Troppo ormai dagli scioperati e dai mondani si è declamato contro i fastidi del matrimonio, e gli innumerevoli imbarazzi di allevar la famiglia. Cercano forse di porre in discredito costoro i legami che hanno la loro santità nella natura stessa dell’ uomo, e nei bisogni del suo cuore? e che pro ne deriva ad essi dalle loro affettate rimostranze sulla schiavitù cui assoggetta il matrimonio? Pretendono forse costoro elevarsi al di sopra delle umane passioni? Si vergognino una volta codeste angui sociali di spargere il veleno dei loro detti sui cuori formati pei dolci legami della famiglia, e tacciansi almeno per non accusare apertamente il disordine della loro vita.
È pur cosa obbrobriosa per l’umanità il vedere come non solo coloro che sono sciolti da ogni vincolo, ma quelli eziandio che vivono in grembo alle loro famiglie una vita dolce e tranquilla, abbiano preso per imitazione il mal vezzo di sparlare di quei medesimi legami, ai quali essi sono debitori della loro felicità. Meriterebbero pur costoro che il cielo giustamente verificasse in loro quegl’infiniti malanni che essi dicono derivar dal matrimonio.
Fin dai tempi remotissimi l’umana stirpe si è addimandata FAMIGLIA: con ciò si è inteso significare come lo stato più naturale e più consono ai bisogni dell’uomo sia per l’appunto la società e la famiglia. La debolezza e l’ignoranza dell’infanzia, l’inesperienza ed i bollor della gioventù, la caducità della vecchiezza, non hanno forse d’uopo di una mano affettuosa che dia loro il sostegno e la guida? Dov’è l’uomo che nasce sì forte da ridersi degli altrui soccorsi?
L’oro fa tutto – esclamano i nemici del matrimonio; con l’oro si ottiene l’assistenza, cure e tutti i comodi della vita. Insensati! Si compran forse con l’oro gli affetti? Ed il cuore dell’uomo non ha forse sentimenti, teneri ed espansivi, ai quali fa d’uopo che si risponda con pari amore? La società ha creato per i ricchi un’esistenza falsa e dannosa; essi li circonda col fascino di tutti i divertimenti: li stordisce, li corrompe; e sotto l’usbergo della parola INDIPENDENZA, fa loro credere che il matrimonio sia la tomba dei piaceri ed una pesantissima catena che, tarpando le ali dell’ immaginazione e del genio, renda gli uomini deboli, casarecci e volgari.
Interroghiamo il ricco celibe dopo una giornata di divertimenti e di rumori, quando ritiratosi nella sua stanza, e congedata la turba dei mercenari suoi servi si trova faccia a faccia con la sua nullità sociale. Vediamo che gioie ha provato durante la giornata, la sua fantasia è stata un po’riscaldata dal sorriso di tante donne: i suoi sensi un poco allettati dalle blandizie di ogni genere che tuttodì inventa il secolo per i ricchi; le sue orecchie sono state un poco lusingate dalle adulazioni dei parassiti; la sua vanità è restata soddisfatta per le tante preferenze che ha ottenuto dappertutto ov’è andato; ha superato un mondo di piccole miserie, di piccoli orgogli tenendo sempre la borsa alla mano. Ma il cuore!! E che cos’è il cuore per i ricchi? Un muscolo cavo, insignificante, un organo in sensitivo come l’orologio che batte i secondi. Ma pur, non sente egli attraverso lo stordimento e la stanchezza, qualcosa che è come un peso, una noia, un malessere insoffribile? Non cerca forse con lo sguardo un amico, un ente che non sia uguale a quelli che lo circondano sempre? Osserviamo al contrario l’ uomo onesto che ha una famiglia, e che ritorna la sera in mezzo ai suoi dopo una giornata spesa a procurare alla sposa ed ai figliuoli un pane benedetto dal cielo e dagli uomini! Quale penna ritrar può mai la contentezza di quell’uomo, quando seduto a modesta cena in mezzo ai suoi pargoli, ed a fianco la diletta compagna, vedrà la gioia spandersi sui volti loro, e sa che quella gioia è da lui prodotta! Se questa felicità parrà ad alcuni troppo comune e monotona, io risponderò loro che la stessa monotonia di questa felicità ne forma l’incanto; dappoichè le passioni violente, le forti commozioni, gli slanci di una intemperata gioia, distruggono al pari delle grandi sventure, e l’uomo sente nell’eccesso della contentezza, un’ambascia inesplicabile, che è il più forte indizio della sua natural debolezza e miseria.
Il matrimonio è non pure un legame solenne e religioso, ma un vero contratto sociale, per il quale l’uomo si obbliga all’adempimento di quei doveri che assicurino la tranquillità e la pace dello stato, nonché della famiglia: e la società si obbliga verso di lui di garentire la sua discendenza dagli attentati dell’ingiustizia e della prepotenza.
I Francesi chiamano garçon l’uomo celibe, volendo indicare come costui, ancorchè vecchio debbesi mai sempre considerar come ragazzo.
Non è questo forse un aggettivo che offender deve il decoro di un uomo?
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Francesco Mastriani
Fu pubblicato sul giornale Il Sibilo il 16 ottobre 1845