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I.
. Nel 1951 avevo sette anni; in quell’anno nacque mio fratello Rosario, che diventerà poi il mio compagno di giochi.
Giocavamo spesso a calcio con una palla, e le porte erano le sedie.
Eugenio mio padre aveva 30 anni, mia madre Anna 27.
Quell’anno si tenne la prima edizione del Festival di Sanremo presentato da Nunzio Filogamo. Vinse Nilla Pizzi con la canzone Grazie dei fiori. Lo ascoltammo per radio.
Abitavamo a Materdei, al vico della Calce n°49, in un basso.
Ricordo che mia madre aveva partorito in ospedale e per l’occasione mio padre aveva abbellita l’unica camera dell’ alloggio con un festoso parato blu a rombi.
Al primo piano di quello stesso palazzo, abitavano i miei nonni materni, in una grande appartamento ove convivevano altre due famiglie, oltre a zio Mario (‘o tipografo), fratello celibe del nonno.
Ecco l’elenco delle persone che vivevano in quella casa: nonno Ciccillo e nonna Puppenella e i loro quattro figli Mimì, Vincenzo, Maria ‘a piccerella (aggettivo che gli avevano affibbiato per distinguerla da sua cugina Maria ‘a grossa che pure viveva in quell’appartamento), Antonietta, la più piccola dei figli dei nonni, e che aveva solo due anni più di me; zia Memela, sorella del nonno e suo marito zio Luigi, che in quella casa ci aveva un banchetto di ciabattino, le loro figlie Maria ‘a grossa e Anna con suo marito Enzo Perillo e tre loro figli: Salvatore, mio coetaneo, Rita e Silvia.
Un piccolo stanzino, nel quale c’era un cesso di ferro nero e un piccolo lavabo, pure di ferro, doveva servire per i servizi igienici per tutte quelle persone. La mattina era una guerra per chi doveva andarci per primo. Dio mio! ma come vivevano? ma, ‘o bidè, non se lo facevano?
Poiché quella era la mia seconda casa, dormivo spesso lassù; in un lettino situato in un corridoio, in compagnia degli zii Mimì, Vincenzo e degli… scarafaggi! che orrore!
Ricordo che la sera nella stanza più grande di quella casa, che era la cucina, veniva sgombrata la tavola e approntati i letti; i materassi venivano poggiati su tavole sostenute da assi di ferro, e venivano realizzati dei separé con le lenzuola per proteggere la privacy dei dormienti.
Solo i miei nonni materni avevano la loro camera da letto; erano due persone eccezionali; posso dire senza ombra di dubbio che sono cresciuto con loro, a parte i primi due anni della mia vita, quando venni accudito dalla zia Concetta, sorella della nonna, che pur viveva in quella casa, ma che in seguito, pace all’anima sua, morì sola e abbandonata, nell’ Ospedale San Gennaro dei Poveri.
Dopo la scuola io trascorrevo il resto della giornata in casa dei nonni, poiché anche la mamma lavorava, come domestica presso gli editori Pironti, nella loro casa sita in via Salvator Rosa.
Quando mi feci più grande, uscito da scuola mi recavo a via Foria, e tenevo compagnia al nonno, che aveva una bancarella di vendita di libri e giornalini usati, cosa che fece in seguito anche mio fratello. Ricordo i fumetti Il grande Blek, Capitan Miki, Akim, Topolino e la rivista Selezione, il mensile di cultura al quale anni dopo diventammo abbonati io e mio fratello Rosario, e i meravigliosi libri di Emilio Salgari e tanti altri.
Nel palazzo accanto alla bancarella del nonno, al primo piano, ci abitava e aveva lo studio un famoso pittore; il suo nome era Carigliano e spesso gli portavo il caffè; mi è rimasto impresso nella memoria un quadro che stava realizzando e che rappresentava una madonna in grandezza naturale. Qualche tempo dopo questo quadro della madonna fu portato in processione dai fedeli, per la via Foria.
La bancarella del nonno era situata di fronte alla stazione della metropolitana di piazza Cavour, e nei pressi di questa c’ era una sorta di raccolta di mozziconi di sigarette, dai quali veniva recuperato il tabacco residuo che riciclato e venduto insieme alle cartine, se ne ricavavano nuove sigarette…i chi schif!
Spesso andavo al cinema Partenope, che si trovava poco più avanti, il quale aveva due sale, la A e la B, in questa venivano proiettati quasi sempre film di genere western e nell’intervallo tra i due tempi veniva proiettata La Settimana Incom, dove talvolta potevo vedere sul grande schermo, i miei campioni di calcio. La TV non esisteva ancora in Italia.
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Alcuni cenni sui nonni paterni.
Mia nonna Clelia Vecchione, a quei tempi era separata dal nonno Emilio. Ricordo di lei il carattere rigido e severo, i figli le si rivolgevano, usando il voi. Vestiva sempre in modo elegante e portava, com’era d’uso in quell’ epoca sul cappello, sempre un velo che le copriva il volto.
Ricordo un episodio drammatico di quel periodo e che mi è rimasto impresso nella memoria e che evidenzia appunto il carattere singolare di nonna Clelia. Avevo circa nove anni, e mentre attraversavo la strada Nuova di Capodimonte, (for ‘a via nova) venni investito da un’auto e svenni; quando mi svegliai mi trovai in un lettino dell’Ospedale dei Pellegrini, con varie escoriazioni per tutto il corpo; per fortuna non fu un incidente grave e fui subito dimesso. Vennero a prendermi nonna Puppenella e la mamma, molto spaventate. Qualche giorno dopo venne annunciata la visita di nonna Clelia, che voleva sincerarsi delle mie condizioni di salute. Io che mi ero già ripreso, come al solito ero a giocare in mezzo alla strada. Dovettero fare salti mortali per rintracciarmi e mettermi nel lettone di nonna Puppenella: poiché tutti temevano nonna Clelia, mi costrinsero a mettermi nel letto sennò ella avrebbe potuto dire che si era scomodata inutilmente per venirmi a trovare. In quell’epoca nonna Clelia abitava al cavone di piazza Dante e in quella casa che si accedeva tramite una scalinata direttamente dalla strada, ella aveva realizzato una specie di dopo scuola ed insegnava ai bambini di quel rione. In quella casa ci andava spesso don Antonio Iazzetta, che alla morte di nonno Emilio, che lo aveva soprannominato serpe velenosa, diventò il suo secondo marito.
Di nonno Emilio, che era un grande amico di nonno Ciccillo, serbo un buon ricordo, a parte qualche incazzatura durante le famose partite a tressette che si facevano in casa del nonno materno. Una domenica a giocare c’era pure lo zio Adolfo (‘o pittore); successe il finimondo per un errore di gioco, non ricordo di chi, forse di mio padre, che non era una cima in quel gioco, certo è che ad un certo punto volarono parole grosse tra nonno Emilio e zio Adolfo, che buttarono il tavolino per aria con tutte le carte da gioco.
Ma le carte da gioco il nonno le usava anche per deliziarmi con giuochi di prestigio. Un’altra sua passione era la musica lirica. Un giorno venne a trovarci nel nostro umile basso al Palazzo a 49; la radio stava trasmettendo un’opera lirica, e nonno Emilio anticipava i versi delle romanze prima che venissero eseguite dai cantanti.
In quell’epoca il nonno abitava alle Fontanelle, insieme alle due sorelle zitelle Marta e Sofia; entrambe avevano conosciuto il nostro illustre avo Francesco Mastriani! Abitavano al primo piano di un vecchio palazzo i cui due balconcini affacciavano sulla strada. Spesso io e mio padre lo andavamo a trovare, poiché il nonno soffriva di non so quale malattia, e gli dovevano fare dei salassi, applicandogli delle sanguisughe sul petto. Nonna Clelia, da lui diviso, non si prese mai cura del suo ex marito, e il nonno ne soffriva molto.
La morte del nonno avvenne nei primi giorni del gennaio 1959. Egli abitava allora a Marano, insieme a suo figlio, lo zio Ettore che era sposato con zia Maddalena e che aveva quattro figlie. Al funerale ci andai insieme con mio padre.
Il mio genitore in quel tempo già mi aveva inculcato la passione per il calcio e in particolare, un morboso attaccamento per la squadra del Napoli.
Il colore azzurro mi entrò subito nel cuore. Incominciavo a ricordare a memoria, il nome di quasi tutti i calciatori, sia quelli del Napoli, che di altri campioni delle altre squadre di Serie A.
Mio padre in quell’epoca aveva avuto regalato, da sua madre, mia nonna Clelia, una bella radio, una Phonola.
Ricordo un particolare di queste radio: avevano un occhialino, il così detto occhio magico, di colore blu, che quando la radio veniva accesa, s’illuminava.
Naturalmente la domenica pomeriggio io e papà ascoltavamo la radiocronaca di Niccolò Carosio, il quale trasmetteva sempre il secondo tempo di una partita di Serie A, e durante la radiocronaca, annunciava i risultati parziali delle partite degli altri campi.
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Il mio primo ricordo si riferisce al campionato 1951-52, e la partita trasmessa era Torino-Napoli, che finì per 4-0 in favore degli azzurri partenopei.
Voglio precisare che il Grande Torino dei Mazzola (padre di Sandro), Loik, Menti, Rigamonti, Ossola ed altri campioni, era scomparso due anni prima, per la tragica caduta dell’aereo, sul quale la squadra era imbarcata di ritorno da una trasferta in Portogallo, sul colle di Superga.
Il Napoli schierò quella stagione pressappoco la seguente formazione base: Casari, Comaschi, Del Frate, Castelli, Granata, Gramaglia, Formentin, Krieziù, Amedei, Vinyei, Scopigno.
Degli altri campioni di quei tempi ricordo Viola e Boniperti della Juventus, Ghezzi, Lorenzi e Skoglund dell’Internazionale, Nordhal e Liedholm del Milan, Cervato, Chiappella e Rosetta della Fiorentina. Il campionato lo vinse la Juventus; per il Napoli un buon sesto posto.
Del Festival della canzone napoletana di quell’anno, ricordo i cantanti Franco Ricci, Tullio Pane e Maria Paris.
E rammento altresì la festa di San Vincenzo Ferreri alla Sanità, detta la Festa del Monacone, le luminarie, il concertino, le canzoni napoletane: tutto era emozionante.
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Il campionato 1952-53 lo vinse l’Inter di Lorenzi, Skoglund e del forte portiere Ghezzi, con due punti di vantaggio sulla Juventus. Buon quarto posto del Napoli.
Nel mese di gennaio l’Italia entrò a far parte dell’ONU, nonostante l’opposizione dell’URSS che l’anno dopo perse il suo uomo guida Stalin; al suo posto succedette Kruscev.
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Nel campionato 1953-54, avevo dieci anni. Il Napoli disputò di nuovo un buon campionato, classificandosi quinto.
Lo scudetto lo vinse ancora l’Inter con un solo punto di vantaggio sulla sua eterna rivale, la Juventus.
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.Giocatori del Napoli in allenamento allo stadio del Vomero
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Campionato 1954-55. Avevo 11 anni. Il Napoli del presidente Achille Lauro, acquistò per 105 milioni, una somma strepitosa a quell’epoca, lo svedese Jeppson. Ho il ricordo di una bella vittoria del Napoli a Milano contro l’Inter, ascoltata sempre per la radio. Io e mio padre non credevamo alle nostre orecchie. Il Napoli batté l’Inter per 4-1 e quell’anno si piazzò al sesto posto, davanti ai nerazzurri di Lorenzi e Skoglund, e alla Juventus. La formazione base degli azzurri era pressoché: Bugatti, Comaschi, Del Bene, Ciccarelli, Trerè, Posio, Vitali, Granata, Amadei, Jeppson, Pesaola. Lo scudetto lo vinse il Milan di Nordahl e Schiaffino.
A gennaio del 1954 la Rai iniziò le trasmissioni regolari. Ma in casa nostra dovevano passare altri dieci anni per averla.
Nell’anno 1955 papà ebbe ‘na bella pensata: ci fece prendere le nostre mappatelle e ci trasferimmo da Materdei a Ponticelli, a casa di zia Chiara, la sorella di papà, una donna che ho sempre avuto in grande… antipatia. In un alloggio dove già vivevano la bellezza di nove persone: i miei zii coi loro sette figli, uno dei quali (Giggino ‘o russo), è stato il mio compagno preferito.
Quell’anno, a causa di questo trasloco, fui costretto a ripetere la terza elementare.
Nel mese di ottobre la città di Trieste ritornò ad essere italiana, e nella primavera dell’anno successivo, mentre nell’est europeo l’URSS e altre sei nazioni satelliti davano vita al Patto di Varsavia, in occidente nacque il Mercato Europeo Comune, antenato dell’Unione Europea del terzo millennio.
Devo registrare un altro brutto episodio della mia vita. Io e mio cugino Salvatore Perillo, un giorno decidemmo di andare a farci il bagno a Mergellina, e per andarci ci appendemmo al tram; al ritorno, sempre appesi ad esso, nei pressi di piazza Sannazzaro io persi l’equilibrio e caddi dallo staffone del tram e persi i sensi, e mi trovai steso su un lettino dell’Ospedale Loreto con varie escoriazioni e una botta al capo. Dopo qualche giorno per fortuna mi dimisero. L’avevo passata proprio brutta.
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. Del campionato 1955-56 ricordo la mia prima volta allo stadio, avevo 11 anni. Papà ed io partimmo da Materdei, a piedi, ed imboccammo la salita della Salute che portava al Vomero. La mia emozione fu indicibile quando andammo a sederci nella curva dello stadio del Vomero; io vedevo per la prima volta un campo di calcio, il prato verde, le porte, e poi i calciatori, i miei idoli da vicino. Vinicio, Jeppson, Comaschi, Pesaola, e tanti gol, e la maglia azzurra del Napoli, tutto fu un sogno che si avverò.
La partita era contro la Pro Patria, squadra che quell’anno retrocesse in Serie B, infatti risultò molto facile per il Napoli che vinse per 8-1. Stranamente non ricordo nessun gol di quell’ incontro. L’unico flash che mi è rimasto riguarda le magliette della Pro Patria: a strisce orizzontali bianche e blu.
Di quel campionato ho un altro bellissimo ricordo; papà mi portò, sempre al Vomero, a vedere una partita di cartello, nel mese di marzo: Napoli-Milan. Quella mia emozione fu pure indescrivibile. Avevo dodici anni: ecco ciò che la mia memoria ha conservato. Siccome il portiere titolare del Napoli Bugatti era infortunato, al suo posto giocò Fontanesi, l’eterno secondo e i tifosi erano preoccupati e temevano molto questa partita perché il Milan, campione d’Italia in carica era fortissimo. Tra le sue file c’ erano campioni come, Liedholm, Nordahl, Schiaffino, Maldini (Cesare, padre di Paolo).
Nel primo tempo non successe niente di particolare. Nella ripresa ad un certo punto vedemmo con preoccupazione che Vinicio cominciava a zoppicare. A quell’epoca non erano previste ancora le sostituzioni, neppure quella del portiere. Vinicio venne spostato all’ala destra. Era questa una tattica adottata in caso d’infortunio non troppo grave, per non rimanere in dieci uomini in campo. Eravamo a metà ripresa, l’ azione si svolse nella curva opposta a dove eravamo io e papà. Pur infortunato, Vinicio s’impossessò della palla sulla fascia sinistra del campo, entrò in area e lasciò partire un tiro imparabile che lasciò il portiere rossonero Buffon di stucco (da notare che questo portiere, Lorenzo Buffon, che pure fece 15 presenze nella nazionale maggiore, era l’omonimo del Gianluigi campione odierno). Lo stadio esplose in una gioia incontenibile, sento ancora negli orecchi il grido dei tifosi: Vinicio! Vinicio! Vinicio! Ma ‘o lion, com’era soprannominato, non era ancora domato: non passarono pochi minuti ed ecco che con una zampata, ‘o lion segnò il secondo gol per il Napoli! – Ma non si era fatto male? – si chiedeva la gente.
Ma ‘o lion è semp ‘o lion, e pure se ferito non s’arrende mai!
Quell’anno il Napoli si piazzò nei bassifondi della classifica, mentre per la prima volta nella sua storia fu campione d’Italia la Fiorentina. La sua formazione tipo l’ho ancora impressa nella memoria: Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Orzan, Segato, Julinho, Gratton, Virgili, Montuori, Prini.
Nel mese di novembre Mike Buongiorno presentò in TV la prima puntata di Lascia o raddoppia?
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Nell’anno 1957 avevo 13 anni. Terminai le scuole dell’ obbligo con la licenza elementare. Abitavamo ancora a Ponticelli, non più nella casa della zia Chiara e di zio Gennaro, una persona buona ed affabile, pace all’anima sua, al quale ho voluto sempre bene. Seguendo l’esempio di un’amico di papà, andammo ad occupare un negozio in un palazzo poco discosto dalla casa degli zii, vicino ad un altro locale occupato da una famiglia che di cognome faceva Luongo; in seguito avrei fatto amicizia con alcuni dei numerosi suoi componenti: Tonino, Angelina (la mia prima cotta) e Geppino.
Abitavamo in quella casa quando mio padre subì il grave infortunio sul lavoro, che condizionò in seguito la sua e la vita della sua sventurata famiglia. Mentre nel reparto falegnameria della ditta dove lavorava, era intento a tagliare una asse di legno sotto una sega elettrica circolare, il pezzo di legno si spaccò in due e la sua mano sinistra andò a finire contro la lama dell’utensile. Papà svenne. Quando riprese i sensi in ospedale si trovò con la mano fasciata e solo più tardi apprese con orrore che sotto la sega ci aveva lasciato due dita.
Ho anche un altro ricordo poco felice di quel periodo di nostro padre, il quale ebbe una relazione con una donna. Mia madre se ne accorse e ne soffrì terribilmente, tanto che un giorno tentò di avvelenarsi con il gas; per fortuna che io era lì, e avvedutomi del fatto, corsi come un pazzo verso la casa della Zia Chiara dove stava pure papà e così… evitammo la tragedia.
Di quell’anno rammento anche la grande nevicata del ’56; accompagnavo Rosario all’asilo, io avevo 12 e lui 5 anni, sguazzavamo nella neve, tutto era bianco.
Finite le scuole dell’obbligo, ahimè, non potetti continuare gli studi e cominciai a lavorare al bar Adele di Ponticelli. Mio padre mi mise pure a vendere i giornaletti usati sotto il ponte della vesuviana. Io e mio fratello trascorrevamo molto tempo in mezzo alla strada a giocare a pallone, per cui avevo sempre le scarpe sfondate.
Una domenica di quell’anno vennero a pranzo da noi a Ponticelli, i nonni materni Ciccillo e Puppenella, persone di gran cuore. Ma la cosa strabiliante di quella domenica fu questa: mentre stavamo ascoltando la radiocronaca, ad un certo punto Niccolo Carosio diede i parziali dagli altri campi di Serie A: a San Siro, Milan 0 Napoli 5! Rimanemmo di stucco, non credevamo alle nostre orecchie; anche il nonno, che non era un grande appassionato di calcio, rimase perplesso, tanto vero che pensammo che non avessimo sentito bene. All’annuncio seguente Carosio disse; a San Siro, Milan 1 Napoli 5, poi Milan 2 Napoli 5 e alla fine, meno male, Milan 3 Napoli 5. Il Napoli giocava con la seguente formazione: Bugatti, Comaschi, Greco, Morin, Franchini, Posio, Beltranti, Brugola Vinicio, Pesaola, Vitali.
Quei due punti conquistati sul campo della squadra che si sarebbe laureata campione d’Italia, in quel campionato 1956-57, furono determinanti per il Napoli che quell’anno combattè per non retrocedere in Serie B!
Nell’ottobre di quell’anno 1956 le truppe sovietiche invasero l’Ungheria che voleva uscire dal Patto di Varsavia.
Nel 3 febbraio dell’anno successivo, alle 20.50 la Rai trasmise per la prima volta Carosello, programma di pubblicità che diventò un appuntamento fisso anche per mio fratello Rosario, che cominciò a guardarlo in una TV di una vicina di casa.
A luglio la Fiat presentò a Torino la Cinquecento.
Nel novembre del 1957, l’Urss lanciò nello spazio lo Sputnik II con a bordo il primo essere vivente: la cagnetta Laika.
Grazie al coraggio avuto nell’occupare il magazzino a Ponticelli, sia a noi che alla famiglia Luongo ci fu assegnata, una vera casa, tutta nostra, a via Cavalleggeri d’Aosta, con bagno, acqua calda e giardino, bellissima! Rosario che aveva compiuto sei anni, cominciò le scuole elementari. Papà continuava a lavorare presso la ditta di vetri di Carlo Azzi. Io mi occupai come ragazzo porta caffè nel bar Del Bono ai Campi Flegrei.
Ricordo che in quell’anno 1958, di bar in quella zona ce n’ erano solo due, il nostro e il bar Santos, per cui io portavo il caffè in posti molto lontani come alla Mostra d’Oltremare, alla
stazione della funivia, che in quel tempo funzionava ancora, e portava i passeggeri da via Domiziana a Posillipo, alla caserma Flegrea in via Diocleziano e al cantiere edile dove stavano costruendo, quello che sarebbe diventato lo Stadio San Paolo.
Facevo chilometri e chilometri con la guantiera in mano!
Ma il mio ricordo più bello è sempre legato ad una partita di calcio. C’era Napoli-Juventus al Vomero, e per l’occasione, nel bar accesero la radio per ascoltare la partita. Ad un certo punto portai tre caffè alla stazione Agip in via Domiziana (esiste tutt’oggi). Stavano ascoltando la partita anche i benzinai, amici miei. Il Napoli stava vincendo 2-1. Ricordo che nella Juventus c’erano campioni del calibro di Sivori e Charles.
Lo stadio era gremito, con tifosi addirittura a bordo campo, cosa oggi impensabile. Quando tornai al bar il risultato era 3-3.
La partita stava quasi per finire, quando un urlo indescrivibile si sentì da tutte le parti: il Napoli aveva segnato la quarta rete con Bertucco. Questo particolare me lo ricordo benissimo, perché i giornali, il giorno dopo titolavano Bertucco l’uomo del 43, poiché aveva segnato al 43° minuto del secondo tempo.
Quell’anno lo scudetto 1957-58 se lo aggiudicò proprio la Juventus e fu per lei il decimo titolo e acquisì il diritto di fregiarsi della stella dei 10 scudetti conquistati. Il Napoli si classificò quarto e fu l’unica squadra a vincere a Torino contro i bianconeri, che vennero sconfitti per 3-1.
Dello stesso anno ho un altro bellissimo ricordo: i benzinai dell’Agip, avevano vinto dei soldi al totocalcio e mi fecero un gran regalo, mi portarono con loro allo stadio del Vomero a vedere un’importante partita, Napoli-Fiorentina; i viola lottavano per lo scudetto, infatti alla fine si classificarono secondi dietro alla Juventus, ed avevano tra le loro fila campioni come Chiappella, Gratton, Virgili e Montuori. Fu una partita bellissima, il Napoli vinse per 3-1 e ricordo che Novelli realizzò una doppietta proprio nella curva dove eravamo noi.
Avevo 14 anni, età del passaggio dalla fanciullezza all’ adolescenza; eravamo nell’anno 1958. Nel bar c’erano dei baristi più grandicelli di me; ricordo uno che si chiamava Silvio che mi diceva: sono cavoli vostri, quella stronza della Merlin ha fatto chiudere i casini…
Nel campionato 1958-59, non successe nulla di eccezionale a parte una sonora sconfitta del Napoli a Roma per 8-0. Nei giallorossi giocavano Selmosson, Ghiggia e Da Costa; gli azzurri, con la quasi stessa formazione dell’anno prima, condussero un campionato senza infamia e senza lode, da metà classifica. Campione d’Italia fu il Milan dell’oriundo Altafini.
Ci fu pure, la prima volta nella sua storia calcistica, la retrocessione in Serie B del Talmone Torino, dieci anni dopo la sciagura di Superga.
Avevo 15 anni; facevo ancora il barista presso il bar Del Bono ai Campi Flegrei. Nel mese di settembre entrò in vigore la legge Merlin che sancì la chiusura delle case di tolleranza. Nel mese di ottobre salì sul soglio pontificio Giovanni XXIII, successe a Pio XII.