Vogliamo dire qualche cosa sugl’impiegati in generale, e su quelli delle nostre province in particolare. Le nostre parole non saranno che l’eco dei lamenti che da ogni punto del regno si muovono da questa rispettabile classe di cittadini. Noi porremo nelle nostre parole quella moderazione e quel contegno che si addicono alla stampa onesta e indipendente, la quale non si propone altro scopo di rischiarare i ministri e le Autorità subordinate su tutto ciò che si oppone allo Statuto, alla equità ed anco un poco alla carità cittadina. L’Articolo 21 del nostro statuto pone che: «Tutt’i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge.» Invitiamo quelli a cui spetta a meditare su questo articolo fondamentale di ogni benintesa politica e civile libertà. Dicea Machiavelli che il dispotismo si esercita pressoché sempre in ragione inversa della forza; e questo noi veggiamo e sappiamo che accade nel trattamento de’nostri impiegati. Forse il meno dispotico di tutti è il ministro o il capo di ciascun Dicastero o di ciascuna Amministrazione, il più dispotico è l’usciere. Non si creda ciò un paradosso o un ghiribizzo spiritoso, anzi è questo un assioma vecchio e inconcusso nelle nostre amministrazioni, e specialmente in quelle che hanno seggio nelle province meridionali. Otto secoli di dispotismo generarono appo noi uno spirito di servilità che, distruggendo a poco a poco la dignità dell’uomo, finì per distruggere ogni idea di eguaglianza di dritti civili. Il capo di ripartimento, per corteggiare il ministro o il suo superiore immediato, e per montare zelo, interpreta con maggior rigore i regolamenti; il capo di sezione, per corteggiare il capo di ripartimento, e sempre per zelo di servizio, aggiunge un poco del suo particolar dispotismo negli ordini che gli vengono trasmessi o nella interpretazione de’regolamenti; e così, scendendo sempre di grado in grado, tutta la gran massa del dispotismo cancelleresco viene a gravitare sull’ultimo volontario o amanuense e su l’usciere, il quale si vendica da parte sua esercitando la sua piccola tirannia sul pubblico estraneo all’Amministrazione. La somma delle sventure nella economia disciplinare delle Amministrazioni è quel soverchio zelo contro cui Talleyrand ricordava sì spesso il suo famoso motto Surtout pas de zèle. Per soverchio zelo non intendiamo già la scrupolosa esattezza che ogni ufficiale dello Stato deve porre nello adempimento del proprio dovere, ma bensì quello inutile e dannoso spreco di rigorismo inopportuno e pedantesco che aggrava sempre più la per se medesima gravissima condizione dell’impiegato.
Un’altra inesausta sorgente di doglianza abbiamo ne’continui traslocamenti che sono la ruina delle famiglie. Abbiamo sotto gli occhi i più lacrimevoli particolari su le tristi condizioni economiche, a cui questo malinteso ed inutile giuoco de’traslocamenti riduce gl’impiegati, prescindendo da’gravi danni che ne risentono le particolari saluti. Comprendiamo fino ad un certo punto la necessità di fondere il personale delle Amministrazioni; ma questa fusione è regolare e ragionevole per gli alti impiegati che ricevono da 200 lire in su di stipendio mensuale diventa assurda, irregolare, irragionevole e tirannica per gl’impiegati che ricevono da 200 lire in giù di stipendio. Comprendiamo la necessità di muoversi, ma non intendiamo la necessità di applicare agl’impiegati dello Stato nel ramo civile e giudiziario il giuoco napolitano addimandato Commà Setella.
Seguiteremo nel numero venturo a ragionare su questo subbietto.
FRANCESCO MASTRIANI