Questa edizione è in possesso degli eredi Mastriani
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LA VITA LETTERARIA A NAPOLI DAL 1860 AL 1900
. C’era, invece, allora in Napoli un romanziere di appendici che non solo è importante per la conoscenza dei costumi e della psicologia del popolo e della piccola borghesia partenopea, ma rimane il più notabile romanziere del genere, che l’Italia abbia dato: Francesco Mastriani.
Si fanno tante ricerche e saggi critici su argomenti poco interessanti; ma nessuno ha pensato ancora a dedicare un saggio al povero Mastriani, che lo meriterebbe, e che non ne parve indegno a Giorgio Hérelle (il traduttore francese del D’Annunzio), il quale scrisse intorno a lui un articolo dal titolo: Un romancier socialiste a Naples [1] . Il Mastriani compose oltre cento romanzi, quasi tutti fondati sulla storia, e più ancora sulla cronaca napoletana: li componeva giorno per giorno, pagato tre o quattro lire per ciascun’appendice quotidiana. Scriveva di solito con semplicità e non senza correttezza, conforme al suo mestiere di professore di lingua e di grammatica.
L’ispirazione dei suoi libri è costantemente generosa e morale: la sua Musa era casta: rifuggiva dal sollecitare malvage basse curiosità, diversamente da altri romanzieri appendicisti. Risuonava in quei romanzi continua la protesta contro i vizî e le ingiustizie sociali, e vi si leggevano frequenti intramesse filosofiche, piene di buon senso, se non peregrine. Ne ho ripercorso qualcuno, p. es., Ciccio il bettoliere di Borgo Loreto; e vi ho trovato una digressione sulla forza che regna sovrana nel mondo: un’altra sulla camorra, dall’autore descritta e condannata come infame; una terza sulla psicologia dei giudici istruttori e sulla loro mania d’immaginare dove non sono delitti e delinquenti; una quarta sulla, o meglio contro la pena di morte; e via dicendo. Nel Barcaiuolo di Amalfi si biasima il malvezzo e l’inopportuna eloquenza dei Procuratori del re e dei Pubblici ministeri, che esagerano i colori dei misfatti e avventano parole ingiuriose contro gl’imputati; e si citano il Mancini e l’opuscolo di un avvocato di Milano intorno al Riassunto presidenziale; ivi anche sono considerazioni intorno al gran numero di morti procurate, che il divulgarsi delle cognizioni scientifiche rende invisibili all’occhio della giustizia.
Tutte cose dette con grande chiarezza e con accento di profonda convinzione, che ferma e persuade. Si sente, in questi romanzi, vivo sdegno contro gli oppressori e pietà per le vittime; ma nessuna adulazione verso il popolo, presentato com’è nella sua rozzezza e ignoranza, e spesso nella sua abbiezza e perversità. Di frequente, la parte del tiranno, succhiatore del sangue e seduttore di vergini, è fatta dal «padrone di casa», il personaggio che più fortemente incombe sull’animo del popolino e dei piccoli borghesi di Napoli. Perciò il Mastriani appariva a queste classi sociali filosofo, educatore, consigliere e vindice; e veramente così l’autore come i lettori che egli ebbe per parecchi decennî (tutta Napoli, all’infuori della gente letterata) sono prova della naturale bontà e della sete di giustizia, che è nel cuore di questa poco avventurata popolazione.
Quando il Mastriani morì, nel 1891, un giornale umoristico popolare, la Follia, si listò di bruno per l’occasione, e offerse il ritratto del Mastriani, contornato dal catalogo dei suoi centotre romanzi, e seguito da un epicedio in cui si leggevano queste strofe:
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Ei punse i ricchi e i nobili,
che adorano un sol Dio: il Dio dell’oro:
e che, sprezzando il popolo,
calpestan dignità, fede, decoro…
Piangi, diletta Napoli,
il gran Maestro tuo, ahi! Non è più!
Chi ti farà più fremere?
Chi ti sarà di sprone alla virtù?
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Ma il Mastriani presenta altresî un qualche interesse letterario. Venuto in fama lo Zola, egli più volte protestò che gli Assommoir, i Ventre de Paris, la Nanà e simili, erano cose vecchie: prima dello Zola, non aveva egli scritto I Vermi, I Vampiri [2], I misteri di Napoli, e simili? Si notava, infatti, nel Mastriani una certa tendenza verso il contenuto e le forme del verismo: perfino, nelle parti narrative, quel miscuglio di modi dialettali e di modi italiani, che si vide in seguito nel Verga. Tutto ciò, senza dubbio, rimaneva in lui crudo, rozzo, bruto, non attingeva l’arte; ma era nondimeno come la scoperta di un filone d’arte.
Matilde Serao, che doveva far passare tanta parte di quella vita napoletana popolare in novelle stupende, disse del Mastriani nel 1891, in un commosso articolo necrologico: «Attraverso tutta la rettorica delle sue idee e delle sue narrazioni, attraverso quel concetto ristretto del bene e del male, che sarà poi il punto di partenza onde i sociologi e gli artisti trarranno il grande materiale del romanzo napoletano. Piccola verità popolare, invero, e che consisteva soltanto nel chiamare coi loro vero nomi i tetri frequentatori delle bettole, col loro nome esatto e colla topografia i vicoli sordidi e lugubri, dove si annida in Napoli l’onta, la corruzione, la morte: piccola verità affogata nella frondosità fastidiosa del romanziere, che ha cominciato a vedere, ma che non ha forza, coraggio, tempo di veder molto, di veder tutto: piccola verità, dirò così esteriore, che la falsità bonaria del resto annega, ma che è verità, ma che è uno spiraglio di luce attraverso la tenebra, ma che è la fioca lampada nella notte profonda, che altri vedrà e che il condurrà alla loro strada, a tutta quanta la verità com’è, nuda, schietta, tutta piena di strazio, ma non senza conforto».
BENEDETTO CROCE
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[1] Nella Revue de Paris del 1894.
[2] Forse al posto del romanzo I Vampiri, che è di genere umoristico, era più opportuno citare il terzo romanzo della trilogia socialista e cioè Le ombre ( nota di Rosario Mastriani).
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BENEDETTO CROCE (Pescasseroli, 25 febbraio 1886 – Napoli, 20 novembre 1952) è stato un filosofo, storico, politico, critico letterario e scrittore italiano, principale ideologo del liberalismo novecentesco italiano ed esponente del neo idealismo.
A diciassette anni perse i genitori, Pasquale e Luisa Sipari, e la sorella Maria, periti il 28 luglio 1883, durante il terremoto di Casamicciola, nell’isola d’Ischia, dove Croce si trovava in vacanza con la famiglia. Un terremoto disastroso durato 90 secondi, dove lo stesso Benedetto rimase sepolto per parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo.
Dopo il diploma di maturità classica, pur essendo scritto alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Napoli, Croce frequentò le lezioni di filosofia morale a Roma tenute dal Labriola. Non terminò mai gli studi universitari, ma si appassionò a studi eruditi e filosofici.
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