UNA PAURA PER LA STRADA DI FERRO

     La signora Clementina di N… è una vedovetta di 22 anni, bella, elegante e ricca.  Il defunto marito, uomo di età, l’avev’amata come una figliuola, e morendo la raccomandò a un vecchio suo amico per nome Biagio, commesso d’una illustre casa di commercio. Clementina viveva ritirata, e senz’alcun fasto che desse all’occhio de’ maldicenti; la sua casa era modesta, e potea dirsi piuttosto la spensierata dimora d’un celibe, tanto era l’apparente noncuranza del lusso, e l’abbandono di ogni pretensione. Clementina desiderava di rimaritarsi, ed avea ragione, perché soltanto le donne civette, o pinzochere affettano la malintesa ripugnanza al nodo matrimoniale, le prime per darsi bel tempo, e le seconde per finta modestia, ma la giovane, frequentando pochissimo il mondo, non sapea determinare una scelta, e fermò di rimettersi alla prudenza del vecchio Biagio. Questi in effetti le trovò un marito, un uomo ricco e morigerato nel signor Guglielmo di B…, ma costui negoziante di qualche reputazione, trovavasi per sue faccende a Castellammare.

   Clementina, com’era naturale, voleva almeno veder lo sposo innanzi di ligarsi con una inviolabile promessa; pregò quindi il vecchio amico di trovar modo con che, alla insaputa di Guglielmo, potesse ella vederlo. Biagio ebbe sentore, che una elegante amica di Clementina dava una magnifica festa a Castellammare, alla quale doveva immancabilmente intervenire il negoziante; si affrettò quindi di farne partecipe la vedovetta, affinchè la si fosse recata colà, e si fosse presentata alla festa per veder il signor Guglielmo, del quale le avrebbe dato tutt’i connotati. Clementina approvò il progetto, pregando però Biagio di accompagnarla a Castellammare.

   Il commesso vi aderì. Ecco adunque la vedova vestita elegantemente che aspetta il commesso. Si bussa la porta, ed invece del vecchio comparisce un bel giovinotto, vestito con proprietà.

   «Favorisca» dice la vedova introducendolo.

   «La signora Clementina di N…?».

   «Son io, Signore».

   Il giovine le presenta una lettera.

   « Signora; alcune lettere di urgenza mi obbligano a restare in casa fino alle tre per lo meno; scusatemi dunque se non posso aver l’onore di accompagnarvi a Castellammare. Ho incaricato di questa cura il signor Gustavo C… mio sotto commesso, che si reca ivi per comunicare al signor Guglielmo le lettere che ho ricevuto. Egli sarà compiaciutissimo di servirvi da cavaliere, e senza dubbio adempirà a questa missione meglio d’un povero vecchio scritturale, che trovasi sempre imbarazzato quando non è su i suoi libri di scrittura doppia. Ho l’onore di essere rispettosamente – Il vostro devotissimo servo – Biagio Belcuore».

   

   Clementina ha letto lo scritto; ella si è fatta rossa, e dice timidamente al giovane:

   «Vi prego, signore, di scusarmi se vi ho fatto aspettare; è perché avea dimenticato che la mia cameriera è uscita».

   «Grazie, signora, compitissima».

   Clementina prende il suo ombrellino dicendo al giovine:

   «Mi rincresce del vostro incomodo».

   Si fa poscia alla finestra, ed esclama:

   «Oh! che vedo! Questa mattina faceva così bel sereno, ed ora sta piovigginando».

   «Non è che un denso nugolone; ben presto potremo partire».

   «Aspettiamo. Vi prego di accomodarvi».

   Gustavo si siede, e Clementina non sa che fare o dire.

   «Voi conoscete il signor Guglielmo di B…?».

   «Sì, signora, egli ha la bontà d’invitarmi a Castellammare tutte le domeniche».

   «Che uomo è questi?».

   «Io credo un onest’uomo».

   «Non è giovine?».

   «No, signora, è un uomo di circa 50 anni, ma di valida salute, perché ha moltissima cura di sé medesimo».

   «Come a dire? Sarebbe forse uno di que’vecchi bellimbusti che imitano le maniere de’giovani?».

   «No, signora, ma egli ha non però le sue manie».

   «Volete dire, il suo lato ridicolo».

   «Non osava dirlo trattandosi d’un vecchio».

   «Signore… a 50 anni non si è vecchio».

   «Perdonate, volea dire che il signor Guglielmo ha certe abitudini che convengono soltanto alle persone di età».

   «Benissimo, ecco il tempo che comincia a schiarire».

   «Sono a’vostri ordini, Signora».

   «Vedete, vi prego, se vi è qualche vettura nella strada».

   «No, Signora».

   Clementina resta qualche tempo in silenzio, indi guarda Gustavo, ed accorgendosi che costui la contempla incantato, arrossisce, bassa lo sguardo, e dice con leggera commozione:

   «Perdono, Signore, credo che i vostri affari vi chiamano presto a Castellammare; le lettere che dovete comunicare al signor Guglielmo sono urgenti ed io non potrò partire che un po’ tardi».

   «Non vi date pena per ciò; niun urgente affare mi chiama a Castellammare».

   «Come! Che vuol dir dunque il biglietto del signor Biagio?».

   «È un pretesto».

   «Un pretesto, e perché?».

   «Un pretesto per non condurvi a Castellammare».

   Clementina guarda all’intorno, come timorosa di vedersi sola con un uomo da lei non conosciuto.

   «Un pretesto per non condurmi a Castellammare! forse… affinchè… un altro… invece sua…».

   «Tranquillatevi, Signora, niuno pensò mai di farvi il minimo dispiacere; egli è perché, volete che ve lo confessi? egli è perché il signor Biagio ha paura della strada di ferro».

   «Veramente! Ah ah ah… egli ha paura della strada di ferro?».

   «Sì, Signora, una paura che io debbo credere invincibile per fargli perdere la bella occasione di accompagnarvi».

   «Voi dite che egli ha paura del vapore…».

   «Certo, Signora, e tal paura che non si è curato di accompagnare una dama tanto bella e tanto buona».

   «Signore!».

   «Egli mi ha fatto altresì un mondo di raccomandazioni».

   «Quali raccomandazioni?».

   «Le sono state lunghe, e sovra vari punti».

   «In verità, Signore, avete renduto un gran servigio al signor Belcuore, egli ve ne sarà gratissimo».

   «Se la sua riconoscenza è proporzionata alla sua paura per la strada di ferro, dovrà essere immensa; eppure in fatto di terrore il signor Biagio è un eroe in paragone del signor Guglielmo».

   «Come! Che dite?».

   «Certo, il signor Guglielmo è preso da attacchi di nervi alla sola parola di vapore; il vapore per terra e per mare è per lui un orribile mostro. Dice che esso è il Minotauro cui il secolo sacrifica ogni anno migliaia di vittime; si occupa a notar ne’giornali i racconti di tutte le esplosioni di caldaie; computa i cadaveri, e fa il calcolo delle gambe rotte, delle braccia stortillate ecc.».

   «Ma bisogna convenire che i numerosi accidenti che accadono gliene dieno bastante occasione, e non è del tutto ridicola la paura del signor Guglielmo».

   «Se voi ancora provate la minima apprensione, noi possiamo prendere qualche altro mezzo di trasporto».

   «È inutile, Signore, è inutile; io sono decisa di non andare in campagna; l’ora si avanza, il tempo si fa sempre più cattivo, ed io voglio restare in casa. Non dimenticate che siete atteso».

   Dicendo queste parole Clementina lascia il suo ombrellino, e togliesi i guanti.

   «Io andrò via, Signora, poiché assolutamente lo volete, andrò solo a Castellammare, ma che cosa dirò al signor Biagio quando mi dimanderà perché non siete venuta?».

   «Ma che so… direte che non ho voluto… che ho avuto paura della pioggia… che ho avuto paura della strada di ferro».

   «Non sarò creduto, Signora, egli mi accuserà…».

   «E di che?».

   «Che so, ma è perché, vedete, io godo una pessima riputazione».

   «Come a dire?».

   «Il signor Biagio e il signor Guglielmo pretendono che io sia un pazzo, una testa sventata, un ciarliero che dice senza badarvi tutte le impertinenze che mi saltano in capo. Se voi non venite, si crederà che so io, che forse ho mancato verso voi di gentilezza e di rispetto, che avete avuto paura… non della pioggia e della strada di ferro, ma bensì di me».

   «Rassicuratevi, io vi farò giustizia col signor Biagio».

   «Io credo, Signora, che la miglior testimonianza del mio rispetto per voi sarebbe la vostra presenza a Castellammare».

   «Permettete ch’io ricusi… ho le mie ragioni; ma non vedete che orribile giornata… piove».

   «V’ingannate, vi dico che in due minuti avremo un magnifico sole».

   «Mi pare che abbiate molta premura di condurmi».

   «Io ho molta premura di non dispiacere al signor Biagio. Vi ho detto che se la prenderà con me se voi non venite; tutte le mie spieghe saranno vane; le vostre stesse giustificazioni non mi scuseranno; si sa quanto siete buona ed indulgente, e tutto ciò che potreste dire si attribuirà alla vostra dilicata generosità; e si crederà forse che io mi sia lasciato scappar di bocca…».

   «Che cosa, Signore?».

   «Oh nulla… nulla».

   «Ebbene, poiché credete che la mia gita a Castellammare sia così necessaria alla vostra reputazione, verrò con voi».

   «Alla buon’ora! E verrete col vapore?».

   «Verrò col vapore».

   «Bravo, avremo tutti e due occasione di beffarci del signor Guglielmo».

   «Il signor Guglielmo! Sempre il signor Guglielmo, eh, lasciatelo in pace».

   «Perdonate, Signora, ma io lo detesto di tutto cuore».

   «Epperò ne dite sempre male».

   «Vi giuro che non vi ho detto la quarta parte di quel che ne penso; ci è una guerra dichiarata fra noi…».

   «E perché lo detestate?».

   «Perché è un freddo egoista, che odia tutto ciò che è giovane, perché mette in ridicolo ogni entusiasmo, perché interpreta con una ragione odiosa ogni buon sentimento; perché, se per esempio, io che non sono altro che l’orfano di un uomo onesto, amassi una donna più ricca e di migliori natali, egli direbbe, e l’ha detto, ch’io lo farei per interesse e vanità».

   «Ah! egli l’ha detto, è dunque vero?».

   «Vero! E che! Vero che io ami per un vile e sordido interesse? Vero che io ami per vanità?».

   «No, no, Signore, intendo dire che avendo egli tradotto così male i vostri sentimenti, bisogna pure che essi esistano… Voi dunque amate una donna?».

   Gustavo si turba, si soffia il naso, e per nascondere il rossore che gli è montato in viso, guarda in cielo, e dice balbettando:

   «Credo, Signora, che possiamo profittare del bel tempo».

   Gustavo nel suo turbamento avea guardato il cielo, ma non si era accorto che pioveva. Clementina si fa avanti ella alla finestra, ed esclama:

   «Ma non vede che piove dirottamente!».

   «È vero…».

   «Sembra che il cielo si opponga alla mia gita a Castellammare».

   «Ah! sia lodato mille volte il cielo, che si oppone al vostro matrimonio con signor Guglielmo».

   «Mio Dio! Signore, che cosa dite? chi vi ha detto?…».

   «Sì, certo, Signora voi siete ingannata; ma voi non lo sposerete, non posso mai credere che una donna come voi consenta a sacrificarsi ad un simile uomo; la beltà unita alla bruttezza, la gioventù alla caducità, le grazie, lo spirito, la bontà, al ridicolo, all’egoismo, alla malvagità; no, non è possibile».

   «Perdonate, Signore, io vi farò osservare che voi degnate occuparvi d’interessi che non sono vostri…».

   «Che non sono miei!!… Mille scuse, Signora, ho torto, io sono un pazzo, uno scervellato, come dice il signor Biagio, io vi ho detto male del signor Guglielmo, ve l’ho dipinto ridicolo; forse io posso vederlo così col mio carattere impetuoso, col mio cuore tutto anima e passione; ma io non ho il diritto di calunniarlo. Il signor Guglielmo è un onest’uomo, la probità e l’onore in persona. La donna che porterà il suo nome non avrà giammai a vergognarsene; ed egli fa un nobile uso della fortuna che ha guadagnata co’più distinti lavori».

   «Ecco un’ammenda onorevole per lui e per voi. Ma permettetemi di farvi osservare, che se voi sapevate i progetti del signor Biagio, non corrispondevate alla sua confidenza parlandomi in quel modo del signor Guglielmo».

   «Dapprima vi dirò, che il signor Biagio non avendomi confidato alcuna cosa, io non l’ho affatto tradito».

   «Volevate però contrariarlo ne’suoi progetti».

   «Ciò mi accade ogni qual volta io credo ch’egli faccia qualche cosa di male; perché vedete, io grido sempre al progresso, non ho fede che alle idee attuali; e per me sta che l’abolizione de’matrimonî malfatti sia un gran passo sociale».

   Clementina dice risolutamente:

   «Partiamo, Signore».

   «Sì, partiamo; ma piove ancora…».

   «No, no, la pioggia è cessata».

   «Permettete allora d’andare in cerca d’una vettura».

   «Non ne ho bisogno».

   «Ma vi è un fango orribile».

   «Io so camminare».

   «Via via, siate buona; pensate che finora sono stato scortese e malaccorto; non mi forzate ad accompagnarvi con questa toletta elegante attraverso strade impraticabili; aspettate cinque minuti, ed io sarò di ritorno».

   «Ebbene, andate, io vi aspetto».

   «Grazie, madama – va per uscire – (si sente il campanello) Vien qualcuno (volendo andare ad aprire è trattenuto da un pensiero)».

   «E così?».

   «Zitto».

   «Che è dunque?».

   «Volete che io apra?».

   «E perché no?».

   «Perché forse è qualche visita che v’intratterrà molto tempo, e come voi siete premurosa d’andare a Castellammare, ciò potrebbe contrariarvi».

   «Poiché non avete aperto, è inutile il farlo adesso».

   «Allora andrò in cerca della vettura (incamminandosi)».

   (trattenendolo) «Eh che fate… aspettate almeno che la persona che ha suonato abbia il tempo di scendere».

   «È giusto, vediamo quando uscirà (si mette alla finestra)».

   Clementina (guardandolo con compiacenza, dice tra sé) (Che originale! Eppure mi piace).

   Gustavo (sempre alla finestra) «Oh oh… ho fatto bene a non aprire; indovinate chi veniva? La persona più noiosa ed insopportabile del mondo».

   «Chi dunque?».

   «La signora Giuditta B… quella ciarliera del diavolo».

   «Quella cattiva lingua».

   «Avreste dovuto divertirvela per un paio d’ore almeno…».

   «Siete ben sicura che sia ella?».

   «Oh certo; ecco ell’ha alzata la testa, ed io l’ho perfettamente riconosciuta».

   «Ah! l’avete riconosciuta? ha levata la testa? dunque ella vi ha veduto, vi ha riconosciuto?».

   «Ebbene?».

   «Ebbene, ebbene, Signore, ella dirà, e ne ha ragione, che essendo venuta in mia casa, io non ho aperto, perché era sola chiusa con un uomo, dirà che non ho voluto aprir la mia porta, che l’uomo eravate voi, perché vi ha veduto… Ah! mio Dio, mio Dio, il cielo sa quanti cattivi pensieri!…».

   «Ma quali cattivi pensieri può ella concepire?».

   «Quali cattivi pensieri!… Ma Signore, dove avete voi dunque la testa? Che pretendete da me?… Io non vi comprendo… voi siete uno stravagante, o un malvagio…».

   «Io sono un galantuomo».

   «E perché mi dimandate allora che cattivi pensieri avrà la signora Giuditta; bisognerà dunque dirvi tutto, poiché voi nulla intendete…».

   Gustavo è stupefatto e tremante.

   «Lo credete Signora… Credete che oseranno calunniarvi?».

   «Voi ne dubitate, Signore? forse la signora Giuditta sta già spargendo la calunnia e il disonore…».

   «Impossibile, Signora, è impossibile; un simil caso, una circostanza così frivola non può macchiare la riputazione d’una donna onesta. Permettete di dirvelo, il vostro timore è mal fondato; d’altra parte non vi è un animo sì vile e sì cattivo per dare una spiegazione tanto infame alla cosa più naturale del mondo».

   Clementina (piangendo) «Voi credete così; ebbene, supponete che ciò fosse accaduto a voi, che voi foste salito, che aveste veduto un uomo alla finestra, dopo d’aver inutilmente suonato; voi, Signore, che cosa ne pensereste?».

   «Forse non vi avrei fatta la minima attenzione».

   «E se questa donna fosse stata la vostra, se questa donna fosse stata vostra sorella, o la vostra innamorata, non vi avreste fatto attenzione?».

   «Senza dubbio, in queste circostanze, la gelosia, il timore del mio nome compromesso, mi avrebbero forse assai smarrito per farmi concepire, non dirò già de’ sospetti, ma del timore… che volete che vi dica? Ma ora non si tratta di questo, perché la signora Giuditta non è un amante, un marito, un fratello».

   Clementina dice (lasciandosi cader sovra una sedia) «E credete voi, Signore, che soltanto l’amore è geloso, che l’invidia non è tanto curiosa quanto l’affezione, e che la signora Giuditta non stia ora commettendo con malignità questa circostanza frivola, che un marito o un fratello cercherebbero di schiarire con collera e disperazione?».

   Gustavo si pone a passeggiare con rabbia.

   «Miserabile! se ella osa dire una sola parola ingiuriosa alla nostra riputazione; io potrei fargliela costar ben cara; io la perderei…».

   «Voi potreste perderla?».

   «Sì, posso perderla; io, io solo so che la sua virtù è tutta ipocrisia; ne ho le pruove autentiche di sua mano; ho le sue lettere…».

   «Le sue lettere?».

   «Sì, sì, le sue lettere… scritte a me».

   «A voi?… voi dunque siete il suo amante?».

   «Uno de’mille, a’quali ella ha scritto».

   «Ecco dunque dove sono ridotta!… il mio onore sotto la protezione dell’infamia di quella donna! Signore, Signore, io non so ciò che sarà in appresso, ma per ora uscite, vi dico, uscite… di casa mia…».

   «Calmatevi, Signora».

   «Uscite, Signore… Pensate ch’io non sono la signora Giuditta… (mostrandogli la porta)».

   Gustavo (piangendo) «Per pietà, Signora, una sola parola; non mi cacciate dalla vostra casa come un miserabile; permettetemi una sola parola di giustificazione…».

   «Sentiamo, che direte per giustificarvi?».

   «Ecco… per mia giustificazione, dirò… che (sospirando) non so che dire in verità; vado cercando i miei torti».

   «Che, Signore, andate cercando i vostri torti?».

   «Sì, Signora, io li cerco; perché… che fallo è il mio?… che cosa ho fatto… Io sono venuto; la pioggia ci ha trattenuti; noi abbiam fatto conversazione; hanno suonato alla porta, ed io non ho aperto; ecco tutto».

   «Ci è una donna che mi crede vostra innamorata; ecco tutto; voi mi avete compromessa, perduta, ecco tutto!».

   «È vero; io sono uno sciagurato…».

   «Lo vedete… lo vedete… i vostri torti non li sapevate!…».

   «Ebbene, degnatevi ascoltarmi pochi momenti; io vi dirò tutto ciò che un onest’ uomo può dirvi».

   «Ed io vi ascolto».

   «Io sono il figlio di un povero domestico; sono l’ultimo de’commessi d’una mediocre casa di commercio, e perciò un uomo che vive con un meschino salario… Ora se egli è vero che ho compromessa la vostra riputazione, se è vero, come voi testé dicevate, ch’io vi ho perduta, potrei venire a dirvi: Signora, per ogni riparazione, accettate il mio nome che è stato quello di un servo, a voi, che avete ricevuto un nome tanto nobile dalla vostra famiglia, e da vostro marito; dividete la mia fortuna che è quella di un mercenario, a voi che ne avete una bella e acquistata; potrei, Signora, dirvi tutto ciò senza essere un insensato, senza che voi mi cacciaste con disprezzo?… Sì, Signora, voi avete fatto bene di cacciarmi (piangendo)… Bisogna pur cacciare i servi; cacciatemi, sì… cacciatemi».

   Clementina (intenerita) «No Signore, non si cacciano gli uomini d’onore, qualunque sia il nome del padre loro, sovrattutto quando su questo nome non v’è alcuna macchia di delitto o di vizio».

   «Che cosa dite?… Voi non mi disprezzate?».

   «Ve l’ho detto, Signore, gli uomini di cuore non vanno cacciati via, ma non si accetta…».

   «È giusto, Madama, basta, nol dite…».

   «Lasciatemi finire; non si accetta, io dico, una riparazione per torti, che non esistono. Non si prende la vita d’un uomo e gli si dà la propria, perché il caso vi ha posto in una falsa posizione; soltanto l’amore può fare simili sacrifizi ed accettarli; ma… voi non… mi amate, Signore… voi non mi amate (nascondendo il suo volto)».

   Gustavo (fuori di sé dalla commozione) «Signora, signora, in nome di Dio, non m’interrogate, non mi dimandate s’io vi amo, perché vi risponderei che vi amo a perderne la ragione».

   «Voi… signore, voi mi amate?…».

   «Oh! da molto tempo, fin dal primo istante ch’io vi ho veduta. Ed ora che il sapete, che cosa volete, che ordinate? quali riparazioni posso offrirvi del male involontario che vi ho fatto?».

   Clementina bassa gli occhi e dice:

   «Ma non mi avete detto che ce n’era una conveniente in simile circostanza?».

   «Senza dubbio, Madama; ma voi mi avete risposto che bisogn’amare per offrirla, che bisogn’amare per accettarla… Per me, io vi amo da lungo tempo… ma per voi…».

   Clementina gli stende la mano:

   «Ed io… da questo momento».

   «Eh!… come!… no… no, veramente!… che avete detto?…(piangendo di gioia) Oh!… ditemi, per amor del cielo, ditemi che io non sono un pazzo…».

   «Un poco veramente…».

   «Oh… è dunque vero? ditelo… è vero?».

   «Ma sì sì… Signore…».

   «Voi dite… Signore?».

   «So io forse qual è il vostro nome?».

   (piangendo e baciandole la mano) «Gustavo C….».

   «Oh… sì, il nome del mio nuovo sposo…».

   Gustavo (colla massima giovialità) «Signora, il tempo è sereno; il signor Guglielmo attende».

   «Andiamo dunque a dirgli che noi ci amiamo!».

                                                                                        FRANCESCO MASTRIANI