Una trista notizia circola nel paese; e parecchi giornali la dànno come positiva. Si tratta nientemeno che della soppressione dell’Arsenale e della cessione del porto militare alla marina commerciale. Pare che voglia farsi di Venezia la grande Sezione navale e l’unico Arsenale d’Italia. E per conseguenza, all’abolizione dell’Arsenale di Napoli dovrebbe tener dietro eziandio quella de’ Cantieri di Castellammare, saliti oggi in tanta fama per la costruzione delle navi di ogni sorta.
Senza entrare nelle ragioni che detterebbero questo inopportuno ed improvvido consiglio, ei ci pare che una possente ragione per combatterlo dovrebb’essere quella di non mettere in mezzo alla strada 1500 operai, in questi momenti in cui sì caro costa il vivere. Calcolando che ciascuno di questi 1500 operai abbia l’un per l’altro tre altre persone di famiglia, ecco SEIMILA persone, a cui mancherebbe il pane il domani del loro licenziamento. Pensi dapprima il governo a dar lavoro stabile a questi 1500 operai, e poscia abolisca e sopprima a suo piacimento.
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Col primo gennaio corrente le Corporazioni monastiche dovevano abbandonare i loro chiostri. Molte di queste corporazioni hanno già obbedito alla legge che le colpisce; ma parecchie altre sono rimaste a’loro posti. Noi troviamo consona alla civiltà dei tempi la soppressione degli ordini monastici; ma lo Stato debb’essere il buon padre di famiglia che prender dee cura di tutt’i cittadini a qualsivoglia classe appartengano; onde è tenuto a provvedere alla sorte de’singoli componenti di ciascun ordine disciolto. Quelli che furono monaci non lasciano di essere cittadini.
Badi inoltre il nostro Governo che l’esagerazione del sentimento religioso, insito in tutte le classi del nostro popolo, congiunta a’sensi di carità innati ne’Napoletani, faranno sì che non pochi de’ membri delle disciolte Corporazioni verranno ricettati nelle case private; il che può far nascere gravi sconci d’ogni sorta, a cui bisogna ovviare.
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Dicesi che tra alcuni giorni una nuova carta monetata sarà messa in circolazione, del valore di due a dieci lire: pare che questa nuova carta-moneta debba essere la migliore, in quanto a fabbricazione, di tutte quelle finora messe in circolazione.
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Parecchi giornali italiani fanno menzione della morte del sig. Silvestro Camerino di Padova, il quale ha lasciato una così detta fortuna di quarantadue milioni di lire. A grande onore e gloria della nostra civiltà e ad incoraggiamento dell’ingegno, facciamo osservare che il defunto sig. Camerino sapeva appena scrivere il proprio nome; e cinquanta anni fa egli lavorava come semplice operaio alla costruzione della strada fra Rovi e Polesella.
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Un furto considerabilissimo della somma di 400 mila lire in tante marche da bollo è stato fatto all’Ufficio del Bollo, nell’edificio di S. Giacomo. Benché si sia trovato un piccolo foro aperto in uno de’muri esterni dell’ufficio e una piccola scarpa da fanciullo, ciò non pertanto tutte le supposizioni menano a credere che il furto sia stato commesso da persone che avevano attinenza nell’ufficio medesimo. La Questura si dà opera a scovrire gli autori di questo scandaloso involamento del denaro dello Stato. Ecco il frutto che il governo raccoglie de’tanti e tanti posti ed impieghi conceduti per nepotismo e per favore.
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Il bollo di 50 centesimi è imposto su gli appigionasi.
Ecco un nuovo pretesto pe’nostri scorticatori di aumentare le pigioni. Questi 50 centesimi che essi sono obbligati di pagare faranno lor guadagnare per lo meno un’altra decinella di lire all’anno per ogni pigionale.
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Un certo D… è uno de’più schifosi usurai che respirino, per nostra sventura, l’azoto di Napoli. Il suo sistema è quello di non prestare somma maggiore di cinque lire, coll’obbligo della restituzione al domani. Questo capolavoro di usuraio non prende interessi sul 5 franchi ch’ei presta con molta buona grazia; ma quando qualche povero diavolo gli va a chiedere in prestito le cinque lire, il signor D… lo squadra da capo a piedi; e se, dopo un’accurata e minuta ispezione, egli trova che l’affare gli conviene, così dice al suo cliente:
«Voi già sapete che io non esigo interesse alcuno. Per grazia di Dio, non voglio mettere a repentaglio la salvezza dell’anima. Quando si tratta di soccorrere il prossimo cristiano, non bisogna guardare al proprio vantaggio. Poiché avete bisogno della somma di lire cinque, eccomi pronto a fare il piacer vostro, senza interesse alcuno; sicché domani a questa stessa ora voi mi restituirete né più né meno che la prefata somma di lire cinque, colla semplice nettissima differenza ch’io vi do 5 lire in carta, e voi me le renderete domani in argento. Ei mi pare che per questo mio sommo disinteresse così straordinario in questi tempi mi spetti un piccolo e spontaneo regaluccio dalla parte vostra, ma debb’essere di vostra piena e libera volontà».
«Che cosa potrei darvi io poveretto?» osserva timidamente il nuovo cliente, che non ha neppure un centesimo in saccoccia.
«Voi avete, per esempio – soggiunge il D… ‒ una cravattina di seta che è proprio un amore. Se vi piacesse privarvene per me, la riterrei come un ricordo carissimo del leggiero servigio che ho in bene di rendervi».
S’intende benissimo che il povero novizio sacrifica la sua cravatta all’urgenza delle 5 lire. Che se il cliente rifiuta il regaluccio chiestogli, l’amico D… gli volta subito il tergo, mormorando tra i denti:
«Avaraccio del diavolo! negarmi una sciocchezza di quella specie! E poi si lagnano di cadere nelle unghie degli usurai che li spolpano vivi! E dire che io non esigo interessi! O mondo! o mondo!!».
Il signor D… non si limita a chiedere per regaluccio la cravatta; ma, quando s’imbatta in qualche disperatone che per cinque lire darebbe cinque anime se le avesse, non si fa renitente a chiedere o il cappello (se gli pare portabile ancora) o il corpetto, od anco le scarpe o gli stivali. E allorché gli abiti del cliente non offrono proprio niente da poter servire all’amico D…, costui non si ritiene dal fare questa domanda al suo agnello:
«Non avete in casa un cappone o una gallina o un rocco di salsicce, od altra cosa mangiabile?».
E, dove il povero cliente non ha niente, assolutamente niente né addosso né in casa, il vampiro non fa più cerimonie, e si gli dice:
«Ebbene poiché non avete da offrirmi nulla, accetterò un rotolo di maccheroni che io stesso comprerò dalle cinque lire che graziosamente ora vi presto».
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Il nuovo spazzamento regala al nostro paese il fango di Parigi e di Londra. Quando domina lo scirocco, non è possibile il camminare per Napoli senza correre il pericolo di restare impantanato. In questa faccenda ci guadagnano qualche cosa i lustrastivali.
Arrischiatevi, in tempi piovosi od umidi, a prendere la salita della Infrescata! Avrete certamente un piccolo saggio di quel cerchio dello inferno del Dante, nel quale i dannati sono immersi nel fango fino al collo.
Il Municipio legge Dante da mane a sera.
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Il nuovo giornaletto umoristico il Diavoletto, nel suo N.° 4 batte assai bene la solfa su la schiena de’padroni di casa. Noi stringiamo di cuore la mano al nostro collega, e lo incoraggiamo a non stancarsi mai di spiumacciare il pelliccione a’moderni vampiri.
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L’egregio Commendatore Carlo Padiglione ha scritto, a proposito degli Ordini Cavallereschi di Alessandro Gonzaga, poche parole intese a porre il pubblico e le Autorità in guardia contro gli insigniti de’detti ordini, non meno che contro quelli che fanno precedere il proprio nome da un titolo qualunque che eglino stessi si sono creati. Lodiamo di cuore lo scopo di questa breve monografia del Comm. Padiglione, noto appo noi per isvariati e dotti lavori.
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La notte di giovedì a venerdì, parecchi ladri, i cui vestiti mostravano piuttosto agiata condizione, tentarono di rubare la cappella di S. Maria del Pozzo (Sezione Stella); ma, non essendo riusciti a segare la inferriata della cappella, e non volendo perdere del tutto il loro tempo, si gittarono su un balcone sovrastante, dov’erano alcune conche con panni entro, e rubarono questi, indi si diedero a scascinare la bottega di un oliandolo. Furono da due guardie della P. S. pizzicati in su la Strada nuova di Capodimonte.
FRANCESCO MASTRIANI