Domenica a sera visitai uno de’più grandi e nobili teatri della nostra città, il teatro de’pupi (quondam di donna Peppa) alla Marinella. In coscienza e senza esagerazione debbo dirvi, amici lettori, che se io pagai una lira e 25 centesimi per l’unico palco aristocratico di questo teatro, e che rimase segregato dal resto della galleria, io non maledissi i miei 125 centesimi, come li maledissi nella bolgia di 5.ͣ fila del perfido S. Carlo (teatro), che sia esecrato in saecula saeculorum.
E per far conoscere quale immensa distanza è tra l’impresa del teatro dei pupi e quella di S. Carlo, noterò questo fatto veramente amabilissimo, che raccomanda all’ammirazione de’Partenopei l’impresa di donna Peppa.
Preso il polizzino di palco, non essendo ancora terminato il precedente spettacolo, io trassi a passeggiare un poco, fumando un sigaro, lungo la tenebrosa spiaggia del mare; ma, siccome, a quell’ora, in quel diserto luogo, io correva il pericolo d’imbattermi in qualche amico officioso, che avrebbe creduto suo dovere lo sbarazzarmi di vari oggetti di lusso che io portavo addosso, come orologio, ombrello, denaro, cappotto ecc. ecc., così accolsi il prudente consiglio della paura, e mossi verso un Caffè che io avea veduto ancora aperto lungo quella via.
Come piacevolmente io lasciassi scorrere un tre quarti d’ora a un dipresso in quel caffè, e quel che colà vidi e ascoltai, sarà l’oggetto di un altro articolo.
Quando arrivai al teatro de’pupi, domandai alla gentildonna, che è allo ingresso del teatro, se lo spettacolo era cominciato.
«So il mio dovere, signore – ella mi rispose – Non avrei fatto tirar su il telone senza di lei».
«Senza di me?» domandai con gran mortificazione e maraviglia.
«Precisamente – ella soggiunse – Lei deve sapere che qui non si comincia mai lo spettacolo se prima non giungano le persone che hanno fittato il palco di una lira e 25 centesimi».
«Ora comprendo» io risposi. E tra me pensai:
«Bisogna arrivare al teatro de’pupi per trovare la cortesia, la gentilezza e l’equità. Tale e quale l’impresa di S. Carlo!!!».
Salii per una angustissima scaletta a chiocciola; ed eccomi installato nel mio palco né più né meno che se io fossi stato un principe del sangue. Tutti gli occhi del rispettabile pubblico erano a me rivolti, come ad una bestia nuova che capiti in un pollaio. Se quel rispettabile pubblico mi avesse solennemente fischiato, avrebbe fatto benissimo; imperciocchè seppi di poi che io aveva fatto indugiare lo spettacolo di una buona mezz’ora.
L’orribile frastuono di voci ch’era nel teatro cessò di botto alla mia apparizione. Io credo che gli accountemès di quel teatro dovettero credere ch’io fossi un delegato di P. S.
Signori, la coscienza non si trova che ne’Pupi. A S. Carlo, al Fondo, a’Fiorentini, al Circo Olimpico, e financo… al Teatro Nuovo, voi pagate una lira entrando in un palco, per tre o quattro pezzi di lava del Vesuvio, ai quali si dà il nome di cuscini, e che sottopongono la parte inferiore del vostro organismo ad una specie di dura mistificazione. Ebbene, al teatro di donna Peppa, per un morbido cuscino voi non pagate neppure un centesimo; ed è un cuscino, e non già un fossile innominato, non registrato ancora nella storia naturale de’minerali.
Prescindendo dalla estrema comodità de’palchi, io per me ritengo che si sta meglio in platea; e ve lo dimostro, giacchè voi potreste credere che io fo per donna Peppa quello che qualche giornalista fa per qualche impresa teatrale; ma io non vi vendo lucciole per lanterne. Dunque, prestatemi tutta la vostra attenzione. La platea di donna Peppa non è già come tutte le platee di questo mondo teatrale, nelle quali, più o meno, salvo pochissime eccezioni, un galantuomo si sente i magnanimi lombi carcerati tra due inesorabili spranghe di legno o di ferro, destinate a segnare i confini d’una organizzazione pagante da quelli di un’altra, in modo che impossibile riesce la benché minima usurpazione del terreno del vicino gaudente, anche quando un osso sacro non occupi ufficialmente questo terreno. Chez donna Peppa, la cosa è diversa: i confini e le barriere tra uno spettatore e l’altro non sono che le persone rispettive; onde, quante volte non ci è piena, un membro del rispettabile pubblico può a suo bell’agio sdraiarsi sovra una intera mezza fila e coricarvisi anche se ha voglia, senza che gli altri membri trovino a ridire su questo libero esercizio del libero arbitrio.
Si rappresentava un soggetto sacro, corrispondente alla solennità religiosa del 6 Gennaio, cioè la gita de’magi a Betlemme. Lo stesso soggetto della Nascita del Verbo Umanato rappresentavasi anche al teatro Sebeto domenica a sera; e poche sere innanzi rasi pur rappresentato alla Partenope. Vorremmo che questi augusti misteri della nostra religione non venissero profanati su le scene, dov’è davvero scandaloso il vedere, per esempio, la Purissima Vergine Maria rappresentata da qualche attrice che la sera innanzi avrà sostenuto il carattere di Annella di Porta Capuana, e il casto Giuseppe rappresentato da qualche attore che poche sere prima si sarà presentato al pubblico sotto le vesti d’un dissoluto libertino. Meno male che questo sconcio non si ha a deplorare da donna Peppa, dove gli attori (di legno) non sono soggetti a nessuna corruzione o vizio o ad altra umana miseria.
Il diavolo fece mirabilia quella sera; ma finì collo sprofondarsi nella solita buca del proscenio, a gran soddisfazione del pubblico, che chiamò fuori la Madonna e San Giuseppe.
Un attore (sempre di legno) venne ad annunziare al pubblico che, mercoledì, dopo il silenzio di quattro anni, si ripeteva il gran dramma storico spettacoloso, abbellito da vari combattimenti, col titolo Gli Orazi e i Curiazi.
Gli abbonati del teatro accolsero con piacere questo invito, e applaudirono al primo amoroso che lo avea recato.
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Seguitiamo la rubrica delle iscrizioni e tabelle, leggevamo sull’uscio d’un guantaio nella Sezione Vicaria la seguente curiosa iscrizione:
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Guanti per uomini
di pelle
e donne
senza diti
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Sulla vetrina di un barbisontore nel Borgo S. Antonio Abate si leggeva:
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Qui si tagliano
i capelli
alla moda che pare impossibile.
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Sul fronte della bottega di un cava macchie si leggeva semplicemente
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Qui si smacchia
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Durante la colerica epidemia, su varie botteghe si trovava affisso il cartello:
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Chiuso per causa di morte lunga.
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Probabilmente per morte lunga s’intendeva qualunque genere di morte che non fosse colèra.
Allo ingresso del vicolo Vertecoeli, nella strade de’Tribunali, sta sospesa al muro una tabella con questa iscrizione:
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Senzale autorizzato per affitto di casa con mobilie senza.
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A quale delle due preposizioni contrarie si ha da credere, a con o a senza?
FRANCESCO MASTRIANI