aveva fatto tutti i suoi sforzi per conservarci questa cara e preziosa esistenza, ma, sventuratamente riuscì impotente.
Francesco Mastriani, l’unico romanzieri popolare che avevamo, esalava l’ultimo respiro verso la mezzanotte di martedì scorso, in mezzo alle lacrime della sua affettuosa consorte e dell’unico suo figliuolo Filippo, lasciando in quanti lo conobbero un indelebile ricordo.
Nacque in Napoli il 23 novembre 1819, e, fin da fanciullo amò svisceratamente le lettere, quantunque i suoi genitori desideravano che avesse studiato medicina.
Collaborò in molti giornali, meritandosi il plauso di quanti erano suoi ammiratori, e non contento delle lodi che di giorno in giorno sempre più andavasi acquistando, tentò la carriera drammatica, e scrisse in collaborazione di Francesco Rubino un dramma Vito Bergamaschi e poi Le assicurazioni sulla vita umana, che furono applauditi.
E, qui, ci piace notare tutt’i romanzi che ha scritto: La Cieca di Sorrento, Il Mio Cadavere, Federico Lennois, I Vermi, Le Ombre, I Lazzari, I drammi di Napoli, Messalina, Due feste al mercato, Erodiade.
Fu assiduo collaboratore del giornale Roma e pubblicò nelle sue appendici: Homunculus, Cenere o la sepolta viva, La rediviva, Le memorie d’una monaca, L’automa, Il fantasma, La spia, La sonnambula, La Medea di Portamedina, Il barcaiuolo d’Amalfi, Caterina la pettinatrice, Carmela, Il cocchiere della Carità, L’orfana del colera, Lucia la muzzonara, Povero cuore, La jena delle Fontanelle, L’occhio del morto, Fior d’arancio, Tobia il gobbetto, Il talamo di morte, Rosella la spigaiola, Paolo Retti, Genio e morte, Il brindisi di sangue, La mala vita, Il muratore della Sanità, e adesso in via di pubblicazione un bellissimo romanzo dal titolo Oro e fango.
Francesco Mastriani è morto povero, sia detto ad alta voce ed a vergogna nostra.
Visse in mezzo al nostro popolino e seppe ritrarne magnificamente i caratteri: la sua vita la passava scrivendo, ed alcune volte componeva in un caffè, sorbendo una chicchera.
Non ebbe altro pensiero che quello di dedicarsi totalmente all’arte, ma però fu molto malamente ricompensato.
Lavorò per amore e per procacciarsi tanto da poter tirare innanzi miseramente la vita ed ebbe sempre a cuore la sua tanto cara Napoli.
I suoi romanzi erano letti con vivo interesse dal nostro popolino che amava e gustava tutti quei fatterelli, che con gran maestria andava dicendo, e molta parte di essi vene drammatizzata e recitata sulle scene del S. Ferdinando con un grande accorrere di popolo acclamante.
Un’altra cara esistenza passa nel mondo dei più. È triste, ma è vero, ad ogni giorno che passa, noi, con sommo rincrescimento, dobbiamo notare la fine di uomini illustri, che sono la nostra gloria e che ci lasciano una quantità di opere, che veneriamo ed ammiriamo, dispiaciuti più pensando che da quelli ingegni non abbiamo niente altro che ci entusiasmi e che ci faccia andar superbi.
Francesco Mastriani stentò la vita, e, fino agli ultimi tempi, viveva col magro guadagno dei suoi scritti, ma, umile e dignitoso, non ebbe mai sul labbro l’imprecazione. Con lui, si spegne uno scrittore unico nel genere dei romanzi popolari; ed è assai doloroso dover dire: è morto!
Le esequie riuscirono abbastanza bene, e parecchie autorità, professori, discepoli, associazioni, vollero, con tutto il piacere, accompagnare il feretro all’ultima dimora.
Sul feretro, nessun discorso, essendo questa la volontà dell’estinto: però ne furono pronunziati due bellissimi, dallo studente Alfano e dal professor Ciccarelli, prima di portare la salma al cimitero, e trasgredendo, così, al desiderio del compianto estinto.
Che la memoria dell’illustre Professor Francesco Mastriani resti scolpita negli animi di tutti i suoi concittadini che tanta stima e devozione avevano per lui e la sua dottrina.
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GERNANDO CAPOCELLI