Del nuovo romanzo del signor Dumas figlio col titolo Clemenceau riportiamo il seguente brano, del quale impertanto non adottiamo le opinioni:
«Il genio è egoista ed assorbente; non cerca meglio che espandersi, ma là soltanto ove lo spinge il capriccio: ha orrore di tutto ciò che l’inceppa, di tutto ciò che può assimilarlo agli altri uomini, di tutto ciò che mette ostacoli al suo sviluppo, e arresta il suo volo. La famiglia, come è stata istituita dalla società, è una delle sue catene. Quasi tutti gli uomini grandi l’hanno elusa o sacrificata; e le mogli che han dovuto vivere legittimamente, fino all’ultimo, con consorti veramente illustri, sono state costrette ad immolare (au dieu du foyeur) alla pace domestica molte speranze ed illusioni tra le più care e le più dolci. I leoni non sono di facile compagnia, o se si voglia vivere con essi è forza correre il rischio di essere divorati – Il genio è una emanazione del cielo, e non va soggetto alle solite leggi che servono a governare gli uomini volgari – Creare è certamente per l’uomo il punto culminante della sua potenza, che più l’avvicina a Dio. Nell’amore del padre verso suo figlio, l’orgoglio domina immensamente “Sono io che ho dato la vita a questo piccolo essere”. Ecco ciò che egli dice quando ammira il fanciullo nato da lui. Ma questa vita, non l’ha data egli solo; gli è abbisognata la complicità della donna, complicità tale che la donna, è più madre del bambino che l’uomo non n’è il padre. Spesso i due coniugi son gelosi di tutto ciò che si debbono reciprocamente in tale produzione comune, e dicono, ciascuno dal canto proprio, non già “Nostro figlio o nostra figlia” ma “mio figlio o mia figlia”, come per farsi una proprietà personale di quell’opera indivisibile. Di più, tale opera è caduca, sottoposta a tutte l’eventualità materiale, consacrata inesorabilmente alla distruzione, ovvero alla morte, ch’è la sola cosa certa in questo basso mondo. I godimenti, ch’essa produce, possono da un momento all’altro cangiarsi in eterni ed inutili rammarichi. D’altronde, qual’altro godimento e quale potente orgoglio deve insinuare nell’uomo l’opera del suo spirito, che, all’opposto, non emana che da lui solo, e che contiene il principio dell’eternità? Essa illustra per sempre colui che l’ha concepita; tramanda il suo nome a traverso dell’età, e fa parte del mondo indistruttibile, benché fattizio, che il pensiero umano ha creato a fianco del mondo reale per consolarsi di questo. Nella produzione dello spirito è l’uomo che partorisce, senza avervi niente a che fare il caso; ed il suo parto, nato non da una secrezione del suo sangue ma da quanto l’anima contiene di più puro, la meditazione, la volontà, la perseveranza, il dolore non di rado, sarà un compagno, un amico per migliaia d’individui, per l’umanità intera, il giorno in cui questa comprenderà finalmente tutto ciò ch’è chiamata a comprendere.
Ecco taluni creatori divini che si chiamano Mosè, Maometto, Omero, Virgilio, Dante, Shakespeare, Raffaello, Colombo, Galileo, Michelangelo, Molière, Pascal, Montaigne, Mozart, Voltaire, Newton! Qual’emozione, comparibile a quella che loro produce il parto dello spirito, può cagionare a questi uomini il mettere al mondo un piccolo essere vagitante e mortale, che l’ultimo de’facchini può generare egualmente? Vanno a ridursi nella famiglia quest’investigatori, cui il mondo visibile non basta? Vanno a concentrarsi nell’adorazione d’un atomo questi giganti che vogliono salire al cielo, e disertare il regno senza limiti delle idee, per lo stretto dominio de’sentimenti? No, Gesù stesso è stato costretto di scegliere; e, per provare ch’era Dio, di non essere né… né sposo, né amante, né padre. Così ha dato alla luce la più grande idea conosciuta.»
FRANCESCO MASTRIANI