SCHIZZI DI COSTUMI SOCIALI
I NOSTRI SALONS [1]
Il nostro è il secolo di spleen, di noia, di tristezza. Il Lion ha distrutto la galanteria, e oggidì nulla vi è di più squallido che i nostri salons. Finì quel tempo della conversazione italiana tanto celebrata da’Francesi, e tanto invidiata dagl’Inglesi; ora non abbiamo nelle gallerie che vecchi sessagenarî inchiodati dai loro reumatismi su i morbidi pàtès, dove passano in qualche modo le seccantissime ore sparlando de’nostri costumi e della nostra goffaggine. A sentire quelle loro tattamellate lunghe lunghe sovra il buono vecchio tempo, quando la più spensierata giovialità regnava tra le brigate; e
sentire come que’parrucconi raccontano deliziosamente i tanti sollazzi della loro giovinezza, e vedere come a quelle care memorie si allarga la loro anima e si spande nella vita passata, spesse volte mi si stringe il cuore in pensando come il progresso e lo sviluppo delle idee filosofiche abbiano nociuto alla intima nostra vita sociale.
I nostri salons hanno colori cupi e fantastici; financo la forma o la disposizione delle suppellettili t’ingombrano l’animo. Vi si scorge un laisser-alter, un vivere sciatto, e non curante: pare come se i padroni di casa si apprestassero sempre a sloggiare, come se il buon ordine stesse contro il buon genere. Più non si reggono quelle mobiglia eterne di mogano venute da varie generazioni, come le sedie d’appoggio dei vecchi castellani; tutto è oggidì efimoro o transitorio, e la moda vuole che il legno, la seta, ed i colori de’nostri addobbi di sale sieno perituri e fiacchi a mò degli uomini dell’era presente.
La nostra società consunta si agita convulsivamente ne’salons per cercarvi distrazioni e piaceri; tutti i suoi sforzi non fanno però che rimescolar sempre più le noie particolari in una sola comune tediosagine. Le dame vi compariscono pallide, délaissées, silenziose. Non più cortesia e gentilezza dalla parte degli uomini verso il bel sesso; il lionismo proibisce ogni atto di urbanità; epperò ne’salons non di rado si vede a dì nostri un signore che vedendo una dama all’impiedi o stanca, non s’incommoda affatto a cederle la sua sedia, o a procacciargliene una – io medesimo ho veduto una nobile dama curvarsi due volte a raccogliere un guanto cascato a’piedi di un uomo, ìl quale seduto a sdraio sovra un tète-a-téte di raso bianco, mentre la dama gli stava d’appresso all’impiedi, non mosse neanche il capo per secondare il movimento di lei.
L’esistenza leggiera de’nostri padri é stata surrogata da un viver solenne nella sua puerilità, e puerile nella sua solennità. Lo idee hanno bandito le immagini,1’aristocrazia del pensare ha fiaccato i piaceri , ed il lusso ha fugata la comodità – Poveri noi, la noia ci perseguita, ci ammazza, eppur noi l’amiamo, ci attacchiamo al vuoto, idolatriamo il maghero e brutto positivismo.
Quei cari giuochi di penitenza, quelle sciarade in azione, que’biglietti simbolici, quelle danze d’ amore, quella molle maldicenza a fior di labbra, quelle risa di cuore, quelle malizie furtive degli amanti, e tutte quelle altre belle cose che un tempo formavano la delizia de’salons, sono passate di moda, sono finite, lasciandone il retaggio ammorbante nelle furiose galopades, dell’eterne sauteuses, dell’ eterne suonate di pianoforte, dell’ eternissime ciance di cavalli o di corse. Il secolo XIX è per eccellenza il secolo de’cavalli, e guari non andrà che questo animale sostituirà il leone ne’sinaboli della civiltà europea.
Una decina di lions letterati si raccolgono in un cantuccio del salon, nulla badando alle signore che si annoiano sole mortalmente; ivi eglino cinguettano parole misteriose, futilità d’importanza, subbietti di supremo bon-ton: questo è il rout, l’eccentrico ritrovo improvvisato sovente nel bel mezzo di un’allegra serata.
Lo scopo unico o solo delle attuali periodiche riunioni è il ballo, questo bel mostro dai serici guanti o dalle braccia nude. Non vi è richiamo di donne laddove non è un invito di ballo, e questo si è renduto o troppo serio, o troppo sfrenato – L’instancabilità delle gambe si tiene oggidì in quel pregio, in cui teneansi una volta la grazia o la leggiadria de’passi – La contradanza francese co’suoi mille intrecci e concertini è divenuta bourgeoise e noiosa; la non si addice più che ai fanciulli; i lions non ballano che una galopade di quattr’ore, o un valser da far morire emottoico.
Gli stranieri credono che in Italia duri ancora quel bel tempo arcadico di poesia e d’amore; allorché noi contavamo lo ore del giorno col novero de’nostri piaceri, ed eravamo poeti fino alla decrepitezza per l’incanto e per la ispirazione del nostro cielo. Si persuadano una volta codesti eterni cianciatori della nostra pretesa felicità, che noi forse più d’ogni altro popolo del continente siamo invasi dallo spirito dell’anglomaniaca gentry-fashion, la quale ha bandito dall’Europa l’amabilità o l’allegria delle riunioni.
L’aspetto de’nostri salons nulla offre oggidì che rallegri o distragga le noie o i dispiaceri della vita interna. Il lion, questa creazione di un secolo esausto e macerato, questo tipo venutoci dalla maussade Inghilterra, si presenta ovunque grave e glaciale; la sua comparsa mette in fuga il piacere, dappoichè il piacere non è più alla moda; il lion è un essere miné dal positivismo, blasè su tutte le gioie della vita; egli detesta la partie fine, le galanti avventure, non si cura più delle donne, e a lui potrebbe applicarsi quel verso di Byron
I’ die as I have lived… alone. [2]
Il regno delle donne è finito; la magia dei loro vezzi è distrutta; il calcolo e avarizia regolano i matrimoni aristocratici che accadono. Poverette! È una pietà il vederle così poste in oblio, questa cara metà color rosa del genere umano, queste amabili compagne de’nostri giorni! Oh secolo passato, secolo de’ guardinfanti e de’codini, le vecchie ti sospirano, le giovani ti desiderano… ma tu sei passato, e con te sono finiti i bei giorni delle serenate, de’concerti d’amore, della più fina galanteria.
Se volessimo un tantino analizzare le cagioni di questo deplorabile stato de’nostri salons, dovremmo inoltrarci di molto in filosofiche investigazioni troppo aliene all’indole ed allo scopo del nostro giornale. Non però taceremo che una delle più forti o potenti devesi al certo ripetere dello spirito di scetticismo e d’errore che ha invaso la nostra letteratura. On est deirompé sans avoir jouì, ha detto un profondo scrittore francese; e noi crediamo eziandio che colà soltanto regnino i veri o semplici divertimenti dove regna la calma interna delle famiglie, o la pace inalterabile del cuore.
FRANCESCO MASTRIANI
[1] Dimandiamo perdono a’nostri lettori se facciamo ne’nostri articoli soverchio abuso di vocaboli stranieri; a questo ci astringe il subbietto che trattiamo.
[2] Io morrò come ho vissuto… solo.