Il nostro secolo, fin dal suo nascimento, ha avuto apologisti più o meno di buona fede, più o meno sospetti, e moltissimi anche veridici e ragionevoli; ma è innegabile che la vanità e la poesia hanno trasportato la maggior parte di loro ad eccessi di stravagante adulazione, per modo che niente han veduto di falso, di torto o di difettoso in tutto ciò che è figlio del secolo. Non diremo quanta influenza ha avuto la superficialità delle nostre cognizioni su queste sperticate lodi prodigalizzate ai prodotti dei tempi presenti, sia intellettuali sia materiali. Si è gridato al portento, al prodigio allo incredibile per ogni menoma novità; la stampa ha dato fiato alle sue trombette giornalistiche e ha stordito la società, gridando a’quattro venti lumi e progressi. Non ci è stato un pensiero, strambo e fantastico che fosse, purché rivestito di una vernice e d’un intonaco di novità, il quale non sia stato proclamato come la quintessenza della sapienza umana, il non plus ultra dello incivilimento.
I buoni pensatori, non ostante tutto questo strombazzare e questo schiamazzo di acclamazioni al secolo decimonono, non si sono lasciati stordire e abbagliare, e han veduto le cose nel loro vero aspetto; perocchè non si son tenuti contenti e soddisfatti delle belle apparenze, ma han voluto gittare una occhiata dietro le scene per farsi una idea giusta dello spettacolo. E questi buoni pensatori, i quali aveano forse il torto di non esser poeti, ammirando sempre l’ordine progressivo d’intelligenza onde piace a Dio di far camminare l’umanità, e mischiando i loro sinceri plausi a tutto che di vero bene si è fatto dai moderni, non hanno però veduto dappertutto prodigi e portenti.
Eglino, al contrario, hanno scorto e deplorato tra i vizi del secolo quello che con moderno vocabolo si è chiamato egoismo, il più turpe dei vizi sociali, di cui siensi onorati i nostri tempi. senza voler portare il minimo detrimento alla gloria del secolo decimonono, questi austeri filosofi han mostrato una verità scoraggiante, ma pur troppo irrecusabile, quella cioè che alle società presenti mancano quelle forti convinzioni che impongono silenzio a tutt’i calcoli dell’egoismo. E il difetto di forti convinzioni è una delle ragioni di quelle oscillazioni perpetue dello spirito umano e di quelle sue facili condiscendenze al falso e all’errore. La stessa fede che si ha nell’infallibilità del secolo mena ad abbracciare senz’analisi opinioni cozzanti tra esse. Ben sovente si finisce col non ammettere altra opinione che la propria, e si ha fede in essa, e la si crede la sola vera ed incontrastabile; ma se per caso questa tale opinione sia davvero la più giusta e si debba avere il coraggio di confessarla e di propugnarla contro l’errore in moda, allora nasce il dubbio, la diffidenza, e manca il coraggio di difenderla.
Crediamo non apporci male asserendo che è questa la storia delle lotte morali che travagliano gli uomini del nostro secolo sbalestrati continuamente dalla incertezza e dalla debolezza delle proprie opinioni. Si è dato al secolo l’aggettivo di positivo; e si è elevata la somma degl’interessi materiali a principio costitutivo dell’umano benessere, il quale si è guardato come ultimo fine a cui debba aspirare l’indefinito progresso; mentre il sangue del Giusto sparso sul Golgota segnava un altro fine a cui tender debbono le umane azioni, quello cioè della virtù e della perfezione. Il progresso che si affatica a raggiungere il benessere materiale della vita è regresso morale; dappoichè quello scambia i mezzi pel fine, e cammina a controsenso degli alti e immorali destini dell’uomo.
FRANCESCO MASTRIANI