Il presente romanzo è considerato il primo di genere umoristico del narratore, gli altri sono Una figlia nervosa; Quattro figlie da maritare; Le anime gemelle e I vampiri.
Gina Algranati, in un suo saggio, è abbastanza critica nel confronto di Mastriani e definisce i suoi romanzi umoristici dei «libercoli dove a lettura finita, ci si domanda: umorismo? – e dove? – e si conchiude senz’altro con lo stabilire che questi romanzi sono la negazione dell’umorismo stesso». Conclude l’Algranati il suo giudizio su questo genere umoristico di Mastriani, scrivendo: «la volgarità di cui il Mastriani riesce ad inverniciare i suoi personaggi, raggiunge il più alto grado; né vale la pena di soffermarci ancora a discorrerne». [1]
Una risposta all’Algranati sembra che gliela abbia data 65 anni prima lo stesso Mastriani nella sua breve prefazione al romanzo in oggetto: «Benchè io sia nemico delle prefazioni, le quali considero come le solite scuse di raucedine che i cantanti accademici fanno innanzi di schiudere i loro organi vocali, cionnondimeno veggo la necessità di dire quattro parole di passaporto a questo mio libro ch’io metto alla luce soltanto per condiscendere alle gentili premure di qualche amico. Or son parecchi anni ch’io gittava i capitoli di questo romanzetto nelle appendici di un giornale che si pubblicava in Napoli. A questo mio scherzo letterario avea dato il titolo di Felice Fortunato Belcore alla ricerca di una disgrazia. E dico scherzo letterario, giacchè sarebbe un fargli troppo onore lo appiccargli la qualità di romanzo, branca di letteratura, la quale ho cercato, con tutt’i miei deboli sforzi, di rendere proficua alla mente e al cuore, indirizzandola ad un nobilissimo scopo morale. Premurato dal mio dilettissimo fratello Ferdinando, che mi chiedeva un nuovo mio lavoro da ficcare nelle appendici del suo giornale La Rondinella, io disseppelliva questo Felice Belcore dal Cimitero in cui dormiva il sonno dell’obblio; gli lavava la faccia, gli radea la vecchia barba, gli dava altro nome e cognome, e gli metteva addosso un vestito un poco più alla foggia del giorno. Eccovi dunque il mio Destino color di rosa, leggetelo nelle ore in che non avete a fare di meglio. Non vi aspettate a trovarvi altro scopo che quello di sferzar ridendo qualche vizietto sociale. Il protagonista di questo racconto è un esser impossibile: e ciò dimostra ch’io non intesi che ritrarre una così detta eccentricità nel solo scopo d’una lettura di ricreamento.
Sento pertanto il dovere di dichiarare che le celie da me dette in questo lavoro contro lo stato coniugale non hannosi a intendere che come celie; giacchè nissuno al mondo è più di me convinto della felicità che questo stato può far godere all’uomo nel mezzo dei mondani interessi». [2]
ROSARIO MASTRIANI
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[1] GINA ALGRANATI, Un romanziere popolare a Napoli – Francesco Mastriani, Napoli, Stab. Tip. Silvio Morano, 1914, cap. IV «I Romanzi umoristici», pag. 63.
[2] FRANCESCO MASTRIANI, Un destino color di rosa, Napoli, G. Rondinella, 1866, « Prefazione», pag. 3.