Tra gl’istituti femminei che sono in questa città, quello diretto dalla signora Marianna Cavallo nella strada Foria merita che il raccomandiamo ai padri di famiglia. Abbiamo avuto occasione di verificare il vero profitto che fanno quelle allieve nelle diverse discipline che vi s’insegnano. La direttrice ha fatto accurata scelta di abili e reputati professori; ed ella stesse prende le più amorevoli cure per la educazione e per la istruzione delle giovanette a lei affidate.
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È venuta fuori la prima dispensa del Bazar drammatico, che noi annunziammo per cura dei signori Federico Mastriani (nostro nipote) ed Ernesto Capoccio. Questa prima dispensa contiene una parte del dramma noto abbastanza tra noi, e molto applaudito su le scene del Fondo, col titolo La Statua di Carne. L’accurata e nitida edizione, la scelta delle produzioni ed il modico prezzo raccomandano questa raccolta drammatica agli amatori di cose teatrali.
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Molti hanno deplorato la perdita dell’antica e perfetta scuola di canto: ed hanno ragione. Tuttavia a sentire ultimamente a S. Carlo il tenore Montanaro nel Don Pasquale, ci siamo rammaricato di quella scuola che oggi mai ci sembra che vada perdendo i suoi migliori cultori. Non vogliamo qui ragionare di maestri di canto né dei metodi, ma non possiamo tacere il nome di un egregio e benemerito professore di canto, che è il signor Antonio Longo, che è stato maestro ad esso Montanaro, alla Medori, e fu consultato e tenuto come guida dei rinomatissimi artisti Belladonna e Coletti. – Il Montanaro perciò che del resto non ha voce prepotente dev’essere molto obbligato ad esso maestro, se oggi gode fra gli artisti del teatro lirico meritata fama di soave e gentile cantante.
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Lunedì mattina, verso le ore 11, una donna che all’apparenza sembrava una contadina, adorna di parecchi oggetti preziosi, entrava col pretesto di fare alcune compre di gioielli, nel magazzino dell’orafo signor Francesco Tavassi, nella strada di Chiaia.
Quand’ecco ch’ella cogliendo l’occasione di qualche momento favorevole, agguanta un cassettino contenente un braccialetto, e piglia il volo.
Ma l’uccello palustro fu colto da quei cacciatori che si chiamano reali carabinieri. Le si fecero ricerche addosso, e vi si trovarono cinque o sei polizzini di pegnorazione di oggetti preziosi, e molto denaro in argento.
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Sentiamo il debito di tributare una parola di elogio al signor Domenico Jaccarino per la difficile traduzione in dialetto napolitano ed in versi che egli sta pubblicando dello Inferno di Dante nel suo giornale Partenope. Quando si pensi alla difficoltà di ridurre nel linguaggio del nostro volgo napolitano gli altissimi concetti del gran poeta italiano non si può far di meno di riconoscere nel sig. Jaccarino un merito non comune in questa sorta di lavori che richiedono un profondo studio del nostro dialetto e una piena intelligenza del testo.
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Lunedì sera assistemmo ad una rappresentazione del Chatterion del Cuciniello fatta da una filodrammatica compagnia di valenti giovani in casa Alfieri, via de’Tribunali 175. Ci duole di non conoscere i nomi di questi giovani dilettanti per poterli additare alla pubblica stima. Ciascheduno recitò la sua parte con intelligenza non comune del carattere che rappresentava; e le parti del dramma ci parvero abbastanza ben distribuite e ben affidate.
Trattandosi di un privato teatrino Accademico, si può perdonare all’anacronismo delle fogge di vestire degli attori, non proprie dell’epoca del Chatterion.
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Un’altra pagina di lutto abbiamo a segnare in questo periodico. LIBORIO ROMANO, l’egregio cittadino, che salvò la sua patria dall’eccidio di una guerra civile e degli ultimi conati disperati della fuggente dinastia borbonica; LIBORIO ROMANO, nome caro ad ogni cuore Napolitano; PATRIOTA esemplare, che sacrificò all’amor del suol natio le severe leggi della fede politica e le sue stesse personali convinzioni; l’ORATORE integerrimo e fecondo che sostenne contro l’ira dell’efferato dispotismo le ragioni dell’onesto cittadino soverchiato dalla prepotenza di una polizia libidinosa di potere e di abusi; il MAGISTRATO che tenne con mente serena, con cuore amatissimo del paese, e con man ferma e incorrotta le redini del governo nei momenti terribili di una rapida transizione e dalla caduta di un trono vecchio di otto secoli; LIBORIO ROMANO, già da qualche tempo travagliato in salute, spirava il dì 17 di questo mese in Patù, sua terra nativa.
Noi proponiamo a’nostri concittadini la erezione di un monumento commemorativo all’insigne e benemerito Cittadino, che allontanava nel nostro paese la ripetizione, nel dì 6 Settembre 1860, le scene di eccidio e di sangue che contrassegnarono il 13 Giugno 1799 e il 15 Maggio 1848.
FRANCESCO MASTRIANI