LE MODE IN CASA

   Un curioso spettacolo si presenterebbe allo sguardo d’un antenato redivivo se tornasse per poco a rivedere la sua propria casa, divenuta proprietà dei suoi eredi!

   È certo che, a dispetto di tutte le assicurazioni che potreste fargli, l’uomo del secolo passato giurerebbe che i suoi nipoti, tralignando dall’onesta professione che egli medesimo esercitava, si sono dato al mestiero di venditori di mobili e di altri generi consimili. Potrebbe egli mai credere che la moda, uccidendo barbaramente la comodità e la simmetria, abbia innalzato un trofeo alla mattezza con tutto il disordine delle sue idee?

   Le spese più enormi, i trovati più singolari tendono a rendere eccentrico l’ostello che si abita. Il lusso e la vanità combattono la miseria. La diversità, l’originalità, la stravaganza debbono essere ora le norme della vita interna e di quanto si appartiene ad essa. Fatevi ad osservare quattro o cinque abitazioni de’più reputati eleganti del giorno, e vedrete come l’una diversifica dall’altra per istrambezza di suppellettili, per le carte delle mura, per gli oggetti di belle arti, ed anche per la foggia di vestire del padron di casa.

   Entriamo e guardiamo i salotti.

   Tutto ciò che l’ormai vecchio medio evo creò di più gotico e rococò vedesi riprodotto negli addobbi delle nostre case più alla moda. Questa specie di bric-a-brac tratto dalle antiche magioni feudali non potrebbe per altro capire negli angusti salotti moderni, se questi non si empissero internamente come tante botteghe da rivenduglioli. Entrato in un salotto montato secondo il gusto presente, correte il rischio ad ogni pie’sospinto di urtare contro le infinite cose che vi sono sparse, quasi dimenticate colà da varie generazioni; v’imbattete in cento gambe di suppellettili, vi assale la vista una zuffa di poltrone, di pastorine, di credenze, di mobili neri, tristi, storti, cesellati, incrostati, tagliati a fantasia. Sulle mensole e su tutte le superficie alte vedete un diluvio di piccole creature, di strambe figurine; un esercito di fotografie, ovvero vasi carichi di bassirilievi. Agli angoli delle mura sono colonne con istatue di marmo de’più rinomati scultori, come del Tenerani, dell’Angelini, del Calì ec; sulle pareti veggonsi quadri d’un prezzo esorbitante. La luce che ivi penetra deve essere dubbiosa, incerta, ammantata da dense cortine e da variopinte scene: deve in questi luoghi regnare una dolce tristezza che parli all’immaginazione, narrando la storia di un burrascoso passato e gli spaventevoli misteri di una vita d’impressioni. Ogni mobile, ogni oggetto, ogni arnese debbe avere qualche cosa di disordinato; deve sembrare come se non istessero al loro posto; come se si conoscesse a mala pena l’uso di tali mobili: e il padron di casa deve affettare la massima ignoranza su quanto è sparso e gittato ne’suoi salotti.

   Entriamo nello studio

   Zitto zitto, camminate sulla punta dei piedi; tutto comanda qui il silenzio ed invita al raccoglimento. Questo pièce del quartiere, il closet degl’inglesi, suolsi prescegliere nel lato che offre più venustà di vedute, più prospettiva di paesaggi. Questa stanza è uno stile austero; non vi si scorge verun ornamento, se togli i verdi arazzi e le intarsiature di vecchia quercia. Non fiatate, non distogliete colui che vi sta dentro innanzi alla grandiosa e arabescata scrivania… Guardatelo, l’uomo della meditazione, l’uomo che ha nelle sue librerie seimila e più volumi ben ligati, probabilmente che ha consumata la sua vita in lunghi severi studi; guardate com’è pallida e ossosa la sua faccia, come cadono pendenti i suoi capelli sulla fronte, vera scatoletta di Pandora! Egli scrive, pensa, medita: l’alta estremità della penna è tra le sue labbra; il suo sguardo è fisso, quasi quasi cercando un pensiero, una immagine che gli scappa: il profilo pensieroso e grave segna un angolo retto con la carta che gli è dinanzi. Avviciniamoci pian piano, e leggiamo quello che scrive: – Mio caro Eugenio. Tengo del tabacco orientale; vieni da me stamane, che lo fumeremo insieme dopo aver preso il caffè. Ti aspetto senza meno. Il tuo – Luigi.

   In un altro Studio voi vedete un giovine in ricca veste da camera, tutto peli nel volto, tutto allegria nello sguardo; il suo capo è scoperto, tagliato alla tedesca dal Paolucci; tiene in bocca un enorme sigaro d’Avana, e innanzi a lui sulla coperta del tavolino a grandi nappe di seta stanno gli avanzi d’una generosa colazione. Egli scrive, ma non pare che dia veruna importanza a quello che segna sulla carta; i pensieri che gli volano pel capo debbono essere più leggieri de’buffi di fumo del suo sigaro: tre amici gli stanno seduti d’accanto, tre giovinotti del fior fiore, della quintessenza, colle barbettine alla canonico, coi cappellacci in testa e coi bastoncini in mano: i quali parlano e ridono continuamente. Il padron di casa mentre scrive mischia qualche mottetto alle chiacchiere de’suoi amici. Certamente quel giovine deve scrivere qualche bigliettino galante. Accostiamoci intrepidamente, ed affrontiamo il fumo che esce dalle fauci del leone: vediamo che scrive… Misericordia! una tragedia!!!

   Osservate quanta freschezza è in quell’altro appartamento! Tutto è aperto, pieno di luce e di profumi; vi si respira un’aria di amore. Si apre una bussola dorata: ecco una damina che si leva dal letto. Prostratevi, o canonici, ai piedi di questa novella Citerea più seducente dell’antica dea di Pafo. Che magia di forme! Che belle trecce naturali! Che nobiltà nello sguardo! Ella è carica di merletti e di nastri; un gentile baveretto sfioccato le covre le spalle… Zitto, ella apre la bocca, chiama la sua cameriera… O cielo! è sparita; ma la bussola è aperta. Osserviamo… Sommi numi! ella si è seduta su una ampia sedia elastica, innanzi ad una tavoletta coverta da veli trasparenti color rosa. Ascoltiamo il dialogo che ha con la cameriera, mentre costei le svolge le lunghe chiome.

   «Marietta, se viene quell’insipido duchino, direte che ho l’emicrania. Stamane non sono disposta ad ascoltare le sue storielle di cani e di cavalli».

   «Va bene: gli dirò che la signora è a letto a riposare, non avendo potuto dormire la scorsa notte».

   «Da brava! Anzi direte lo stesso a chiunque verrà».

   «Eccetto però…».

   «Cattiva! Prendete quel romanzo di Dumas».

      Entriamo in un altro appartamento col parlez au portier.

      Da poco alzato dal suo serico letto, vedesi un formidabile signorotto dei mezzi tempi; la barba gli scende a metà del petto; una lunga veste da camera con lunghe nappe di oro covre i calzoni di cascemiro bianco e i lucidissimi calzari con gli speroni. Eccolo, il terribile barone del castello, il cavaliere d’Ariosto, il rouè della Reggenza – Silenzio!… egli apre la bocca.

   «Qua, qua, Fox, venez, mon petit chien».

   Ciò che maggiormente ne reca maraviglia è l’osservare come coloro che per gravi e severi  studi o per altra disciplina sonosi renduti benemeriti del paese, prediligano tali stravaganze e vi si abbandonino con una specie di fanatismo. Quasi tutti quelli che vivono di fantasia e di creazioni intellettuali adottano in Francia le più strane maniere di vestire. Alquanti anni fa, Rossini, nel suo appartamento alla Maddalena, riceveva le visite in berretto di cotone.

   La bambagia de’nostri padri, le calde camiciole di flanella, la berretta con lunga tesa, i larghi calzoni e le comode pianelle hanno avuto il bando, e solo si lasciano indossare da qualche vecchio infermo. Al presente anche i nostri vecchi alla moda si fanno un dovere di proscrivere gli abiti larghi; si vestono a mo’de’giovani, e sprezzano le infermità inseparabili della loro età.

   Eppure, in mezzo al vortice delle stravaganze, il bel sesso, comechè di natura più variante, ha pertanto serbato in casa la decenza e il buon gusto del vestire. Le donne, dotate di uno squisito istinto di ripugnanza per tutto ciò che offende la loro delicatezza e il loro decoro, hanno rinunziato di abbracciare le correnti sfrenatezze della moda interna, e sonosi tenute a quella cara semplicità che dà loro tanta grazia e tanta distinzione.

   Per lo innanzi, la casa dava una idea del padrone che l’abitava; ora bisogna formarsi del padrone una opinione contraria a quella che dimostrano le sue suppellettili e le sua vestimenta. Se un uomo vuole imitare le maniere e il linguaggio del genio, giurate che quegli è un asino: coloro che fanno apparato delle loro librerie, non leggono neanche le bullette de’loro libri; una scrivania magnifica e splendidamente provvista d’inchiostro, di carta e di tutte quelle altre superfluità brillanti che sono tanti gioielli per gli oziosi, indica sempre un uomo che non iscrive mai; come al contrario, quando in una casa non trovate un mobile che faccia l’officio di scrivania, siate certo che colà dimora un letterato o un giornalista – In casa dei vigliacchi si trovano trofei d’armi, e grandi rastrelliere di pipe in casa di quelli, ai quali un buffo di tabacco fa venir l’emicrania. Ho visto tre pianoforti in casa di un giovine sordo che non conoscea neanche le note musicali; ed una quantità di schioppi da caccia presso un pacifico e ritirato galantuomo, cui il sangue di una mosca fa drizzare i capelli.

   Dappertutto si fuma. In tutte le case delle cinque parti del mondo si veggono pipe, tubi, bocchini, sigari e tabacco. Il sonnacchioso proprietario, il vagheggino, lo studente, l’impiegato, tutti fumano. Il bel sesso da molto tempo ha cominciato a gustare i deliziosi effluvi del tabacco; ed ora gli elegantissimi sigari pajaritos gli rendono grandi servigi.

                                                     FRANCESCO MASTRIANI