Il freschetto fa correre la gente, e corro anch’io; già questo è il secolo delle corse, dei corsieri, dei corridoi e dei corrieri. In nessun tempo si è corso tanto quando nell’aureo decimonono che trovasi oramai alla sua maturità e però esser dovrebbe un poco più savio e non così frugolo e scioperato com’è. Sì signori, oggi è in moda il correre: si è pigliata la parola progresso nella sua letterale accezione, e si crede che esso consista nel precipitarsi a spron battuto. Tutto si fa in fretta, coll’oriuolo in mano, come se temessimo di perdere un sol minuto del tempo prezioso, di cui pertanto facciamo uno sciupo infinito nelle più solenni bazzecole. Noi figliuoli di questo prodigioso secolo corritore, noi abbiamo una fretta grandissima di arrivare al termine di questo nostro viaggio.
Abbiamo inventato il vapore per correre noi medesimi per terra e per mare, il filo elettrico per far correre le industrie e il commercio, i ponti tubolari per far correre i continenti sulle isole e viceversa, i marciapiedi per lasciare più agio ai cavalli di correre per le strade; abbiamo insomma inventato tante belle cose a solo oggetto di romperci la nuca del collo. I nostri antenati non correvano tanto, e arrivavano sempre dove volevano; e noi per lo più perdiamo la staffa a mezzo il cammino… è come un vaggone di ferrovia, sul quale poiché ti sei messo, indarno griderai che ti lascino andar più adagio, che tu non ami quello scavezzacollo; non ci è misericordia!… puff! puff! puff! corri, corri, avventurato figlio del XIX, corri cogli altri finchè non arrivi alla più vicina stazione… il Camposanto!
Queste cose ho premesse a questo articolo corriere, per farvi capire che il mestiere di corrieri lo facciam tutti; onde non fare le maraviglie se vengo ancor io innanzi con questa qualità. Da altra parte, è un ufficio come ogni altro, ufficio gaio, vivace, che giova alla salute quando non ti fa morire come la cicala di la Fontaine o la rana di Esopo.
Il mondo è un pallone che si gonfia con le chiacchiere, e chi più ne dice meglio risponde alla sua missione; e i corrieri giornalistici più degli altri adempiono al loro còmpito di empir di ciarle questa palla schiacciata. Chiacchiere, e poi chiacchiere, sempre… chiacchiere; ecco quel che abbiamo guadagnato colla magnifica invenzione dei giornali.
Dopo questi preliminari, entriamo in materia; mettiamoci sul serio, come disse Grozio in sul punto di morire; ma io che nono son un barbassore come Grozio, e che, per mia disgrazia, non mi trovo ancora a questo punto coronaio, dico invece: mettiamoci sullo scherzo. Fammi ridere, diceva al suo buffone il signorotto dei mezzi tempi roso dalla noia; fammi ridere, dice oggi il lettore al giornalista.
Umorismo, umorismo, umorismo, grida la società annoiata a morte, umorismo, per carità; non vogliamo pensare, non vogliamo riflettere, non vogliamo istruirci; vogliamo sorridere un poco e poi gittarvi agli agiamenti come carta straccia. Grazie, signora società, siete troppo gentile! Se almeno ci pagaste come pagate i saltimbanchi e i ballerini! Signora società, ho l’onore di dirvi che voi siete una vecchia cortigiana piena di malanni e di capricci, zeppa di peccati, tra cui la più vergognosa ingiustizia. Attrape!
Secondo l’usato stile degli articoli di fondo, io debbo darvi conto delle attualità che palpitano, come direbbero quei cianciatori d’oltralpe, appo i quali tutto palpita fuorché i cuori. Bisogna andare a caccia di attualità. Bisogna afferrarle al passaggio, acchiapparle pel cravattino e presentarle ai voraci associati della Domenica.
Ma la merce non mi manca, anzi ce l’ho in tanta copia, che io non so dove mettere le mani e donde incominciare. Napoli è colma di attualità; se ne vedono dappertutto; si affacciano ai balconi, alle finestre, vi si cacciano sotto i piedi, attualità di qua, attualità di là, di su, di giù; è un diluvio, un assedio, una peste di attualità. I giornalisti se n’empiono le tasche, i cappelli ed anco gli stivali; e da ciò nasce che qualcuno scrive coi piedi. Io per me mi confondo, non so fare una scelta… Una alla volta per carità! Incominciamo.
La prima attualità palpitante è… che io non ho che dire. Pare impossibile! Mi metto la penna sulla punta del naso; mi stiro i baffi, mi attorciglio il pizzo, torturo il sigaro, e tutto ciò inutilmente. Intanto, i lettori che diranno? Incominciamo assai male.
Vorrei trovare qualcosa di nuovo, di bello, di originale, qualche novità straordinaria che uscisse da’soliti subbietti.
Signori, io vi parlerò del Fun. Scommetto che questa parola inglese vi giungerà novella; scommetto che non sapete ciò che significa, ancorché conosciate la lingua di Albione; eppure il Fun è un’attualità palpitante in Napoli, è un’attualità davvero singolare e bizzarra; la moda n’è venuta oltre la Manica, ma ormai si è diffusa in quasi tutte le case di buon gusto, di eleganza, di sciocchezza. Moltissimi sanno che cosa è il Fun, senza conoscere che si chiama così. Il Fun è arrivato fresco fresco da Londra coll’ultimo vapore da Marsiglia; la buona società napolitana se n’è impossessata e l’ha diffuso tra le classi privilegiate.
Volete sapere che cosa è il Fun?
Eccomi a dirvi che il Fun è quel che voi non potreste mai immaginare; è una novità, una moda, un mezzo piacevolissimo di trarsi d’impaccio in molte cose.
Verbigrazia, voi leggete annunziato sui cartelli di S. Carlo un nuovo tenore, di cui i giornali di tutto il mondo han detto mirabilia… Correte al teatro, allungate gli orecchi, ed invece del tenore di cartello (e veramente molti di questi tenori son di cartello perché non hanno altro valore che quello che il cartello dà loro) voi trovate un cagnolino più o meno arrabbiato – Ecco un Fun!
Voi amate una fanciulla alla follia; circondate questa creatura con tutta la poesia di che è capace il vostro cuore: ogni giorno voi scoprite nell’idolo vostro novelli pregi, peregrine virtù, novelli incanti; affrettate coi sospiri il giorno in cui sarete suo sposo; il paradiso con tutte le sue gioie non può offrire alla vostra immaginazione le delizie che vi promettere dalla vostra unione con quell’angelo. Arriva il dì sospirato; e dopo, il primo giorno, voi scoprite nella vostra sposa tutt’i difetti di che può essere capace una donna. – Ecco un Fun!
V’imbattete in società con un giovane che ha un aspetto gentile, seducente, che ha maniere nobilissime, linguaggio distinto; lo avvicinate, egli vi stringe la mano, e si professa vostro amico ad ogni prova; gli parlate di lettere e di arti, vi tien piede e vi risponde meravigliosamente. Voi non capite nei panni per la contentezza di aver acquistato un tanto amico! Non passa una settimana, e voi venite a conoscere che questo giovine così elegante, così istruito, così piacevole, esercita il nobile mestiero di usuraio! Fun, signori, Fun in tutte le regole.
Voi vi recate a sentire un oratore del parlamento italiano: le sue parole vi fan saltare dalla sedia, tanto sono piene di amor patrio, di liberalismo, di sentimenti democratici e umanitarii. Voi fate voto che quel deputato sia fatto ministro pel bene d’Italia. Un mese dopo, quel deputato fa parte del nuovo ministero; ed il buon popolo italiano scorge in lui un altro carnefice, un altro vampiro: questo è certo il più terribile dei Funs!
Non la finirei più se volessi qui noverarvi tutte le specie di Funs che si fanno in società oggigiorno: è una moda incantevole; un progresso dell’arte del ben vivere sociale. Ogni buon galantuomo, pria di mettersi nel mondo, si provvede d’una dose di Fun sufficiente per fare i suoi affari. Un uomo che non sappia giuocare al Fun è un povero infelice che rischia in società il cuore e la borsa. Dunque, evviva il Fun! Invito gli accademici della Crusca a trovare una parola italiana che corrisponda a questa magnifica parola inglese.
FRANCESCO MASTRIANI