Napoli è divenuta giornalista, e quando dico Napoli, non crediate che io mi valga di una figura rettorica per intendere il tutto per la parte; oibò, vi dico, senza frasi, che Napoli, tutta Napoli, dall’Albergo dei Poveri alla Torretta, da Belvedere a Porta Nolana, tutta Napoli si è fatta giornalista. Non più medici, non più avvocati, non più salassatori, non più artisti, non più lustrastivali; le professioni, le arti e i mestieri si sono fusi in un solo; e tutti vogliono dire la loro parola al pubblico, che sente più o meno tutti con esemplare docilità.
Giornali, giornalini, giornaletti pullulano a dozzine, come le mosche in questo mese di giugno; i giornali ci assediano, ci ammorbano, ci affogano; non abbiamo il tempo neppure di leggerne i titoli. È questo il caso di esclamare con Figaro: Uno alla volta per carità!
Ah quanto sono da compiangere quei poveri nostri antenati che si ebbero la sventura di affrettarsi a nascere! Che direbbero questi signori se vedessero con che facilità noi gittiamo il nero sul bianco e buttiamo i nostri profondi pensieri sulle panche de’tabaccari e su’deschetti delle botteghe da caffè.
In buona fede e senza passione diteci, signori antenati, vi arrischiavate voi a mettere in luce una riga, se prima i vostri capelli non fossero divenuti bigi? Pensavate di pubblicare una scrittura corredata dal vostro nome, se prima per dieci anni non l’aveste freddamente meditata e covata nel silenzio del vostro studio? E alla fin fine, di che cosa vi occupavate di grazia? Voi non sapevate uscire da’dominii delle cose lunghe e serie: ovvero, se qualche volta vi pigliava il talento di celiare, lo facevate di così cattiva grazia che appena giungevate a fare ridere i vostri pronipoti che siam noi; eravate pedanti in anima e corpo, nelle ossa e nella pelle; e i vostri lunghi e noiosi assiomi appena si aveano il vantaggio di istruire un qualche povero secoluccio. Ma noi per bacco, che differenza! E non vi vergognate di essere stati i nostri progenitori? Noi siamo altra cosa: noi siamo figli de’lumi, figli del vapore, del filo elettrico, del gas, siamo insomma i Beniamini di tutte le generazioni passate, presenti e future. Noi nasciamo colla scienza infusa, e, invece di perdere il tempo a studiare le buassaggini tramandateci da qualche piccola dozzina di meschinissimi secoli, noi ci applichiamo a scriver giornali che sono le vere arterie della civiltà e della scienza. A dieci anni i nostri padri incominciavano a compitare, e noi a dieci anni abbiamo scritto già un piccolo centinaio di articoli di ogni genere, e abbiamo percorsa la scala dello scibile umano e siamo divenuti que’gran dottori che sapete.
Una volta, e quando Berta filava, i bimbi di tre o quattro anni pigliavano sollazzo co’trastulli propri della loro età; oggi i nostri figlioletti, che hanno nelle vene il sangue del secolo dei lumi, non si divertono che colle penne, col calamaio e colla carta. Non crediate esagerazione quanto asserisco. Interrogate tutti i padri di famiglia su i balocchi de’loro figlioletti, e li sentirete quasi tutti affermare la medesima cosa. Sì signori, bruttar carta è oggi l’occupazione prediletta da quattro anni fino alla decrepitezza.
Ieri l’altro, il mio lustrastivali, mentre iva sfregando i miei stivaletti mi dicea che stava per incominciare un giornale a cui dava il titolo La Vernice, forse per isfogare contro questa maledetta invenzione che fa tanto male ai lustrastivali. Il poveretto non sapea che, senza volerlo e senza rifonderci niente del suo spirito, avea scelto propriamente un titolo magnifico pel secolo in cui siamo. Ieri il mio barbiere, torcendomi il muso in quella maniera che ha dato forse origine alla parola barbaro, che tanto rassomiglia a barbiero, mi facea la confidenza di aver contratto con un tipografo la stampa di un giornale intitolato Il Saponetto, nel quale si proponeva di allargare le cognizioni scientifiche intorno al modo di fare la barba e di estendere l’applicazione del saponetto alle coscienze, in guisa da fare immediatamente sparire le macchie di ogni sorta, vecchie e nuove. Puranche il mio sarto, nel prendermi la misura di un matinè, mi ha fatto leggere il bozzo di un manifesto da giornale col titolo Il taglio.
Il bello è che anche le signore donne sono prese dalla febbre periodica. Alle tante nostre miserie ci mancava pur questa di trovare le nostre donne occupate a schiccherare un articolo di polemica invece di badare al guazzetto che si brucia in cucina o al lattante che abbaia nella cuna.
Da banda la celia. Noi ci congratuliamo con tutt’i nostri vecchi e nuovi colleghi; stringiamo loro fraternamente la mano; e saremo sempre i primi a rallegrarci di ogni nuova pubblicazione che miri a spandere nel popolo sodi principî e utili cognizioni.
Del progresso intellettuale delle nostre donne ci consoliamo davvero; e facciamo voti che, senza abdicare al regno delle grazie e degli allettamenti ond’esse abbellano e confortano la nostra vita, escano da quel circolo consueto di futilità, in cui si perde il loro spirito grazioso ed arguto.
FRANCESCO MASTRIANI
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«I giornali. 9 Giugno 1867»