Quest’oggi, 8 Dicembre, è grande solennità per la Chiesa Cattolica: è la commemorazione del domma dello Immacolato Concepimento della Vergine Maria. Proverbiale è la universale divozione de’ Napolitani per questa gran festa dell’anno, che precede quella non meno solenne del Natale. Queste due feste sono annunziate in Napoli dal suono delle pive e delle cennamelle, che alcuni vorrebbero bandite da’nostri costumi. Ci ha cose assai più importanti ch’ei bisognerebbe sforzarsi a correggere ne’nostri costumi e nelle nostre usanze. Cerchiamo di moralizzare, d’istruire e di civilizzare il nostro popolo, e lasciamogli pure le sue feste tradizionali e i suoi zampognari.
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. Volendo che sia rispettato il sentimento religioso nelle coscienze del nostro popolo, crediamo impertanto necessario che questo venga illuminato su tutto ciò che è mera superstizione; e soprattutto chiediamo che l’Autorità vegli su tutti que’furbi ed ipocriti impostori che, per cupidigia di guadagno, ne abusano stranamente la fede e la credulità.
Sappiamo che numeroso è il concorso de’nostri credenti popolani appo una certa Angiolella, che è in voce d’ispirata, e che, a guisa della Sibilla Cumana, ha il suo libro fatidico, dal quale predice la ventura a’richiedenti, per la tenue mercede di un soldo.
Pochi mesi addietro, una leggiadra donnetta operaia si presentava alla Sibilla; e, messole in mano il soldo, la interrogava sul suo avvenire.
Consultato il suo libro, la Sibilla dava il suo oracolo:
«Tu avrai una bella sorte, figlia mia: sposerai tra breve un bel giovanotto, che ti vorrà bene e ti farà scialare».
La popolana scoppiò a ridere.
«Oh Gesù e Maria! Che cosa dite! Non vedete ch’io sono incinta?».
La Sibilla non si perdé d’animo per lo strafalcione che avea detto, e tosto soggiunse:
«Ma tu ti sei fatta la croce?».
«Oh! avea dimenticato di farla» soggiunse l’ingenua popolana.
E tosto si segnò.
La Sibilla allora tornò a consultare il suo libro, e riprese:
«Ebbene, il mio Libro mi dice che tu farai un bel mascolone».
L’operaia si è sgravata di una bella bambina.
O Sibilla, io ti manderei a S. Maria Agnone per farti colà predire il tuo avvenire.
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Riserbandoci di parlare distesamente d’una delle più grandi piaghe della nostra società, qual si è l’usura, che divora le sostanze delle più povere classi del nostro popolo, facciamo menzione di un nostro operaio compositore che per la cifra di ducati 12 ne ha pagato 75 in meno di un anno. Simili fatti non hanno bisogno di comenti.
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. Domenica, verso le tre e mezzo p. m. nel Vico Berio a Toledo una gran calca di gente era a guardare una donna che, col capo tutto penzoloni dal balcone di un primo piano, sostenevasi colle mani a’bastoncelli, accennando di volersi gittare giù. Ella in fatti poco stante si lasciava cadere; ma, tra le grida degli spettatori, era raccolta dalle braccia del cappellaio che ha la sua bottega sotto quel balcone, e che, mal fermo sotto il peso del corpo della donna, ne veniva malconcio.
La donna era la moglie del vaccaro dimorante nel detto Vico Berio. La ragione del supposto suicidio, che abortì tra le risate del rispettabile pubblico, si fu, come dicesi, che il marito vaccaio trovò mancanti in casa denaro ed oggetti; onde la donna sua, timorosa che quegli non l’uccidesse, avea pensato di scappare pel balcone invece che per l’uscio…
Sentiamo che la pace sia stata fatta tra i coniugi. Ma badi pertanto la donna che non sempre troverà un provvido cappellaio che si esponga a coprirsi di un sì strano cappello.
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. Ieri l’altro, in su l’imbrunire, mentre una onesta famiglia di operai, dimorante in una stanza a terreno nella Sezione Stella, era raccolta appo un modesto braciere, un uomo decentemente vestito die’una lieve spinta ad un’imposta dell’uscio di via, e si cacciò in quel basso.
Senza dir motto, questo uomo tolse una sedia e si sedé.
Quegli operai il guardavano con sorpresa e paura, non sapendo chi si fosse colui e che volesse: di che timidamente il domandarono.
«Buona gente, io non sono qui per farvi del male, rispose in buon italiano l’intruso – Non abbiate nessun timore né alcuna soggezione di me. Attendete alle vostre faccende, e non badate a me, appunto come se io qui non fossi».
Que’popolani non si fidarono delle parole dello intruso; e, sospettando qualche cosa di sinistro o almanco che quegli fosse un matto, l’un di loro trovò modo di cacciarsi in istrada, e dare l’allarme a’vicini. Subitamente il basso fu ingombro di gente, che, strinsero d’assedio l’incognito, e gli domandarono quali si fossero le sue intenzioni.
«Niente altro che aspettare che questi buoni cristiani si mettano a tavola, per pregarli di farmi cenare con loro.
Questa fu la risposta dell’incognito, che, ciò detto, trasse via pe’fatti suoi nel mezzo degli accalcati curiosi, di cui nessuno si brigò di attraversargli il cammino per invitarlo ad andare a cenare nella Questura.
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. Due facchini discorrevano fra loro fumando la pipa.
«Ebbene, compare, dicea l’un di loro – Che ti pare, eh? Verrà o no?».
«Chi?» rispondea l’altro, che facea lo gnorri, e che sapea, come il compare fosse un di quelli che aspettano il miracolo della riciccillazione.
«Come! chi? U sole nuesto!!».
«Ah! si, è vero, non ci pensavo, soggiungeva con fina ironia l’onesto popolano unitario – Oh, verrà, verrà senza dubbio; ma speriamo che non venga come il sole, ma piuttosto come la luna.
«Come a dire?».
«A quarto a quarto – e piantava lì colla bocca aperta il compare riciccillatore.
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. Nelle nostre Corti di Assise continua la discussione del processo della banda Pilone.
Gli accusati appartengono quasi tutti alla classe de’campagnuoli; ed è curioso il vederli vestiti alla galantuomo.
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. Leggiamo nel giornale militare che si pubblica a Firenze col titolo l’Esercito, che in Francia si parla di un fucile, a cui verrebbe applicata l’elettricità, e che tirerebbe 16 colpi al minuto. In detto giornale leggiamo pure che a Vienna tutti sono convinti che il fucile Remington è il migliore di quanti vennero proposti. Dopo di averlo immerso nell’acqua e quindi coperto con sabbia umida, si spararono mille colpi senza che soffrisse avaria alcuna.
Galileo Galilei, che scoperse il moto della terra, fu torturato nelle prigioni; Cristoforo Colombo, che trovò un altro mondo, morì nella miseria; Torquato Tasso, che regalò all’Italia il più gran poema de’ tempi di mezzo, fu costretto, per mangiare, a vendere le sue ultime camice; Dante Alighieri, che fe’dono al mondo del più gran libro che sia mai venuto a luce dopo il Vangelo, morì in esilio.
E noi, razze civili, colte e illuminate, concediamo premi ed onori a chi meglio sa trovare il modo di distruggere maggior numero di uomini ad un tempo!
O Falaride, tiranno d’Agrigento, che 571 anni avanti l’Era Cristiana, facesti bruciare l’infame Perillo nel suo famoso toro di rame, ch’egli stesso aveva inventato, che cosa diresti de’nostri civilissimi tempi?
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. Domenica mattina, nella Sala di Monteoliveto, l’Associazione Italiana di Mutuo Soccorso degli Scienziati, Letterati ed Artisti, tenne la sua ottava Accademia letterario-musicale. Essa riuscì non meno gradita delle altre precedenti.
Un’altra Accademia fu data dal clarinettista Signor Alfonso Fucito. Quelli che più si distinsero e furono salutati di plausi unanimi si furono la signora de Angelis, la signorina Cammarano, e il concertista, che die’pruove di non comune valentia nel trarre dal suo istrumento bellissime e care melodie, superando le maggiori difficoltà dell’arte.
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. Una signora passava lunedì mattina nella strada di S. Brigida. Pare che questa dama appartenesse al partito delle code, poiché la sua veste ne aveva una spropositata, in guisa che occupava quasi tutta l’ampiezza del marciapiede. Un popolano da’piedi scalzi si trovò per caso a passare per lo stesso marciapiedi; e, credendo che a due metri di distanza egli non potesse usurpare i dominii della signora, non volse gli occhi a terra. Fatto è che il suo disgraziato piede involse un lembo del territorio femminile. La dama si sentì presa all’amo, e, voltasi con alterigia per vedere chi si era attentato di profanare la sua coda, ebbe a strabiliare scorgendo che la profanazione veniva da un canaglia. Onde, sdegnata il guardò biecamente e l’apostrofò in questi termini:
«Che bestia!».
Il popolano non si fece né bianco né rosso; e, data una scossa alle spalle, profferì questa testuale risposta:
«Vuie tenite a coda e io songo a bestia?».
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. Chiamiamo l’attenzione delle Autorità di P. S. su la frequenza, che s’incontra in certe vie, di quella classe di donne che sono sottoposte ad uno speciale regolamento. Soprattutto, in certe stradicciuole e viottoli della così detta Vecchia Napoli, queste donne si mostrano in tutte le ore del giorno e della sera, non ponendo alcun velo alla licenza delle loro parole e de’loro atti; in guisa che, ove una onesta donzella si trovi per caso a transitare per que’chiassuoli, può il suo orecchio venire offeso da osceni motti, o la sua vista da luride cose.
Nella nostra opera I Vermi parlammo a lungo di queste infelici creature, su le quali invocammo la maggior sorveglianza; ma le condizioni medesime dello esercizio del loro turpissimo mestiero sono tali che a tutelare la pubblica morale è d’uopo che le Autorità non perdano mai di vista quelle tra loro che più mostrano cinismo di modi e di linguaggio.
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. Benché per sistemo non lodiamo giammai un libro di poetici componimenti dove questi non sieno tali da elevarsi su le comuni verbosità, pure giustizia vuole che tributiamo un sincero omaggio di lode alle Liriche di Giuseppe Massa, delle quali annunziamo la terza edizione. I soggetti di queste Liriche sono quasi tutti di tal natura da ispirare davvero un animo caldo di amor patrio e un cuore temperato a gentili affetti. Se l’indole di questa effemeride cel consentisse, faremmo volentieri una eccezione al sistema che ci siamo imposto di non pubblicare poesie, che non sieno brevi e scherzose; e riporteremmo qui qualcuno de’componimenti del Signor Massa, come, a mò d’esempio quello intitolato Il vapore e l’elettricità, Domenico Cirillo, L’Esule Italiano, Il Culto delle tombe, I Firmamenti, od altro di simile robustezza di pensieri e di leggiadria di rime.
Gradisca il modesto autore una nostra sincera stretta di mano.
FRANCESCO MASTRIANI