COMMENTI

   Questo romanzo è il seguito della Cieca di Sorrento, ed è stato scritto ben vent’anni dopo l’uscita di quello.

    Il romanzo inizia con la descrizione della terza invasione colerica a Napoli del 1854, e l’autore ci tiene a dire che lui era occupato a scriverne la cronaca: In quel tempo, per incarico ricevuto dal supremo Magistrato di salute, io mi occupavo a scrivere la cronaca della terza invasione del colèra in Napoli [1].

   Un intero capitolo del primo volume è dedicato quasi tutto alla jettatura e l’autore, che ci crede fermamente, esprime il suo pensiero in tal proposito: In quanto a me ci credo, anzi ci stracredo, e dico che ci è un fascino nel bene come nel male [2].

    Cosimo Palumbo, in un suo libro, inserisce Francesco Mastriani tra gli scrittori della jettatura, insieme a Nicola Valletta, Gian Leonardo Marugi e Teofilo Gautier, e prende come riferimento appunto il romanzo La contessa di Montès, e cita tra l’altro il seguente pensiero del narratore napoletano: Non abbiamo nessuno scrupolo di adottare questo vocabolo e di porlo anzi come titolo di questo capitolo. Un grande letterato di Napoli, Nicola Valletta, ne fece soggetto di un suo libro, che produsse un certo rumore nel campo letterario [3].

   Un intero capitolo è dedicato ad una: associazione di malfattori di un genere affatto nuovo: si domandava la Cliquè du Chantage, due parole che si potrebbero tradurre per Combriccola della Diffamazione […] I membri di questa combriccola aveano l’incarico di penetrare ne’più riposti segreti delle alcove, ne’ misteriosi intrighi degli aristocratici salotti [4]. Questa combriccola la si potrebbe paragonare agli odierni paparazzi

   Altra importante tematica che troviamo in questo lavoro, riguarda la schiavitù, ed anche in questo caso un intero capitolo è dedicato a tale subbietto. Chiaro è il pensiero dello scrittore, e lo si può condensare nella frase scritta proprio ad inizio di capitolo: Due grandi sciagure desolano le terre al di là degli Oceani. LA SCHIAVITÙ E LA FEBBRE GIALLA. La prima è un mostruoso DELITTO; l’altra è uno sterminato FLAGELLO. Cita due autori che hanno scritto della schiavitù: Errichetta Beecher-Stowe descrisse al vivo nella sua «Capanna dello zio Tom» gli inauditi patimenti di queste misere creature; e noi nulla potremmo aggiungere a quelle dipinture tocche da mano maestra [5]. E l’altra citazione: Leggevamo non è guari in uno de’nostri periodici un importante articolo del signor Petruccelli della Gattina sul commercio degli schiavi, e notavamo il seguente brano [6];  e nel capitolo è riportato l’articolo completo.

   Nell’ultimo capitolo, ove è descritta il decesso del marchese Rionero, Mastriani esegue una lunga digressione sulla morte, che per lui non è un male, in particolar modo se hai seguito un precetto scritto nell’aureo libro che la migliore preparazione alla morte è una buona vita. Solo in tal caso potrai dire Paratus sum, sono pronto [7].

   In molti suoi romanzi Mastriani è critico nei confronti dei francesi, e in particolare della loro lingua. In questo lavoro lo evidenzia in una nota a pie’di pagina, che inizia nel seguente modo: Non abbiamo giammai compresa questa ridicola usanza di porre in francese ciò che si dovrebbe esser detto in ischietta lingua italiana […] Si lasci una volta questa ridicola piacente ria verso una nazione che ci fu sempre nemica gelosa ed invida, ed a cui l’Italia potrebbe dar leggi di civiltà e di senno [8].

   Invece ha sempre avuto una certa stima per il popolo inglese: Gaetano amava l’Inghilterra e gl’Inglesi per quanto disprezzava la Francia e i Francesi a’quali dava il nome di barbari [9]. Ma in questo romanzo, a riguardo della stima verso gl’inglesi, ci troviamo un’eccezione verso la capitale: Londra non è il paese dove la carità si eserciti su larga scala: si potrebbe anzi affermare che quivi non desti verun senso di pietà la vista di un uomo agonizzante per fame […] L’accattonaggio è quivi un fenomeno raro, perché Londra non fa limosina. Londra non ha cuore [10].

   Nel periodo in cui si svolge la trama del romanzo, era in corso in Crimea la guerra tra l’impero russo da una parte e un’alleanza occidentale dall’altra, e Mastriani ne fa menzione: in quei giorni in cui fervea la pugna nelle acque di Crimea tra la Russia e gli alleati occidentali [11]. Quella guerra durò circa due anni e mezzo, e si concluse con la vittoria della coalizione occidentale e la sconfitta della Russia. Che sia di buon auspicio quell’esito, per l’attuale conflitto in corso tra la federazione russa contro l’Ucraina, aiutata dalle nazioni occidentali?

 

                            ROSARIO MASTRIANI

.

[1] Francesco Mastriani, La contessa di Montès, Napoli, L. Gargiulo, vol. I. pag. 9.

[2] Ibidem, vol. I. pag.64.

[3] Cosimo Palumbo, Scrittori della jettatura, Roma, Casa del Libro Editrice, 1935, pag. 66.

[4] Francesco Mastriani, La contessa di Montès, Napoli, L. Gargiulo, vol. I. pagg. 74-82.

[5] Ibidem. vol. II. pag.47

[6] Ibidem, vol. II. Pagg. 41-43

[7] Ibidem. vol. III. pag. 89.

[8] Ibidem, vol. II. pag.85.

[9] Ibidem, vol. III. pag. .97.

[10] Ibidem, vol. II. pag.19.

[11] Ibidem, vol. II. pag.126

.

.⁂⁂⁂

.

   Questo romanzo costituisce il seguito della Cieca di Sorrento; i personaggi principali sono già definiti. Si narrano, in effetti, due storie parallele, quella di Carolina Franconi, amica del cuore di Beatrice di Rionero, la defunta cieca (risanata) di Sorrento, e quella di Gaetano Pisani, il medico che aveva fatto il miracolo di guarire la cieca e che l’aveva sposata. Alla morte di Beatrice, il marchese Rionero e Gaetano (ovvero Oliviero Blackman, come è infatti a tutti noto) vanno in America, del nord e del sud, animati da spirito filantropico. Il dottor Blackman cura gli ammalati, mentre il marchese Rionero spende gran parte del suo capitale per la liberazione di numerosi schiavi. Al loro ritorno a Napoli trovano la cara amica di Beatrice, Carolina, che è diventata la contessa di Montès, vedova, bellissima e apprezzatissima nei salotti napoletani. Carolina è innamorata di Gaetano (verso il quale, fra l’altro, la spinse in punto di morte Beatrice Rionero) e Gaetano è innamorato di lei, ma nessuno dei due si rivela. Nel frattempo un ufficiale della marina inglese chiede la mano di Carolina. Il giovane è Riccardo Splight (ex schiavo bianco di mercante ebreo riscattato dal conte Rionero), fratello di Beatrice Splight protetta di Carolina e Gaetano. Carolina rifiuta. Riccardo si suicida. Perché questa morte? non può che essere la jettatura. La contessa porta “jella”, originariamente del conte di Montès e da lui passata alla moglie. Il marchese Rionero muore. Carolina sposa Gaetano il cui destino è quindi segnato. Morirà anche lui, vittima della jettatura, poco tempo dopo.

   Il romanzo è molto scorrevole, con un alto coefficiente, se si può dire, d’intrattenimento. Mastriani cattura l’attenzione del lettore proponendo temi “attuali”, quali l’abolizione della schiavitù e il riconoscimento della pari dignità dell’uomo in ogni luogo della terra[1]. il romanzo è del ’69, anno del primo volume dei Misteri. L’anno prima, 1868, aveva completato Le ombre, tanto per dare un’idea dell’operosità di questo scrittore di best sellers. Dicevo sopra di temi attuali (in riferimento alla schiavitù). Il tema maggiore, di perenne attualità a Napoli e qui estesamente discusso, è la jettatura. Il narratore dichiara di crederci: credere nella jettatura non è da “retrogrado”, per lui, ma da uomo modernissimo, affascinato dai misteri del magnetismo animale, legati alle spiritismo e all’elettricità. Anche in questo romanzo, come spesso in Mastriani, si confondono, o meglio si identificano, le due figure dello scrittore e del narratore. E così, con tono disinvolto e divertito incontriamo pagine come questa:

.

   «La prima domanda che mi faranno i lettori e massime le lettrici è questa: – C’è veramente la jettatura? Dobbiamo noi crederci o no? – Fate come vi aggrada – io rispondo – voi siete padronissimi di crederci o di non crederci. In quanto a me, ci credo, anzi ci stracredo […] In che consista la jettatura, io non vi saprei dire, perché la faccenda non è facile da spiegare; ma io credo, se mal non mi appongo, che c’entri nella jettatura una gran dose di magnetismo animale. Parte dalle pupille di certi uomini una luce sinistra, dalla quale il più delle volte essi stessi non son consci; e questa luce dove si adagi produce quello stesso effetto su la vita rigogliosa di un fiore produrrebbe l’ala di una strige che lo avviluppasse, ovvero il passaggio di un’aria appestata mefitica. […] talvolta colui che ha nella sua organizzazione questo orribile privilegio della effusione del male, ne è vittima se medesimo mentre abbrucia gli oggetti circostanti. E questa è la più terribile delle jettature. Di questa sorte di malefico influsso era dotato il povero conte di Montès.[2]».

.

   Fra il serio e il faceto, Mastriani si inserisce nel romanzo, narratore in prima persona, e coinvolge i suoi lettori (e le sue lettrici) obbligandoli a interrogarsi sul mistero della jettatura. Non ha importanza la risposta, conta invece la realtà del dubbio sulla base scientifica del fenomeno. E questa realtà, che stimola la curiosità nei lettori, è la stessa che crea incredulità e sbalordimento nei personaggi, in questo come in altri romanzi in altri romanzi in cui aleggia il mistero di ignote potenze spirituali.

                                                                   FRANCESCO GUARDIANI

.

[1] Ricordo che nell’America del Sud, e precisamente in Brasile, la schiavitù venne ufficialmente abolita soltanto nel 1888.

[2] Francesco Mastriani, La contessa di Montès, Napoli, L. Gargiulo, 1873, pp.65-66.