Il presente romanzo è considerato di genere umoristico del narratore, gli altri sono Un destino color di rosa; Una figlia nervosa; Le anime gemelle e I vampiri.
Gina Algranati, nel suo saggio Un romanziere popolare a Napoli – Francesco Mastriani, Napoli, Stab. Tip. Silvio Morano, 1914, è abbastanza critica nei confronti di Mastriani e definisce i suoi romanzi umoristici dei libercoli dove a lettura finita, ci si domanda: umorismo? – e dove? – e si conchiude senz’altro con lo stabilire che questi romanzi sono la negazione dell’umorismo stesso. Conclude l’Algranati il suo giudizio su questo genere umoristico di Mastriani, scrivendo: la volgarità di cui il Mastriani riesce ad inverniciare i suoi personaggi, raggiunge il più alto grado; né vale la pena di soffermarci ancora a discorrerne.
Una risposta all’Algranati sembra che gliela abbia data 65 anni prima lo stesso Mastriani nella sua breve prefazione al romanzo Un destino color di rosa, ma la stessa nota dell’autore è appropriata a questo come agli altri romanzi umoristici da lui scritti «Benchè io sia nemico delle prefazioni, le quali considero come le solite scuse di raucedine che i cantanti accademici fanno innanzi di schiudere i loro organi vocali, cionnondimeno veggo la necessità di dire quattro parole di passaporto a questo mio libro ch’io metto alla luce soltanto per condiscendere alle gentili premure di qualche amico. Or son parecchi anni ch’io gittava i capitoli di questo romanzetto nelle appendici di un giornale che si pubblicava in Napoli. A questo mio scherzo letterario, e dico scherzo letterario, giacchè sarebbe un fargli troppo onore lo appiccargli la qualità di romanzo, branca di letteratura, la quale ho cercato, con tutt’i miei deboli sforzi, di rendere proficua alla mente e al cuore, indirizzandola ad un nobilissimo scopo morale […] leggetelo nelle ore in che non avete a fare di meglio. Non vi aspettate a trovarvi altro scopo che quello di sferzar ridendo qualche vizietto sociale.[…] e ciò dimostra ch’io non intesi che ritrarre una così detta eccentricità nel solo scopo d’una lettura di ricreamento».
Anche il presente romanzo umoristico, dunque, non ha pretese letterarie. Ma ci sono anche pensieri filosofici: «Da che dipendono le cose di questo alto mondo! Come le disgrazie, la buona ventura, le ricchezze, la povertà gli onori, la fama e spesso anche la gloria, la vita e la morte dipendono da certe inezie, le quali la mente umana giammai non suppone ch’esser possono le cause sufficienti di effetti così essenziale e clamorosi […] dappoichè il mondo non si corregge con tutte le chiacchiere che si stampano; e chi tiene un mucchietto di piastre a sua disposizione ogni giorno si estimerà sempre qualcosa di assai più alto non solo del suo domestico e del suo cocchiere, ma pur del filosofo che specula il corso degli astri». [1]
Anche in questo romanzo, seppur un modo breve, evince la sua posizione a riguardo il suicidio e il duello: «Tra le cose più ridicole e assurdo che l’uomo ha inventato mettiamo il suicidio e il duello». [2]
Cita un articolo della’allor vigente Codice Civile, che riguarda coloro che diventano inadempienti nel saldare i debiti che hanno contratto: «Don Prosdocimo Cito, proprietario di quella caserella in via San Nicolò a Nilo, avea giurato di prendere una soddisfazione in tutte le forme giudiziarie; si era pietrificato il cuore coll’art. 1931 del vecchio Codice civile ed avea spinto gli atti, come dicono questi bricconi che pretendono che lor si restituisca il denaro che hanno prestato o che vogliono esser pagati per l’uso di quattro mura». [3]
Eloquente anche la sua presa di posizione contro i cattivi medici: «ci è un solo medico in tutto il paese, ed in questo gli abitanti di Brusciano sono assai più avventurati di noi altri Napolitani che abbiamo tanti primarii e tante malattie in ragion diretta dei primarii». [4]
La trama del romanzo in definitiva è abbastanza semplice, per non dire inesistente: quattro zitelle, aiutate dai genitori, in cerca disperato di un marito.
Questa tematica del matrimonio, come ultimo fine a cui la donna guarda, lo troviamo in altri romanzi di Mastriani, non di genere comico, come nell’Assassinio in via Portacarrese a Montecalvario: «Per il viro il matrimonio è il mezzo, la donna il fine. Per la donna al contrario il viro è il mezzo, il matrimonio è il fine […] La donna si vuol maritare; e questo è l’ultimo fine a cui guarda; questo è per lei il compimento dell’essere suo; questo è il sogno delle verginali sue notti; questo è il paradiso terrestre ch’ella si crea nella sua giovane fantasia. E, ad effetto di raggiungere questo fine, questo compimento, questo sogno, questo eden, ella cerca lo sposo, che è per lei il mezzo per arrivare a quel fine». [5]
ROSARIO MASTRIANI
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[1] Francesco Mastriani, Quattro figlie da maritare, Napoli, Giosuè Rondinella Editore, 1861, cap. XIII. «Una mano lava l’altra», pag.106.
[2] Ibidem, pag.107
[3] Ibidem, pag.109
[4] Ivi, cap. XV. «Compar don Cornelio Pacchione», pag. 124.
[5] Francesco Mastriani, L’assassinio in via Portacarrese a Montecalvario, Napoli, Guida Editori, 2018, cap. XVIII. «Don Benedetto in casa e fuori», pag. 166,