CRONACA DELLA SETTIMANA. 2 GIUGNO 1867

   Gl’intempestivi calori in questi ultimi giorni sono stati eccessivi e ci hanno dato un piccolo sapore anticipato del mese di luglio. Speriamo che il bel sole di Napoli ci faccia il favore di nascondersi un poco, perché ci ha bastantemente seccati; e speriamo che il nostro bel cielo ci faccia la grazia di farsi meno bello e regalarci un poco d’acqua, di cui abbiamo veramente bisogno.

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   Sabato sera, il prestigiatore Eugenio Bosco diede un’accademia nel Giardino d’inverno. La serata fu divisa in due parti: nella prima il signor Bosco divertì il numeroso pubblico con vari giuochi di prestigio e di destrezza, i quali, se non aveano il pregio della novità, aveano quello di essere eseguiti assai piacevolmente. E piacque molto il giuoco dei vasi d’acqua tratti dal fazzoletto e quello della enorme quantità di sigari e di fiori cavati da un cappello. Gli spettatori applaudirono e chiamarono all’onore del proscenio il prestigiatore alla fine della prima parte. Non così felice riuscì la seconda parte della serata, in cui il signor Bosco volle presentare al pubblico alcuni sperimenti di spiritismo. La prova dell’armadio e quello del tavolino semovente caddero per la poca fede degli spettatori, che aveano il torto di non credere troppo alla condiscendenza degli spiriti. Ci vuol altro che armadi e tavole per infondere un poco di ortodossia negli uomini della presente scettica generazione, che riderebbero anco in faccia al demonio se lo vedessero colle classiche corna e colla eterna coda.

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   Lunedì mattina avveniva un tafferuglio nel cortile della Borsa. Un sig. F… fumava tranquillamente allorché un barone A… gli strappò il sigaro di bocca per accendere il suo. Questo modo poco cavalleresco dispiacque al sig. F…, che ricordò a quello i precetti del galateo. Nacquero da ciò parole violente, schiaffi e legnate. Accorsa l’autorità di P. S. trovò poca docilità nello irruente barone, che venne arrestato e menato in questura

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   Uno scrittore di commedie che ha patito parecchi naufragi si recò giorno sono da un suo amico, impiegato nella stazione delle nostre ferrovie, per fargli sentire un altro parto che avea fatto. L’amico si prestò con pazienza a sentire il nuovo parto del commediografo; il quale avea appena finito di leggere il primo atto, allorché un acutissimo fischio fu udito. Era il convoglio che partiva.

   «Non occorre che finiate di leggere la vostra commedia – disse allora l’amico – Non sentite che il pubblico fischia?».

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   È venuto fuori il programma di un nuovo giornale che si pubblicherà col titolo La Zanzara: il programma è in versi ed è graziosissimo; la qual cosa è già una bella guarentigia di buon successo. Facciamo i nostri congratulamenti a’signori Arturo Vitale e Mariano del Giudice, compilatori del detto giornale, ed auguriam loro tanti associati quanti ne possiamo augurare alla nostra Domenica.

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   Nella scorsa settimana, nella strada Solitaria, due giovanetti di S. Lucia, nomati l’uno Giovanni Lepre, e l’altro Giuseppe…, venivano a contesa tra loro per fatti d’amore, benché fossero pur dianzi amicissimi. Pare che Giovanni Lepre provocasse l’avversario a trarre il coltello; il che questi non facea perché sprovveduto d’arme. Veggendo che l’avversario non mettea la mano al coltello, il Lepre trasse fuori il suo e vibrò una coltellata alla gamba di Giuseppe. Questi allora, esasperato dal dolore della ferita, si avventa col bastone sul Lepre, e, riuscitogli di impadronirsi del costui pugnale, glielo caccia ripetute volte nelle vicinanze del cuore, sì che il Lepre cadde poco appresso per non più rialzarsi.

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   Nella sala dove sono visibili i coscritti del Consiglio di revisione, si presentò, giorni fa, un coscritto nel costume di Adamo prima che avesse peccato. Ciò non è da far maraviglia, dappoichè la visita del fisico non può aver luogo co’ panni addosso, ma lo strano si era che quel coscritto non avea coperto che una sola parte del corpo, il capo.

   «Vi chieggo mille perdoni, signori miei – ei disse a’suoi esaminatori – io sono talmente accatarrato che vi chieggo il permesso di tenere il mio cappello in testa».

                                                                                                              FRANCESCO MASTRIANI