Il Municipio di Napoli, che dovrebbe addimandarsi Municipio di Toledo, non vuole estendere la sua paterna tenerezza neppure a quel prolungamento della detta strada di Toledo che chiamasi Capodimonte. Egli è assolutamente impossibile transitare per questa strada, tanta è fitta la nebbia di polvere affogante che vi si leva. Un viandante che scende da colassù sembra un pellegrino che abbia attraversato i più sabbiosi deserti del Sahara. Vestiti, cappello, scarpe, tutto è rivestito di una patina bianca. I poveri abitanti di quella strada sono costretti a tener chiuse ermeticamente le finestre della loro casa per non morir soffocati. Dobbiamo implorare le piogge, le quali non sono disposte ancora a favorirci.
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Per noi, che tra le riforme sociali vorremmo la LIMITAZIONE DELLA EREDITÀ ne’confini voluti dalla eterna giustizia, è un bell’atto di equità evangelica e di carità cittadina quello per cui si lasciano le proprie sostanze a pro delle classi bisognose. In questo atto è la coscienza, voce di Dio, che supplisce al difetto delle leggi che regolano la presente società. Queste cose diciamo a proposito del santo pensiero che si ebbe il testé difunto Senatore Giuseppe Arnulfi, il quale disponeva nel suo testamento che tutte le sue sostanze fossero consacrate a rendere più pingue la cassa dell’Ospizio di carità di Biella, sua terra nativa. Certo, un sì nobile e generoso pensiero vale assai più di quello che si hanno la maggior parte de’priviligiati della fortuna, i quali, spingendo fino all’estremo l’obblio de’doveri dell’uomo, di cristiano e cittadino, lasciano i loro beni ad alimentare i vizi di due o tre scioperati funghi, a detrimento della giustizia, della equità, e di quel divino principio di scambievole amore, che il Divino Maestro volle elevato a base dell’edificio sociale.
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Domenica a sera, verso le 9, un giovine operaio, per quanto le sue vesti additavano, veniva pugnalato da ignota mano al Largo delle Pigne e propriamente allo svoltare della salita Stella.
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Le condizioni sanitarie del nostro paese, per grazia di Dio, sono abbastanza buone, comechè a questi ultimi giorni siasi notata una certa epidemia di lavate intermittenti, cagionata forse dalla siccità che dura tuttavia e dalla non buona qualità delle acque potabili.
Il cholera sembra giunto alla decrescenza della sua parabola nelle diverse province del nostro Regno che ne sono travagliate. Vorremmo pertanto raccomandare a chi si spetta la maggior sorveglianza su i reduci del santo pellegrinaggio di Roma, dove il cholera fa capolino, nonostante il Giornale di Roma e l’Osservatore Romano, che si ostinano a negare la presenza del temuto ospite nella città eterna.
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L’egregio giovine siciliano signor Giuseppe Antinoro, di cui abbiamo pubblicato qualche pregevole articolo su questo nostro periodico, si accinge a pubblicare una sua opera col titolo Le mie memorie sul militarismo. A quanto accenna il manifesto, l’Autore si propone in questa opera importanti rivelazioni riguardanti il militarismo in Italia.
Aspettiamo con premura la pubblicazione de’primi fascicoli della summentovata opera per poterne parlare più distesamente.
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L’Accademia Giovanile di Scienze e Lettere, stabilita a Potenza sotto il titolo Dante Alighieri, la quale si propone il nobile scopo del perfezionamento intellettuale e morale della gioventù studiosa, ci ha fatto l’onore di ascrivere il nostro oscuro nome tra quello de’suoi soci onorari. Sentiamo il dovere di ringraziare quel dotto letterario consesso della lusinghevole distinzione onde ha voluto onorarci.
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Un francese era così spaventato dalle tante disgrazie a cui vanno soggetti i mariti in Francia, che fermò di andare a prender moglie in un certo paesello d’Italia, dove l’onestà delle donne era citata come esempio e modello. E, per avere maggiore sicurezza e riposare tranquillamente su i suoi cuscini senza avere a temere quella brutta malattia che suol prendere le ossa frontali, andò per tutto quel paese in cerca della più brutta fra le zitelle ivi dimoranti. Non fu difficile il trovarla: che il paese ne abbondava. Il cittadino della Senna ebbe dunque il coraggio si sposare una delle più brutte figlie di Eva che mai fosse venuta fuori da’torchi di mamma natura. Il Gallo si trovava contentissimo della sua gallina: e la pace regnava tra le sue domestiche mura; e spesso egli vantavasi coi suoi amici di Francia di essere sfuggito alla sorte che colpisce un sì gran numero di coniugati su le rive della Senna ed anche un poco sulle rive del Po, dell’Olona, dell’Arno e del Tevere. Fatto sta che il buon uomo non avea calcolato su gli strambi gusti di certi uomini. Una mattina egli avea detto alla sua donna che per quella notte ei non sarebbe tornato a casa, dovendo andare per sue faccende ad un vicino paesello; onde si accomiatò da lei, che non voleva lasciarlo partire perché diceva aver paura a star sola di notte; ed andossene pe’fatti suoi, assicurandola che di buon’ora sarebbe tornato senza meno il domani a riabbracciarla. Il francese avea, senza che la moglie ciò sapesse, una sua chiave particolare colla quale egli apriva la porta di sua casa. Ora, egli avvenne, che, per non sappiamo quale ostacolo impensato, il Gallo non poté partire quella sera; perché, verso la mezzanotte, sicurissimo di fare una dolce sorpresa alla moglie, introdusse zitto zitto la chiave nella toppa della porta di casa sua, e mogio mogio se ne venne nella camera da letto dove la consorte era a riposare. Lasciam pensare qual si fosse la dolce sorpresa ond’ei fu colto nel trovare la moglie in intima conversazione con un D. Giovanni in calzonetti. Il marito rimase con mezza banda dell’uscio aperta e colla bocca tutta aperta; ma nessuno eccesso di collera, nessun moto di gelosia, nessuna violenza da Otello. Egli si contentò di dire al suo rivale questa testuali parole: Comment, Monsieur! sans y être obligè!
Bisogna pur confessare che in fatto di spirito i francesi sono capilavori.
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La gentile e distinta signorina Elisa Mancini, prima donna di S. Carlo, piace ogni sera vie più nel Barbiere di Siviglia. Il pubblico l’applaude in tutti i pezzi ch’ella canta e la chiama all’onore del proscenio al finire della grande aria di uscita. Ed in vero, le nostre previsioni si avverano sempre più su la brillante carriera che è aperta dinanzi a questa giovane artista, diligente e appassionata dell’arte sua. Sentiamo che ella canterà il Don Pasquale per seconda partizione. Avremmo preferito sentirla in un’opera seria.
Di questa giovane artista ci occuperemo più distesamente nel numero venturo.
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Giovedì, un tragico avvenimento contristava gli abitanti della strada Cisterna dell’Olio. Un certo arrotino, che aveva casa e bottega in quella strada, per sospetti che avea su la fedeltà della giovane e leggiadra sua moglie, sulla quale avea spesso fatto richiami alle Autorità di P. S., giovedì usciva e chiudeva a chiave in casa la moglie, che faceva il mestiere di crestaia. Poco stante, avvisato che la sua donna tentava sforzare l’uscio da via per uscire, egli ritornò alla sua abitazione; aprì l’uscio; e, tosto ghermita per le chiome l’infelice donna, con un rasoio la sgozzava, lasciandola insanguinata cadavere nel mezzo de’pargoletti figliuoli, le cui grida rivelarono l’atroce misfatto.
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L’egregio artista Achille Majeroni ritornerà nella prossima stagione a far parte della compagnia del Fondo, dividendo col Rossi le simpatie del pubblico.
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Sono già le due, e dovevasi uscir di casa all’una. Ma causa di questo ritardo è stata la perplessità, in cui era il signor D… se doveasi oppur no fare la barba, se indossare un matinè o piuttosto un soprabito, se scegliere il corpetto a sciallo o quello a due petti. Infine egli è pronto; discende il primo; e, dandosi uno sguardo sulla persona, mostra essere ben contento della sua acconciatura.
La signora D… intanto non essendo scesa contemporaneamente, fa si che il marito ritorni, faccia un atto d’impazienza, alzi la testa, e gridi da basso:
«Ebbene!… Sarà per oggi?».
«Eccomi, mio caro; non trovavo i guanti».
«Al solito! oggi sono i guanti… altra volta il fazzoletto… Vorrei morire se mai al momento di uscire non ti manchi qualche cosa!».
La signora giunge tutt’ansante; e, mettendosi ancora i guanti, s’appoggia al braccio del consorte, il quale a voce bassa dice:
«Che razza di gente! mettere i guanti per la strada».
«Tu mi stai tanto sollecitando!».
«Come! son io che ti presso! Non eri tu che due ore fa volevi uscire, e brontolavi perché io non era ancora vestito? Io ti presso, oh! questa è bella! Dove dobbiamo andare?».
«Non m’importa».
«A me tampoco».
«Vado con piacere dove ti pare».
«In somma, bisogna decidersi e non rimanere in mezzo alla strada come due imbecilli… Per me, non vi è cosa più molesta di una moglie che vi risponde sempre: Non m’importa!
«Andiamo dunque verso Toledo».
Si mettono in cammino. L’uno guarda le signore in cui s’imbatte, o pensa alle sue faccende.
Non si proferisce una parola: sembrano due mutoli. Solo, passando davanti ai magazzini di Teperino, di Quaranta, di Rosati e Bianchi, l’altra fa sentire queste esclamazioni:
«Ah! che bello sciallo!… Oh! Che disegno gentile!… Uh! che grazia di cappello!».
Il consorte non sente, o s’infinge di non sentire; e, per tutta risposta, appena si degna a gare un sordo mormorio come:
«Eh!… già… così…» o pure crolla il capo, senza punto volgere lo sguardo al magazzino.
Percorrendo la strada Toledo, si va e si viene per lungo per largo, senza che si scambino mai una parola. Soltanto egli sbadiglia di tanto in tanto, dà fuori un profondo sospiro, indizio di animo travagliato.
In un punto della ripetuta strada, ingombrato da maggior folla, il signore mette tutto a un tratto un grido.
«Perché venir qui?… Ti par dunque piacevole il passeggiare in mezzo a questo inferno?».
«Ma era pur mestieri andare a qualche parte».
«Ma non era già necessario di venire a Toledo, ove la calca m’impedisce finanche di respirare».
«Perché non hai voluto dire dove si dovesse andare?».
«E tu hai scelto Toledo, mentre sai quanto esso mi annoia».
«Oh!… purché passeggiate con me, vi piglia la noia in qualunque strada».
«Ci siamo!… i soliti lamenti!… Io non capisco che vi sia di piacevole di passeggiare per questa strada indemoniata;… gente indiscreta che vi urta; ragazzi che vi sbucano tra le gambe; e giornali e giornaletti che vi si ficcano sotto il naso ad ogni passo!».
«Se voi vi degnaste dirmi qualche cosa, non mi fareste annoiare… Non mi dirigete mai una parola; camminate come una macchina a vapore…».
«Mia buona amica, quando due stanno eternamente insieme, non possono aver sempre materia da comunicarsi».
«Se foste con altra signora, allora si che sareste loquace, amabile, gentile».
«Ella non mi direbbe al certo cose dispiacevoli, amare… non brontolerebbe sempre come fate voi».
«Voi altri mariti siete una buona pasta, tutti eccellenti galantuomini…».
«E così! Si finisce?».
«Pretenderete di farmi tacere?».
«Gridate un poco più forte, affinchè la gente ci guardi… quest’altro ci mancherebbe!».
«Chi si vuole occupare di noi! Credete sempre che tutti vi guardino!».
«Se voi continuate, vi pianto là sulla strada».
«Lasciatemi pure… non m’importa».
Il marito s’arresta un momento… poi riflette, e tira avanti il cammino, prendendo la volta della casa, senza che venga pronunziata più una sola parola.
Penso che simile a queste son tutte le altre deliziose passeggiate coniugali che hanno luogo la domenica mattina a Toledo.
X. X.
FRANCESCO MASTRIANI