Giuseppe Mastriani, fratello maggiore di Francesco, nacque a Napoli nel 1816 e in questa città morì l’8 dicembre 1881.
Fu scrittore e insegnante di lettere nelle scuole tecniche municipali di Napoli.
Suo figlio Federico (Napoli 1849-1897), nel suo romanzo Pasquale Passaguai, Napoli, Editore Luigi Chiurazzi, 1877, nel cap.XIII, inserisce la seguente nota:
« Mi sia concesso abbandonare in questa nota il dire umoristico per consacrare una pagina di questo scritto al povero padre mio; e tolgo occasione dall’aver nominata l’angina-pectoris, che fu la malattia, se pure si può così chiamare un colpo di fulmine che incenerisce, la quale trasse alla tomba mio padre nella età certo non decrepita di 65 anni…
Il professor GIUSEPPE MASTRIANI moriva per istantaneo assalto di quel malore nella notte dal 7 all’8 dicembre 1881.
Oh, non mi lascerò punto consigliare da un sentimento di modestia che chiamerò filiale: poiché me ne ho il destro, io dirò qui alcuna parola per quel povero uomo, che visse travagliatissima esistenza, e morì con la coscienza tranquilla di avere contro tutti e malgrado tutto, fatto costantemente il proprio dovere.
Ardisco dire che il nome di Giuseppe Mastriani non è ignoto. Non può esserlo quello dell’autore della Notomia morale opera giudicata una delle migliori di fisiologia moderna pubblicate nel nostro tempo: non può esserlo quello d’un uomo che Cesare Lombroso chiamava illustre collega, e di cui diceva a me, che gliene annunziavo la morte: Ella può essere orgoglioso d’esser figlio d’un tal padre. Or bene, quest’uomo è morto povero, poverissimo! Una sola parola profferì quando sentì il freddo della morte serpeggiargli nelle vene, e quella parola fu: Povera famiglia mia!
Ohimè, a che gli valse l’aver sacrificata tutta la vita nell’adempimento del suo dovere? A dargli appunto quella povera magrissima soddisfazione. Ed egli, in una nota manoscritta posta al margine dell’aureo libro di Samuele Smiles IL CARATTERE, lo dice: Questo sentimento ha guidato sempre la mia vita, e ne sono contentissimo. Dico questo non per vanto, poiché non ho nessuna ambizione e né pure speranza, ma per ammonimento di chi forse leggerà questo eccellente libro dopo la mia morte, certo non lontana.
Queste parole egli le scriveva nel 1878: presentiva al suo fine!…
E la presentiva scrivendo nell’ottobre 1881 al ch. Angelo Solito-de-Solis: egli diceva: Io sto scendendo nel sepolcro!…
Non parlerò della vita e delle opere di lui: né l’indole del libro né lo spazio d’una nota posson questo consentire. Se le forze ed i mezzi non mi verranno meno, io pubblicherò tutti i suoi scritti editi ed inediti, ed allora dirò di lui degnamente, se il dolore grandissimo ed inestinguibile che mi ha cagionato la sua morte vorrà permetterlo.
Per dare una sola, pallida idea dei sentimenti e dei principii ai quali s’informava la condotta di quest’uomo, io trascrivo un’altra delle note al libro dello Smiles. Essa è posta a margine del seguente brano:
‹ Mercè la guida della luce dei grandi esempii che rappresentano l’umanità ne’ suoi migliori aspetti, e ci sono di scorta, ciascuno di noi è non solo giustificato, ma tenuto ad aspirare di raggiungere il maggior tipo di carattere: non già per diventare più ricco di averi, ma di spirito; non per avere una condizione più elevata nel mondo, ma per vero onore; non per comparire il più segnalato per ingegno, ma il più virtuoso: non il più potente ed autorevole, ma il più veritiero, il più giusto, il più onesto›.
Ecco che cosa il pover’uomo scrisse accanto a queste parole: Oh, grandi sentenze! Si dovrebbe predicarle dal vertice delle cupole, dalla cattedra delle scuole, dai pergami delle chiese, dalla tribuna politica, nelle domestiche pareti. IO HO FATTO IL MIO DOVERE.
Sarà un bene per l’Italia il conoscere ed apprezzare quell’uomo modesto, casalingo, di nulla speranzoso, di nulla avido se non della verità e della giustizia. Per lui non v’era altra legge che il dovere, e diceva – con generoso paradosso – nessuno poter rinunziare ad un dritto, poiché questo esser poteva impedimento ad altri a compiere un dovere. Sarà un bene conoscerlo non solo per gli scritti che ha lasciato, ma per lo esempio di una vita senza macchia e senza paura, senza superbia e senza cortigiania. Egli fu un uomo che non piegò mai il capi dinnanzi a nessuna altezza, e non pertanto fu umile tra gli umili; fu repubblicano, e comprese e rispettò la monarchia, perché la sapeva emanazione della volontà popolare, e dinnanzi alla volontà popolare egli s’inchinava come dinnanzi alla sola sovranità legittima: fu cattolico, e stimmatizzò i Papi e i loro seguaci, dicendo che il prete non poteva essere se non angelo o demone: fu dotto e sapiente, e si reputò modestissimo cultore di quelle discipline che erano la sua passione, il suo affetto, la sua meta: fu amatissimo della famiglia, e predicò che alla patria bisognava sagrificar tutto, meno l’onore! Non piatì mai nulla, e fu dimenticato, e dovette insegnar lettere nelle scuole tecniche municipali di Napoli per tirare avanti la vita.
Non dirò delle sue opere: sono oramai notissime, specie la Notomia morale e l’Uomo nelle Corti d’Assise. Di quelle che ha lasciato inedite dirò quando iddio mi consentirà di pubblicarle. Esse sono OSSERVAZIONI E DUBBI SUL 2° LIBRO DEL CODICE PENALE, opera lodata da quell’illustre uomo che è Luigi Zuppetta; – UOMO E CITTADINO, meditazione dell’operaio, opera premiata con medaglia d’argento dal R.Istituto d’Incoraggiamento.
Incomplete poi ha lasciato MEDICINA MORALE, opera di gran lena, che avrebbe dato novello indirizzo alla fisiologia morale: CONVULSA, romanzo psicologico, che non completò perché gli pareva d’invadere il campo tenuto con tanto onore dal fratello Francesco: – IL MONARCA, lavoro politico: – LEZIONI DÌ DOVERI PER LE SCUOLE POPOLARI.
E Giuseppe Mastriani è morto povero, e nessuno ha pensato alla derelitta sua famiglia!».