Mercoledì verso l’1 pomeridiana un giovine ben vestito, di gentile aspetto, entrò in una delle nostre osterie di campagna.
L’oste gli dette il benvenuto, e si offerì a’suoi comandi. Il giovine disse ch’egli volea desinare, e ingiunse all’oste che gli desse la miglior roba che avea, senza accentuarne qualche bottiglia di vino forestiero. Volle che la tavola gli fosse imbandita nel sito più ridente, donde si godesse la vista del mare e de’colli circostanti: al che l’oste si prestò con buona grazia.
Il giovine non parea mai soddisfatto del sito che l’oste proponeva per apparecchiarvi la tavola: sembrava che quegli volesse scegliere un luogo appartato e romantico per godere ad un tempo delle delizie della bella giornata e de’piaceri d’un buon pranzo. Finalmente, parve accontentarsi che la tavola gli fosse bandita sovra un poggetto che abbraccia la vista dilettosa del nostro golfo. Il più distinto leone del Gran Caffè non avrebbe potuto trovare un appicco nella ricercatezza delle vesti del giovine, di cui parliamo; come il più sottile frenologo non avrebbe potuto scorgere su le sembianze di lui neppure un cenno di doppiezza d’animo o di denigrazione morale.
L’avventore mangiò quattro o cinque delle migliori pietanze dell’osteria; bevve una bottiglia di Zagarese e una altra del capri bianco. Tutto ciò che l’oste gli arrecava innanzi per stuzzicargli le voglie ei gradiva e mangiava. Ognuno avrebbe detto che stesse più a cuore dell’avventore di mettersi nelle buone grazie dell’oste che questi accattivarsi l’animo di quello.
Infatti credeva davvero il bettoliere che gli fosse cascata addosso proprio dal cielo la più bella ventura del mondo; e tra un servito e l’altro si fregava le mani e non capiva ne’panni per la contentezza d’essergli finalmente capitato un tacchino da spiumare, nella carestia d’avventori che egli avea sofferto durante il colera.
In sul finire del pranzo, il giovine chiamò l’oste, gli offerì un bicchiere di capri, e gli disse di arrecargli il listino dello scotto.
L’oste non sel fe’ripetere, e corse a prendere di su un tavolo della cucina il listino ch’egli avea già bello e tirato giù a sgorbi e solecismi; e s’affrettò a porgerlo nelle mani dell’avventore.
Lo scotto saliva a lire otto e centes. 25, oltre della buona grazia.
Il giovine volse un occhio distratto sul listino; e gittò la cartina su la tavola, e pose la mano in saccoccia.
L’oste ivasene tra se in solluchero che il suo avventore non facesse la minima osservazione alla sommetta del listino, su la quale il dabben uomo avea caricato la mano; e distese la destra per raccogliere le lire che il giovine pareva accingersi a snocciolargli. Fatto sta che, invece del denaro, il giovine gli pose in mano un sigaro.
‒ Fumate, brav’uomo, gli disse – e diciamo due chiacchiere.
‒ Grazie infinite, Eccellenza – ella mi onora troppo.
Il giovine si pose a fumare, e cominciò a scambiare qualche parola coll’oste che si credeva rialzato un buon metro dalla terra.
Di botto l’avventore interpella così l’oste:
‒ Brav’uomo, vi è mai accaduto che qualche avventore abbia mangiato e non pagato?
‒ Oh! non mai eccellenza.
‒ E ammesso che un simil caso accadesse, che cosa fareste?
‒ Farei aggiustare da un carabiniere il disgraziato, dove vedessi alcuna speranza di essere pagato; ma, dove si trattasse di un povero diavolo digiuno da qualche giorno, mi contenterei di assestargli un calcio ne’lombi e mandarlo con Dio.
A queste parole il giovine si alzò, prese con una mano e coll’altra le due falde del soprabito e le portò nel dinanzi del corpo per lasciar scoperta la valle del sacro; indi volte le spalle all’oste, gli disse con la massima flemma e pacatezza:
‒ Servitevi dunque, brav’uomo, perché io stavo digiuno da circa quarant’ore.
L’oste rimase talmente sbalordito a questa singolare impudenza, che se andate a vederlo a quest’ora, lo trovate ancora colla bocca aperta.
Il giovine se la svignava quatto quatto fumando il sigaro, e come se avesse perfettamente saldato il suo conte all’oste.
Ecco una razza di gente che non corre mai il pericolo di morir di fame.
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Francesco Mastriani
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