Questo mese di novembre è cominciato con fausti auspici. Il giorno di Ognissanti fu il più bello dello scorso autunno per dolcezza e serenità di tempo. Tutta Napoli fu su i Cimiteri. Ponete mente che dico su e non già nei o sotto.
Il pellegrinaggio a’ campisanti fu numerosissimo in questo anno; e i morti, se non fossero morti, si sarebbero trovati imbrogliatissimi a fare gli onori di casa – Noi vogliamo allontanare ogni immagine funesta o lugubre, giacchè nel dar cominciamento a questa pubblicazione ci piace di non rattristare i nostri lettori. Ma non vogliamo pertanto farci sfuggire l’occasione di far giuocare la frusta su la schiena d’una nostra assurdissima usanza popolare, contro la quale gridiamo l’anatema con quanto più fiato abbiamo nel corpo. – Vorremmo sapere che cosa significa il cento di questi giorni nella trista ricorrenza del 2 Novembre? Che si facciano gli auguri al capodanno, al giovedì grasso, al dì delle ceneri, alla Pasqua, alle Pentecoste, a Natale ed anco a S. Martino (vostro servo che è oggi) è cosa che pur rompe gli stivali, ma che ha un certo senso di logica, perocchè sono giorni di liete festività. Ma, corpo del più brutto tra i diavoli! Come ci entra il cento di questi giorni nel dì de’ morti? Che cosa direste di una bestia che venisse a regalarvi il prelodato augurio nel momento in cui state piangendo la morte di un caro congiunto? Non sarebbe il caso di rispondere con una pugnalata? Noi non sappiamo chi fu l’assassino che introdusse questo uso in Napoli; e ci duole di non saperlo, perché avremmo consegnato il suo nome alla maledizione dei presenti e de’ posteri; ed avremmo posto su la tomba il seguente semplice epitaffio:
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O pietoso, che ogni anno qui ritorni.
Non dir per me, ten prego, il De profundis
Ma solo di’: CENTO DI QUESTI GIORNI.
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A disvezzare il nostro popolo di questa barbara usanza, noi preghiamo i nostri concittadini di non dare un centesimo a nessuno di quelli che lo regalano ne’ primi giorni di Novembre questo insulto sotto forma di augurio. Né vale il dire cento di questi giorni non è altro che un augurio di longevità alla persona a cui vien dato perché, riguardato sotto questo aspetto tale augurio potrebbe applicarsi ciascun giorno dell’anno; ed in tal caso, perché non dirlo anche il dì di S. Callisto, di S.ª Fotina o si S. Luigino? Ma, lasciando da parte l’importunità di questo augurio, non è da considerarsi come un’altra imposizione aggiunta alle tante che ci spremono e che se dessimo un soldo a ciascuno di quelli che ci regalano un cento di questi giorni, se ne andrebbero una quindecinella di lire per avere il piacere di ricordarci che un giorno saremo anche noi nel numero de’ morti. E dies irae nei presenti felicissimi tempi possono salvarci, per dieci giorni, dalle agonie del conte Ugolino.
Ma di questo abbiamo ragionato abbastanza. Adottiamo il sistema di non intrattenerci a lungo sovra un subbietto tranne quando la sua importanza lo richieda.
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Francesco Mastriani
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Fu pubblicato sul giornale La Domenica l’ 11 novembre 1866.