Napoli 17 agosto
Leggemmo nel giornale Roma del 13 corrente un importantissimo articolo col titolo Il caro della vita. Riflessioni e rimedii. Ecco, per esempio, uno di quei subbietti di vitale interesse, dei quali brameremmo che più spesso si occupasse la nostra stampa periodica. Corrono tempi così eccezionalmente tristi per le classi oneste e laboriose, che, dove tutt’i pubblicisti che sentono vero amor patrio non si spendono con alacrità a ricercare le cause del nostro malessere e a proporre efficaci rimedii, non sappiamo a quali miserande condizioni saremo ridotti. E poiché coloro che hanno l’obbligo di allontanare o almeno lenire con ogni loro possa i mali di che la popolazione sono travagliate, non sanno o non vogliono trovare i modi più acconci a rendere meno problematica la vita, facciano almeno gli scrittori coscienziosi quanto è nelle loro facoltà pel bene del popolo, senza sciupare il tempo e la carta in oziose polemiche, che di poco o nessun vantaggio tornar possono alle classi più preziose e, sventuratamente, più afflitte dalle presenti condizioni economiche del nostro paese. Il signor S. Fusco, pubblicista del Roma, a far sì che le spese giornaliere pei bisogni della vita rispondono un po’ meglio alle modiche entrate di quella considerabile porzione di cittadini che vivono coll’onesto lavoro della intelligenza o delle braccia, propone un sistema di Associazioni cooperative. Riferiamo le stesse parole del prelodato pubblicista per fare pienamente intendere il concetto di un tale sistema.
«Concorrono a formare una società anonima due ordini di soci, i consumatori semplici e gli azionisti; ma i primi in meno di 5 o 6 mesi debbono divenire anch’essi azionisti col cumulo dei guadagni che la società riserba loro sul prezzo dei generi che hanno acquistato nel magazzino sociale. Ogni azione non oltrepassa le lire 25 pagabili in piccole rate settimanali per essere accessibili alle più modeste borse da operai. Col fondo composto dalle azioni si fanno acquisti di genere all’ingrosso che la società è in grado di offrire con discreto buon mercato, di buona qualità e con massima esattezza nel peso. ‒ I soci che vanno ad acquistar generi fanno notare in una libretta tutto quello che consumano. In capo ad un semestre, ad ogni socio consumatore la società è in grado di offrire il cinque o il sei per cento sul prezzo dei generi che à consumato in quel periodo di tempo. Sicché una famiglia borghese, che in semestre avrà speso per lo meno un 600 lire, avrà 36 lire di utile. Questo primo utile non sarà dato in danaro al socio che non è azionista, ma servirà per acquistare a suo pro un’azione, e renderlo così interessato all’impresa colla qualifica di capitalista. Il socio azionista avrà poi il dividendo sulle azioni, e più ancora il tanto per cento su quello che avrà speso nell’anno pei generi di consumo. In guisa che allorquando il socio, o acquistando fin da principio un’azione, o ottenendola coi primi lucri sulla spesa, sarà divenuto azionista, avrà il vantaggio di guadagnare siccome capitalista per l’azione che ha sulla società, e come consumatore per il tanto per cento che gli si attribuisce sulla spesa. Il segreto di questo misterioso guadagno sulla spesa consiste in ciò che la società non offre giornalmente tutto quel ribasso che potrebbe, acquistando i generi all’ingrosso, ma conserva i prezzi in un certo equilibrio sulla piazza; e quel tanto che non fa economizzare lo conserva per gli stessi consumatori sotto forma di dividendo. In latri termini: poiché il consumatore, essendo socio, s’identifica colla persona del venditore rappresentata dall’ente collettivo che è la società, così è che gli si restituisce quel tanto che su di lui si è guadagnato. Ma, siccome tra i fattori di questa impresa ci è anche il capitale rappresentato dalle piccole azioni, con tutta la somma degli utili è equamente ripartita agli azionisti ed ai consumatori. Onde non debbe mai confondersi questa doppia qualità, che può concorrere nella stessa persona in proporzioni diverse.
«La quota di utile poi che si attribuisce al consumatore può somministrarsi in diverse maniere. O si paga in denaro, o si somministra in generi, o finalmente s’inverte in acquisto di novelle azioni per aumentare il capitale del socio, e con quest’ultima maniera, generando l’uso del risparmio, si rende capitalista il più misero degli operai, che non avrà avuto altre pena che quella di far la spesa giornaliera ai magazzini sociali invece che a qualunque altra parte.»
Non possiamo che far eco al cennato divisamento, che troviamo di non difficile effettuazione; e vogliamo augurarci che i nostri concittadini si affrettino ad abbracciarlo per lo bene comune.
È pertanto indispensabile che tre o quattro dei nostri capitalisti di fama intemerata piglino la iniziativa di questa associazione che sarebbe feconda di ottimi risultati.
FRANCESCO MASTRIANI