La mano dritta – Buon giorno, sorella, come stai?
La mano sinistra – Sto poco bene; ho al dito anulare un panereccio che mi strazia.
La dritta – Ben ti sta! Tu non sai far niente; e, quando vuoi brigarti in qualche faccenda, è certo che fai tutto in sinistro, e rechi danni, almeno a te stessa.
La sinistra – Hai ragione; io non so far niente, perché la nostra padrona ha preso ogni cura della tua educazione, e me ha lasciato poi crescere come uno stinco inutile; noi siamo gemelle, siamo del pari belle, e ci rassomigliamo interamente, come si rassomigliano interamente i nostri due fratelli, gli occhi; e intanto per te tutte le cure, tutti gli studi, tutti gli esercizi, e per me…
La dritta – hai torto a lagnarti. Se io so qualche cosa più più di te, soffro pure quello che tu non soffri. Non ti parlo della continua fatica, cui mi assoggetta la padrona, sia a stirare la biancheria, sia a cucire (che mi ha guaste tutte le dita), e sia a far girare questo benedetto arcolaio; non ti parlo di queste cose, per le quali tu alle volte mi presti un po’d’aiuto; ma vedi mia disgrazia! egli è saltato il ticchio in capo alla nostra padrona di schiccherar versi; e la sera per tre o quattr’ore mi mena disperatamente sovra un foglio di carta, condannandomi a stringere una penna perfida che mi sporca, mi annerisce e mi stanca a morire. Peggio ancora quando ella faceva l’amore. Perdinci! si trattava di scrivere certe lettere che non finivano mai.
La sinistra – Oh!… sta zitto, bricconcella, perché tu sei stata la prima a farle da mezzana nelle amorose faccende. Ti ricordi quella festa da ballo, dove intervenne la padrona? Ti ricordi come ti facesti stringere da un’altra mano! Oh la sfacciatella! E tu non te ne fuggisti? non desti un pizzicotto a quella birbante per insegnarle a rispettare la nostra padrona?
La dritta – Sì, sì, sta bene a te di rinfacciarmi queste cose. E non fosti tu che porgesti quel biglietto galante a quel cavaliere da’baffi neri? Oh! vergogna! almeno io la fo da segretario, ma tu!
La sinistra – Non ne parliamo più; abbiamo torto tutte e due; tu almeno aspetti un anello nuziale che verrà ad ornarti; ma io debbo rimanermi sempre così, sempre nuda di ornamenti, o sempre incarcerata in una pelle di capretto; tu hai pure il piacere di porgere il cibo alle labbra della nostra signora; tu le appresti la bevanda; mentre io debbo divertirmela a star con le mani nella cintola senza far niente.
La dritta – È vero quanto dici, sorella mia; ma ti assicuro che questa che questa predilezione che ha per me la signora non mi va niente a sangue, imperocchè sono talvolta costretta ad imbrattarmi le dita in certi intingoli di cuochi e in certe zuppacce che mi fanno schifo. Ti giuro che vorrei cederti allora l’onore della carica.
La sinistra – Pazza che sei!… A proposito, mi dimenticava di dirti che la signora ha comprato per noi una certa cosa che a suo dire ci farà più belle, e l’ha chiamata pasta di mandorle. Che ne dici?
La dritta – Dico che tu sei vana e civetta in supremo grado; non faresti altro da mane a sera che imbellettarti e aggiustarti le unghie per sentir dire dai cascanti che ti ronzano intorno: Che bella mano!
La sinistra – Confessa che tu pure hai parte di quelle lodi; ognun sa che noi siamo gemelle e ci assomigliamo a capello. Gli è vero che tu sei un poco più maltrattata pe’lavori che fai; ma diascine! chi vuole il dolce deve pure sorbire un po’d’amaro; tu sei più dotta di me, ed in compenso, io sono più bella di te: questo nol dico già per farti un torto, perché io ti amo assai e ti amerò fino alla morte; noi morremo insieme. Quando morrà eziandio anche la padrona, quando staremo sul letto mortuario, un solo nastro unirà le nostre salme, e noi staremo così abbracciate sul cadavere della nostra signora.
«Oh… lasciamo stare codeste malinconie, e pensiamo a stare allegre. Stasera andremo al teatro»
«Oh cielo! Che mi hai ricordato! E come potrò reggere alle torture che soffrirò stasera?».
«Quali torture?»
«Smemorata! Non ricordo come la signora ci batte l’una contro l’altra disperatamente e tate volte ad ogni pezzo di musica che le piace! Fortunatamente noi siamo vestite, e non possiamo farci molto male. Che sventura sarebbe se stessimo ignude! Noi che ci amiamo tanto dovremmo batterci petto a petto così crudelmente! E perché mai, per l’altrui piacere, noi dobbiamo tanto soffrire? E perché batterci noi quando un’opera piace?».
La dritta – basta credo che stasera ci risparmierà, perché tu sei ammalata.
La sinistra – Così spero… ah! questo panereccio mi uccide! Sorella, aiutami ad avvolgere sul mio dito questo lembo di tela.
La dritta – Sono a te, cara sorella; va bene così?
La sinistra – Va bene, ti ringrazio; lasciami riposare un poco.
La dritta – Buon riposo, carina – Pensa a guarirti presto; comechè, a dirti il vero, a me non dispiace che tu stii ammalata, perché evitiamo così quella maledetta lezione di pianoforte, che ci obbliga a fare ballar continuamente le nostre povere dita sovra certe cose dure che si chiamano tasti, e che fanno un rumore diabolico sotto noi.
La sinistra – È vero; vorrei sapere chi fu ad inventare questo tormento per noi povere creature deboli e delicate.
La dritta – Meglio è d’altra parte che la nostra padrona abbia imparato il pianoforte anziché la chitarra. Io conosco due amiche mie vicine, le quali sono continuamente straziate da quell’orribile istrumento che fa provare tanti bulli di corde – Addio sorella, riposa bene; ed io veglierò al tuo fianco.
FRANCESCO MASTRIANI