Non sono mancati un discreto numero di furti in questa settimana. Gl’industriosi non fanno difetto nel seno di una grande e popolosa città; i quali mettono il cervello a tortura per iscoprire nuovi modi di spogliare il prossimo ed eludere il codice penale. Ma certe volte, anzi il più delle volte, nello stringere i sacchi, si sentono stretti alla gola dalla mano poco piacevole di un Carabiniere o di una guardia di P. S. che li mena alla questura per dar loro il tempo di fare profonde meditazioni sulla fragilità delle umane cose!
Martedì, alcuni di questi industriosi armati di grimaldelli si cacciarono nell’abitazione del signor Buzzoli, che egli sapeano lontano da Napoli. Con tutta la loro comodità que’signori fecero un gran bottino di ciò che credettero, e se la svignarono, caricando due carrozzelle, di cui ciascuna veniva accompagnata dall’uno di loro. Ma ei par che per la via di Toledo quelle carrozzelle cariche di materasse e di altri oggetti dessero un poco a pensare a qualche guardia di P. S., che ordinò ai cocchieri di fermare. A questa ingiunzione, uno de’ladri si precipitò dal veicolo e se la dette a gambe; ma l’altro fu menato alla questura unitamente alle materasse del signor Buzzoli.
Altri galantuomini riuscirono a falsificare la chiave del cassettone di bronzo per le buche delle lettere stabilito nel cortile della Borsa. Per lo che, aprivano comodamente quel cassetto, ne estraevano le lettere, le dissuggellavano e faceano sparire da esse le polizze al latore, i vaglia postali, i titoli di rendita ed altre carte monetarie. Ciò spiega la ragione de’reclami continui che giungevano per posta per la dispersione di questi titoli.
Il Commissario delegato della Borsa, sig. Giuseppe Gravina è su le tracce de’ladri.
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, Mercoledì a sera, verso le sette, tutti gli occhi erano volti alla luna, che presentavasi cinta da un doppio cerchio di vapori rosso e verde. Lasciando a’naturalisti ed astronomi la spiegazione del fenomeno, ci limiteremo a riportare l’osservazione di un nostro popolano, che udimmo a perorare nel mezzo di un capannello di altri operai nella Piazza del Mercatello:
‒ Caspita! Sclamava l’improvvisato Cicerovacchio – Anche a Domineddio piacciono i tre colori – La luna sta facendo la sua dimostrazione.
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. ‒ Dal 1.° Gennajo 1866 a tutto Ottobre il numero degli accattoni in Napoli ascese a 2632 – Ritorneremo su questo subbietto degli accattoni.
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. Ne’grandi centri di popolazione l’autorità non deve mai perdere di vista quelle case, dove si tollera l’esercizio d’un turpe ed osceno mercato. Sono queste case altrettanti richiami di quella pericolosissima classe di vagabondi, dediti ad ogni sorta di vizi, i quali nel linguaggio di simili case vengono distinti colla qualificazione di mastacciruni. Gente avvezza a menare il coltello per mero spirito di gradasseria, costoro si rendono spesso omicidi per le più lievi cagioni: vivono col frutto della vergogna delle donne che si lasciano da loro proteggere; epperò la gelosia, la cupidigia ed altre basse passioni li spinge ad atti forsennati di violenza.
E pochi giorni fa, in una di questa case infami al Vico Trucco avveniva per lo appunto una scena deplorevole, cagionata forse da ridicola gelosia, tra una mano di questi camorristi ed alcuni soldati della Fanteria della Real Marina. La zuffa avrebbe preso assai vaste proporzioni, se la forza fosse indugiata a trarre sul luogo del conflitto.
Sembra che i guappi non volendosi arrischiare ad affrontare que’militi della nostra armata, avessero in un androne aspettato che uscissero dalla casa. Come infatti que’militi transitavano per quell’androne furono investiti con armi a fuoco da’mastacciruni, che scaricarono i loro revolvers. Un soldato riportò grave ferita, per cui si dispera della sua vita. Ma gli aggrediti si servirono delle loro daghe e conciaron ben bene que’guappi, che se la diedero gloriosamente a gambe, siccome è la prudente consuetudine di questi spaccamontagne.
Dicesi che una donna rimanesse morta nella mischia.
La sera, la casa fu chiusa dall’autorità; e le sacerdotesse della Dea di Pafo, unitamente alla loro matrona, furono menate in arresto.
A tal proposito, dobbiamo dire una parola di lode alla nostra Questura che, zelante della pubblica morale, ha arrestato in questa settimana un gran numero di Mercuri senz’ali e senza caduceo e di scapigliate Baccanti che infrangono i regolamenti.
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. Pochi giorni fa, un fattorino della posta aveva a consegnare una lettera, su la cui sopraccarta erano indicati il nome e il cognome della persona, a cui la lettera era diretta, come pure la strada dov’essa abitava; ma, non essendoci il numero del portone, il fattorino si vide costretto di domandare a ciascun portinaio di quella strada se nel suo palagio fosse un tale a nome Pasquale U…
Tutte le richieste erano state infruttuose. Restava un ultimo portoncino, al cui cerbero domandare del signor U…
‒ Abita qui Don Pasqualino U…? domandò il fattorino.
‒ Gnornò, rispose il portinaio.
E il fattorino volse il vicolo e andò via, dolente di non aver trovato la persona.
Mentre il fattorino interpellava il portinaio, una signora era affacciata al balcone del primo piano, la quale era la moglie del signor Pasquale U… Ella aveva inteso che il fattorino avea domandato di suo marito, e si era molto meravigliata che non avesse consegnato al portinaio la lettera che egli avea tra le mani.
‒ Giovanni (così chiamasi il portinaio), perché quel fattorino non ha lasciato le lettera che avea in mano?
‒ Perché io gli ho detto che qui non abita il Don Pasqualino, di cui egli ha chiesto.
‒ Oh bella! E mio marito come si chiama?
‒ Vostro marito si chiama Don Pasquale e non già Don Pasqualino.
‒ Asinaccio! E non è tutt’uno Pasquale o Pasqualino?
‒ Come, signora tutt’uno! Io non avrei potuto mai supporre che quello scalzagatti del fattorino si pigliasse la confidenza di chiamare Don Pasqualino il signor Don Pasquale vostro marito!
Andate a civilizzare, se è possibile, questa razza di molluschi!
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. Rimpetto all’asinità di questo portinaio, ci piace di qui riportare un grazioso motto di spirito profferito da uno dei nostri popolani nel tempo della ultima invasione del colera.
Passando questo popolano dappresso a una cànova, ebbe visto a caso colà seduto un suo compagno a nome Andrea, il quale si avea dinanzi un piattone ricolmo di fagioli.
‒ Ohè, Andrea, gli disse quegli ‒ tu sai che ci è il colèra, si o no?
‒ Che colèra e colèra mi vai infinocchiando? Tu credi che la grazia di Dio faccia venire il colèra? Sei proprio un ciuco, se così ti pensi. Il colèra non è altro che una leva: chi è tirato a sorte deve marciare.
‒ Sì, ma ci sono anche i volontari – osservò argutamente il popolano.
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. Alquanti giorni fa, a Resina, una scelleratissima iena, perocchè non possiamo onorarla col nome di donna, gittava in un luogo immondo una bambina, della quale si era di fresco sgravata, frutto d’illeciti amori. I vagiti della bambina fecero tosto accorrere i vicini, che riuscirono a sottrarre l’innocente creatura alla imminente morte; e ne dettero avviso all’autorità, che fece tosto arrestare la iniquissima madre.
La bambina fu battezzata col nome di Maria Fortunata.
Nella Cronaca de’Tribunali di Parigi troviamo qualche cosa di più feroce. Nello scorso mese, una donna di contado, essendosi altercata con una sua compagna, pensò di vendicarsi di costei gittando in un pozzo il proprio figlioletto e accusando la vicina di questo infanticidio; e ciò per la speranza di veder seduta la sua avversaria su lo sgabello de’rei e quindi menata in carcere. Ma la infame genitrice ebbe il rimorso di aver ucciso il figlio ed il rammarico di essere lei stessa tradotta nelle prigioni e condannata nel capo.
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. Molto avremo a dire sul servizio delle nostre diligenze per lo interno della città. Per ora ci limiteremo a narrare un fatterello avvenuto ieri mattina.
In uno di questi Omnibus erano nove persone: il veicolo ne dove a contenere officialmente dieci. In uno de’lati, de’quattro passeggieri che avevano occupato quattro posti, tre erano di tal pinguedine da rendere impossibile l’occupazione del quinto posto. Fatto sta, che a mezzo cammino sopraggiunge un novello passeggiero che chiede l’ammissione. Il conduttore da un’occhiata nello interno del suo carico, e vede che i passeggieri sono nove e non dieci; e, senza darsi verun pensiero della fisica impossibilità di ficcare nel suo carrettone un’altra organizzazione umana, fa fermare e dà l’accesso al decimo. Ma il nuovo sopraggiunto balestra uno sguardo nello interno del carro, e non vede il sito dove poter collocare il nadir del suo corpo. Si volge allora al conduttore e gli dice:
‒ Conduttore, dove volete ch’io mi ficchi qua entro?
‒ E che so io? I posti hanno da essere dieci – risponde impassibile come un tedesco quel becchino.
‒ Dieci! dieci! È un bel dire! La vostra arimmetica avrà ragione; ma io sfido a trovarmi a sedermi qua entro, tranne che questi signori non mi permettano di sedere su le loro ginocchia.
‒ Ficcatevi alla meglio – gridava il conduttore che non volea sentir ragione – io debbo dar conto de’posti, e qui ci hanno da capire dieci persone.
I tre panciuti, vedendo che quell’imbecille del conduttore si ostinava a voler per forza fare entrare un corpo umano colà dove non sarebbe potuto entrare neppure uno spirito; e, d’altra parte, calcolando che il torto apparente era loro, giacchè il loro soverchio adipe era ribelle a’regolamenti e danneggiava visibilmente gl’interessi dell’Omnibus, si accordarono a pagare un soldo per ciascuno di loro tre, per indennizzare così il prezzo del decimo posto che andava perduto per un’inesorabile legge di statica.
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. Chi può mai aspettarsi di prendere un bagno freddo di sorpresa mentre cammina tranquillamente per la strada di Toledo? Eppure, ciò è accaduto proprio a noi lunedì mattina. Il bagno freddo ci fu scaricato addosso da uno de’balconi di uno de’piani del palazzo a dritta della chiesa della Madonna delle Grazie, scendendo dal Mercatello. Dobbiamo supporre che nella casa, donde ci è venuto addosso il bagno di sorpresa, ci sieno Cafri o Ottentotti; imperocchè non è presumibile che persone civili o almeno ragionevoli gettino una grossa piena d’acqua nel bel mezzo della strada di Toledo verso le due dopo il mezzodì, ora del maggior traffico.
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. Siam lieti di avere a registrare in questa Cronaca una nobile azione fatta da un nostro popolano, di cui ci duole di non conoscere il nome per additarlo alla pubblica stima. Trovava costui giorni fa nella piazza del Mercatello una polizza di lire 5100, e subitamente l’andava a depositare sulla Ispezione di P. S. della Sezione Chiaja.
I governi civili, che hanno le carceri pe’ladri, e le croci d’onore per gli ambiziosi opulenti dovrebbero largamente premiare ed onorare questi atti di non comune onestà. Premi e pene costituiscono il fondamento della giustizia: perché nol saranno anche per la giustizia umana?
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Ad evitare la circolazione delle carte-monete false, la Questura ha preso il savio provvedimento di emanare una circolare a tutte le Amministrazioni di Napoli dando loro i segni caratteristici per distinguere i falsi titoli.
FRANCESCO MASTRIANI